Il giorno del giudizio è arrivato e, per Pasquale Longarini, è il giorno in cui la toga portata da anni resta intonsa. L’ex procuratore capo facente funzioni di Aosta, oggi in servizio come giudice civile ad Imperia, è stato assolto, dal Gup Guido Salvini del Tribunale di Milano, dalle accuse di induzione indebita a dare o promettere utilità, di favoreggiamento e di rivelazione del segreto d’ufficio.
Assoluzione anche per gli altri due imputati del procedimento, il titolare del “Caseificio Valdostano” Gerardo Cuomo e il contitolare del Grand hotel “Royal & Golf” di Courmayeur Sergio Barathier, cui la Procura meneghina – al termine del primo filone delle indagini svolte dalla Guardia di finanza – contestava solo l’induzione indebita. Per Longarini, il pm Giovanni Polizzi aveva chiesto tre anni di reclusione, mentre per l’imprenditore e per l’albergatore le richieste di pena erano state rispettivamente di due anni e due mesi.
All’apertura dell’udienza tenutasi nel primo pomeriggio di oggi, martedì 9 aprile, il rappresentante dell’accusa non ha replicato alle arringhe difensive. Il Gup si è quindi ritirato in camera di consiglio, ritornando poco dopo in aula per leggere la sentenza. Il processo al Tribunale di Milano era iniziato il 26 giugno dello scorso anno: tutti gli imputati avevano scelto il rito abbreviato (condizionato, nel caso del solo Longarini, ad essere sentito in aula).
Le reazioni dei legali
Alla lettura del verdetto erano presenti due imputati su tre (risultava assente Barathier) ed il giudice ha annunciato il deposito delle motivazioni entro novanta giorni. Contattato in proposito, l’avvocato Claudio Soro, che assisteva Longarini con la collega di Torino Anna Maria Chiusano, non ha inteso rilasciare dichiarazioni. “Siamo contenti” sono invece le prime parole dell’avvocato Maria Rita Bagalà, difensore di Cuomo con l’avvocato Gilberto Lozzi.
“È una sentenza nella quale speravamo – ha continuato il legale, con tono sollevato – e per la quale, secondo noi, c’erano tutti gli elementi negli atti”. “Molto soddisfatti, per nulla sorpresi” è la reazione dell’avvocato Jacques Fosson, del team difensivo di Barathier con il collega Fulvio Simoni. “Eravamo convinti dall’inizio” ha aggiunto “dell’estraneità” del cliente “nella vicenda e, in questo senso, la sentenza conferma il convincimento iniziale”.
Storia di un’inchiesta
L’inchiesta sull’allora pm Longarini esplode in Valle il 30 gennaio 2017, mentre sulla regione cala la sera e tutti si preparano alla “Veillà” di Sant’Orso, con il suo arresto. All’indomani, la vicenda viene commentata anche da Matteo Salvini, all’epoca non ancora Ministro, ma in Valle per la “Foire”. Il leader della Lega Nord si reca a parlarne proprio davanti al Palazzo di giustizia, sede della Procura che si trova “decapitata” dalla vicenda.
Dopo un periodo di responsabilità assicurato da Giancarlo Avenati Bassi, insediatosi alla presenza del Procuratore generale di Torino Francesco Saluzzo, in via Ollietti arriva il 5 luglio dello stesso anno, alla scrivania del Procuratore capo, il campano Paolo Fortuna, che – saputo del verdetto di oggi pomeriggio – si dice “umanamente davvero contento per l’assoluzione”, che rappresenta “la fine di un percorso che – come capita a chi entra nelle dinamiche processuali – ha provocato del dolore”.
Nel frattempo, Longarini resta ai domiciliari, così come Cuomo (fermato nello stesso giorno), fino al successivo 31 marzo. La tesi degli inquirenti milanesi è che il magistrato, nell’indagare su Barathier per reati fiscali, avrebbe fatto pressioni su di lui per assicurare all’imprenditore “amico” una fornitura di prodotti alimentari del valore di 70/100mila euro annui. Le altre due imputazioni (favoreggiamento e rivelazione del segreto) erano invece legate alla presunta rivelazione, da parte dell’ex magistrato a Cuomo, che il telefono dell’imprenditore era sotto controllo.
I Carabinieri del Gruppo Aosta stavano infatti “tenendo d’occhio” i suoi rapporti – poi interrottisi repentinamente (da qui l’ipotesi accusatoria della “soffiata”) – con il pluripregiudicato Giuseppe Nirta, assassinato in Spagna l’11 giugno 2017. Su questo aspetto, la Procura aveva chiesto, ed in parte ottenuto, l’acquisizione al fascicolo processuale degli atti dell’operazione “Geenna”, relativa ad infiltrazioni di ‘ndrangheta in Valle d’Aosta. Nelle varie udienze succedutesi, il Gup ha anche sentito quale testimone l’avvocato Roberto Craveia, già difensore di Barathier in alcuni procedimenti fiscali.
L’attitudine di Longarini
Dall’inizio del procedimento, Longarini ha sempre affrontato “a viso aperto” accuse e giudizio. Nell’interrogatorio di garanzia seguito al suo arresto, il magistrato rispose, per quasi tre ore, alle domande del Gip Giusy Barbara. Lo stesso ha fatto in occasione del suo esame in aula, durato un paio d’ore e, al termine della discussione tra le parti, rendendo dichiarazioni spontanee per precisare alcuni passaggi della requisitoria del pm Polizzi (che aveva ereditato il fascicolo dal collega Roberto Pellicano).
Un’attitudine che, chi lo conosce, aveva ritenuto essere quella di sempre, manifestata in tanti anni da inquirente (ad Aosta si occupò, tra l’altro, del caso Cogne, ma anche delle inchieste che nei primi anni Novanta portarono in carcere Augusto Rollandin, allora come mesi fa Presidente della Regione investito da guai giudiziari, per voto di scambio e illecita concessione di contributi regionali). L’attitudine di un uomo provato, ma non scalfito, dalla vicenda (e, su tutto, dalle sue conseguenze professionali), suggellata oggi da una sentenza di assoluzione.