‘Ndrangheta, la cosca Bagalà: per la Dda di Catanzaro un “affare di famiglia”

03 Maggio 2021

Per la Dda di Catanzaro, Maria Rita Bagalà, l’avvocata 52enne residente ad Aosta finita agli arresti domiciliari all’alba di oggi, lunedì 3 maggio, era la “mente legale” della cosca di ‘ndrangheta colpita dall’operazione Alibante dei Carabinieri. Agli occhi degli inquirenti diretti dal procuratore Nicola Gratteri, la gestione del business criminale, radicato sulla fascia costiera tirrenica del catanzarese, era un “affare di famiglia”. L’uomo arrestato (ed ora in carcere) quale “capo storico e attuale” della cellula del crimine organizzato calabrese, l’80enne Carmelo Bagalà, è il padre della conosciuta penalista, originaria di Lamezia Terme, ma nel capoluogo valdostano da anni.

La professionista risulta indagata per concorso esterno in associazione di tipo mafioso (ipotesi riqualificata dal Gip nell’emettere l’ordinanza che ha disposto le 19 misure cautelari eseguite nella notte, mentre la Procura aveva formulato quella più grave di partecipazione alla cosca) ed altre ipotesi di reato. Stando alle investigazioni dell’Arma, iniziate nel 2017, la donna garantiva, “sotto la regia del padre, ‘l’amministrazione’ di diversi affari illeciti della compagine” e si occupava, in particolare, “della cura degli interessi economici e finanziari del sodalizio”. Il suo coinvolgimento riguarda soprattutto due società, parte del progetto di ristrutturazione e riattivazione di una struttura alberghiera da realizzare nel comune di Falerna, l’Hotel dei Fiori.

Le società, paravento per il boss

In una, la “Sole Srl” (titolare dei terreni su cui doveva sorgere il complesso), aveva assunto “il ruolo di prestanome” e l’altra, la “Calabria Turismo Srl” veniva da lei amministrata “in prima persona ed in maniera occulta”, con operazioni che – si legge nelle 432 pagine dell’ordinanza – avevano il fine della “fuoriuscita degli storici prestanome” utilizzati dalla cosca, in vista della “realizzazione di una compagine sociale dualistica” composta dall’avvocata e dalla sorella Francesca, altra figlia di Carmelo, in un passaggio propedeutico “alla successiva alienazione dell’intera società (e del plesso alberghiero da essa posseduto)”.

Un assetto – “preordinato ad evitare che Carmelo Bagalà (vero proprietario della società) comparisse nella complessiva operazione, poiché ciò avrebbe con ogni probabilità determinato controlli antimafia sull’intera vicenda” – dal quale consegue l’accusa di trasferimento fraudolento di valori aggravato. L’azienda era anche riuscita “a percepire indebitamente un finanziamento pubblico” di quasi 600mila euro (erogato dalla Regione Calabria nell’ambito dei programmi comunitari), investendone una prima tranche (di quasi 300mila euro) nel progetto alberghiero. La misura finanziaria è stata poi revocata “a seguito dell’interdittiva antimafia che colpiva la Calabria Turismo Srl” nel 2016, ma il suo stesso ottenimento integra – per gli inquirenti – ulteriori reati.

I lavori, tra abusi e corruzioni

L’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato è contestata a Carmelo e Maria Rita Bagalà per “l’utilizzo e la presentazione di dichiarazioni e/o documenti attestanti cose non vere”. Nello specifico, oltre alla fittizia intestazione delle quote societarie a prestanome, gli indagati avrebbero asseverato “falsamente la conformità del progetto alle norme urbanistiche ed ambientali, contrariamente al vero”. Dall’inchiesta, che ha visto anche ampio ricorso ad intercettazioni, è emerso che “le opere erano già state iniziate abusivamente” e che nella richiesta di contributo si è proceduto “a rendicontare spese maggiori rispetto a quelle effettivamente sostenute”. Nella vicenda rientra anche l’ipotesi di corruzione del Sindaco del comune di Falerna da parte del capoclan “al fine di addivenire al cambio di destinazione d’uso” dell’area “ed alla successiva lottizzazione”.

Indagato anche il marito dell’arrestata

Stando alle indagini, il marito di Maria Rita Bagalà, l’avvocato aostano Andrea Gino Giunti (55 anni), ha partecipato “con consapevolezza di scopi e di vincoli al sodalizio”, prendendo parte alla vicenda della “Calabria Turismo Srl” ed organizzando “importanti operazioni di riciclaggio di denaro, finalizzate a perseguire il programma criminoso della cosca Bagalà interessata a terminare i lavori di edificazione” dell’Hotel dei Fiori. Gli inquirenti hanno monitorato come “utilizzava la citata società” per “acquisire un immobile da adibire ad attività commerciale in Valle d’Aosta”. Un coinvolgimento alla base della sua iscrizione nel registro degli indagati e che aveva spinto la Dda a chiedere una misura cautelare nei suoi confronti. Il Gip del Tribunale di Catanzaro Matteo Ferrante non l’ha però concessa, ritenendo non “raggiunta la soglia della gravità indiziaria” nei suoi confronti.

