Processo per l’incidente a Michel Chabod: in aula i periti delle difese

Sentiti, nell’udienza per disastro colposo, ingegneri e geologi citati dai sei imputati, che hanno ribadito l’imprevedibilità del distacco del masso finito sull’auto dell’ingegner Michel Chabod, rimasto gravemente invalido.
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Cronaca

Chiusi da un accordo gli aspetti del risarcimento civile e dell’accusa di lesioni, è ancora aperto un filone processuale nato dal tragico incidente che, il 16 marzo 2011, rese gravemente invalido l’ingegnere Michel Chabod di Valsavarenche, colpito da un masso finito sulla sua auto da un terreno soprastante, mentre si recava al lavoro percorrendo in auto una strada comunale a Villeneuve. È quello in cui il pm Eugenia Menichetti contesta a sei imputati il concorso in disastro colposo in relazione ai reati di frana ed attentato alla sicurezza dei trasporti. Nell’udienza della mattinata di oggi, martedì 30 aprile, sono stati ascoltati cinque consulenti di parte, cui le difese hanno affidato perizie tecniche sull’accaduto.

L’imprevedibilità del distacco e l’assenza di consequenzialità tra lo stesso e i lavori di allargamento della strada sono tornate in quasi tutte le deposizioni. “Su migliaia di eventi censiti – ha detto l’ingegner Davide Caruso – su quella strada ce n’è stato solo uno, quello del 2011. Si è trattato di un evento circoscritto nello spazio e nel tempo”. “Nel 1982 (anno della progettazione, ndr.) –  ha affermato Daniele Peila, docente del Politecnico di Torino, rispondendo sull’assenza di caratterizzazioni geologiche prima dei lavori – una perizia avrebbe detto che quell’area era una morena. Viste le foto, sarebbe stata definita ben addensata e consolidata. Il fatto che nessuno avesse segnalato il masso mi porta a dire che fosse coperto dal terreno”.

All’epoca dei fatti, l’allora sindaco Roberta Quattrocchio (uno degli imputati), in carica da otto mesi, per valutare la pericolosità della zona “aveva solo a disposizione la cartografia” redatta “sulla base di una legge regionale del 1998 ed approvata dalla Giunta regionale nel 2002”. Lo ha spiegato il geologo Alessandro Bellini, sottolineando poi che “il sito in oggetto era al confine” tra aree “a bassa pericolosità e sprovviste di rischi”. Per parte sua, l’ingegner Gianpiero Lanteri ha quindi dichiarato che il progetto dei lavori eseguiti “non presenta nessun difetto”, tanto che “in sede di realizzazione dell’opera” non sono “state richieste modifiche dalla direzione lavori”.

Come nelle precedenti battute del processo, il pm Menichetti non ha mancato di incalzare alcuni dei tecnici. Ad uno di loro – sentitasi spiegare come, al tempo, non fosse obbligatoria una caratterizzazione geologica dei luoghi nel caso di opere di “modesta rilevanza” –  ha chiesto quale fosse lo spartiacque dell’obbligo. “Era una viabilità secondaria, con allargamento di una strada già esistente, secolare, di cui si conoscevano già le condizioni e non c’erano opere d’arte”. Quindi, secondo lei, era di modesta rilevanza? “Sì”. E dove si trova, nelle norme, l’indicazione su ciò che è scarsamente rilevante? “Non c’è da nessuna parte”.

Gli altri imputati, oltre all’ex sindaco Quattrocchio, sono l’allora progettista dell’allargamento stradale Luciano David, l’ex presidente della Regione Augusto Rollandin, il già dirigente dei lavori pubblici Carlo Berthod, nonché il proprietario dell’appezzamento da cui si staccò il masso, Gabriele Gianni e l’affittuaria del terreno Anna De Santis. All’udienza odierna, per quest’ultima, è stato sentito un agronomo che, in un sopralluogo pochi giorni dopo l’incidente, ha riscontrato “un vigneto gestito in maniera corretta, ben tenuto. Non c’erano erbacce. Il pendio era intonso. Non ci sono state piantumazioni, solo vegetazione spontanea”.

Con queste deposizioni, ed il deposito delle rispettive consulenze, la fase dibattimentale del procedimento, che ha visto varie altre testimonianze negli scorsi mesi, è agli sgoccioli. Il giudice monocratico Marco Tornatore ha rinviato l’udienza al prossimo 28 giugno, per l’inizio della discussione tra le parti, con le richieste del pubblico ministero e le arringhe dei difensori. Sulla base della durata, si deciderà se servirà un altro rinvio o se il processo si concluderà in quell’occasione. Oltre otto anni dopo i fatti.

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