“Ci troviamo dinnanzi ad uno scontro di decisioni giuridicamente e umanamente non comprensibili, né tantomeno tollerabili”. Non usa giri di parole l’avvocato Sandro Sorbara nel commentare il nuovo “no” alla scarcerazione del consigliere regionale sospeso Marco Sorbara, suo fratello, finito in carcere lo scorso 23 gennaio, nell’ambito dell’operazione “Geenna” della Dda di Torino e dei Carabinieri su presunte infiltrazioni di ‘ndrangheta in Valle, perché accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.
La nuova istanza, il cui esito è stato comunicato al team legale dell’arrestato l’altro ieri, lunedì 22, era stata presentata al Gip del Tribunale di Torino Silvia Salvadori lo scorso 18 luglio e, secondo il difensore, l’esito meriterebbe di essere attentamente valutato “dal potere giudiziario che, colpito dalle varie inchieste, proclama oggi più che mai di combattere i noti scandali che coinvolgono la magistratura”.
L’avvocato, che assiste il politico con i colleghi Raffaele Della Valle e Donatella Rapetti, sottolinea come, da un canto, il pm Stefano Castelani dopo aver originariamente “chiesto ed ottenuto la custodia cautelare”, a fronte della richiesta degli scorsi giorni, “valutati gli atti processuali con scrupolo e rispetto della funzione svolta”, abbia espresso “parere favorevole alla sostituzione della misura in atto con quella degli arresti domiciliari”, ritenendo che “le esigenze cautelari sono affievolite e possono essere adeguatamente fronteggiate con una misura meno grave”.
D’altro canto, continua il legale, il diniego è arrivato da un giudice che “nonostante l’incensuratezza del Sorbara, il decorso di 6 mesi di carcerazione, il dimagrimento di 10 chili, lo sconvolgimento psicologico dell’individuo e dell’ambito familiare (la madre 78enne), i fatti risalenti al 2015, la ribadita assoluta innocenza” decide, “con motivazione contro legge”, che il recluso (che, osserva l’avvocato, “non è imputato di ‘ndrangheta e si trova in situazione di difficoltà personale”) “deve restare in carcere perché non c’è altra misura adeguata e diversa da quella in corso di esecuzione”.
Al riguardo, il legale ricorda che il fratello, “innocente e totalmente estraneo ai fatti in contestazione”, chiede “di tornare a casa e ‘arresti domiciliari’ non vuol dire libertà, ma sempre misura coercitiva meno grave con restrizione dell’individuo e della sua personalità”. Il legale annuncia, sin d’ora, che tale “decisione verrà appellata in questi giorni al Tribunale di Torino”. Quello ricevuto all’inizio di questa settimana è il quinto “no”, dall’inizio dell’inchiesta, all’affievolimento del regime detentivo di Sorbara, rinchiuso nel carcere di Biella.