L’uomo “ha supportato e consigliato” la moglie “nelle principali scelte di carattere giuridico” sull’“accordo di cessione della Calabria Turismo, spesse volte chiedendo a colleghi di studio più esperti” e, inoltre, “in prima persona, ha investito denaro” nell’azienda, ma “l’investimento non era diretto a vantaggio dei Bagalà”, bensì “volto a garantirsi di non comparire nell’acquisto di una discoteca” a Valtournenche. Però, “le ragioni della scelta di non comparire, – scrive il giudice – “verosimilmente dovuta alla necessità di reimpiegare denaro di dubbia provenienza”, non ha “formato oggetto di approfondimento investigativo”.

Le valutazioni del Gip

Insomma, a carico di Giunti vi sono elementi che caratterizzano “l’indagato quale affarista spregiudicato che non disdegna di intraprendere operazioni dai risvolti quantomeno opachi”, ma “sono totalmente inidonei a radicare la sua partecipazione nel sodalizio criminale capeggiato dal suocero”. A favore dell’arresto di Maria Rita Bagalà, invece, ha deposto “la sussistenza del pericolo di reiterazione del reato”, denotata “dall’uso spregiudicato delle proprie competenze professionali in violazione anche delle più basilari regole deontologiche”, dall’“appoggio sistematico” offerto “ad eludere possibili provvedimenti a carico del sodalizio” e dalla personalità “risultata adusa alle stesse logiche mafiose del padre”.

Il Gip annota infatti che “tutte le operazioni negoziali realizzate grazie all’ausilio della Bagalà” sono state effettuate “dopo che la Calabria Turismo” era stata raggiunta da interdittiva antimafia, per cui lei stessa, nella sua veste professionale, aveva curato anche i relativi ricorsi. Assieme al padre, l’avvocatessa è poi indagata per estorsione aggravata, ai danni di un commerciante di abbigliamento di Nocera Terinese. L’episodio risale al 15 aprile 2019 e Carmelo Bagalà (presentatosi al negozio per rendere alcuni capi provati dalla figlia e saldare il dovuto per quelli trattenuti), avrebbe – in contatto telefonico con lei – minacciato il commerciante per  fargli “praticare uno sconto di oltre il 60%”.

Le parole degli inquirenti

Parlando dell’operazione, il Procuratore Nicola Gratteri ha ricordato come le contestazioni di associazione mafiosa, di voto di scambio e di estorsione sono “tutti reati tipici che denotano il controllo del territorio” dell’organizzazione mafiosa. Il capo della Dda di Catanzaro ha quindi chiesto ai calabresi “di continuare ad avere fiducia in noi”, considerando questa indagine come “un ulteriore segnale” di “fiducia”, perché “stiamo cominciando ad avere i riscontri”. L’inchiesta ha preso il via da “due persone vessate, soffocate dai Bagalà e che alla fine si sono rivolte a noi” e “questa loro fiducia è stata ripagata perché oggi abbiamo dato risposte alle loro domande di giustizia e per le vessazioni subite” nel corso degli anni.

Il magistrato titolare del fascicolo, il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla, ha quindi evocato la caratteristica della cosca di essersi “data una impronta imprenditoriale e ciò aveva determinato una serie di collusioni con imprenditori, professionisti e esponenti delle istituzioni, con interferenze nelle scelte e nelle elezioni di Nocera e Falerna”, ma anche “nell’ambito delle forze dell’ordine, per ottenere informazioni anche relative a questa indagine”. Insomma, è “stato registrato quanto fosse pervasiva la cosca in tutti gli ambiti quotidiani di quel territorio”. I boss venivano investiti della “risoluzione di qualsiasi problema, anche personale”.

Sulla volontà degli ‘ndranghetisti di “creare un parastato” si è soffermato il comandante del Gruppo Lamezia dei Carabinieri, Sergio Molinaro (che ha “svelato” pure la radice mitologica del nome dell’operazione, che rimanda ad Ulisse): se “negli anni ‘80 e ’90 si è investigato per sangue”, ora “gli aderenti sono presso imprenditori di riferimento del territorio, qualificati avvocati e commercialisti”. Maria Rita Bagalà, secondo l’ufficiale, con le sue competenze tecniche “aiuta e implementa la capacità e la potenza della cosca nel territorio”. Una potenza considerata non indifferente, perché alcune estorsioni denunciate “hanno portato al fallimento stesso delle ditte” di chi le ha subite, strangolando l’“attività economica di due imprenditori”.

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