Scagionato dal tentato omicidio della moglie, la Procura impugna la sentenza

Chiesta, dal pm D’Ambrosi, la riforma della sentenza con cui il Tribunale di Aosta aveva pronunciato il “non doversi procedere” nei confronti di un 43enne di origini marocchine. Per i giudici, i fatti palesano una volontà non omicidiaria.
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Cronaca

Per la Procura, aveva provato ad uccidere l’allora moglie portando in casa un braciere acceso, nell’intento di intossicarla con il monossido di carbonio. Per i giudici del Tribunale di Aosta, che si erano occupati del caso lo scorso 25 gennaio, il 43enne di origini marocchine comparso in aula non era però colpevole del reato contestatogli, il tentato omicidio. Quei fatti, agli occhi del collegio, non rappresentavano dei tentativi di uccisione e li avevano riqualificati in lesioni. Risalendo al 2007, però, risultavano prescritte e per l’imputato era stato pronunciato il “non doversi procedere”.

Una visione non condivisa dal titolare del fascicolo, il pm Manlio D’Ambrosi, che a processo aveva chiesto un totale di quindici anni di reclusione per l’uomo a giudizio (il capo d’imputazione comprendeva anche un altro episodio, del 2021, per il quale i giudici avevano decretato l’azione penale non dovesse cominciare, giacché già al centro di un altro procedimento per maltrattamenti). Il ricorso in Corte d’Appello, lette le motivazioni della decisione, è stato depositato negli scorsi giorni.

Secondo i giudicanti, che in udienza avevano ascoltato il racconto della donna, diversi aspetti della vicenda restituirebbero la volontà non omicidiaria dell’imputato. Tra questi, il fatto che l’uomo non avesse chiuso a chiave la porta della stanza in cui si trovava l’allora consorte con il braciere. Inoltre, le parole pronunciate dall’uomo quando lei chiede di aprire per cambiare aria (“Come mai sei ancora viva?”) non andrebbero – sottolinea il collegio nelle motivazioni – interpretate letteralmente.

Nel ricorso, il pm D’Ambrosi torna sulla sequenza di eventi di quella sera (il 22 dicembre 2007, quando la donna era tornata a casa esausta dal lavoro) e sottolinea alcuni punti che, a suo avviso, contraddicono la visione del collegio dei giudici. Su tutti: è vero che la porta della stanza non era chiusa a chiave, e che la donna era riuscita ad uscire, ma come leggere, in assenza di volontà omicidiaria, il recarsi dell’imputato, ad un certo punto, a prendere dell’altro carbone per rinfocolare il braciere?

Motivi per cui il pm ritiene che vada affermata la colpevolezza dell’uomo in ordine ai fatti contestati e chiede quindi di riformare la sentenza di primo grado. La donna, testimoniando al processo di Aosta, aveva dichiarato: “ancora oggi mi sto chiedendo come ce la abbia fatta. Ho chiamato il 118 con il cellulare che avevo nel grembiule”. Il legale dell’imputato aveva invece sottolineato che nel 2007 la relazione fosse ancora all’inizio: “Che ci sia già un intento specifico di uccidere la compagna e moglie stride un po’”, aveva detto in aula. La Corte d’Appello di Torino procederà a fissare l’udienza per la sua discussione.

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