Una condanna e un’assoluzione nel processo sulla “truffa dei vini”

I fatti risalgono alla fine del 2021, quando un’enoteca a Cervinia chiude i battenti e il titolare si trova a vendere oltre 1.400 bottiglie, dal prezzo stabilito in un milione di euro. Il raggiro si consuma in un viaggio a Milano.
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Cronaca

Una condanna e un’assoluzione hanno chiuso oggi, martedì 30 maggio, il processo di primo grado su una truffa aggravata ai danni del titolare di un’enoteca a Cervinia (Valtournenche), legata alla vendita di oltre 1.400 bottiglie di vino, alcune pregiate. A Francesco Antonio Votta, 34enne catanzarese, ritenuto dalle indagini la “mente” del raggiro, il giudice monocratico Marco Tornatore ha inflitto un anno e sei mesi di carcere, oltre a 500 euro di multa.

La sospensione condizionale è subordinata al risarcimento dei danni alle due parti civili costituitesi nel processo. L’entità del rimborso dovrà essere definita in separato giudizio, ma il giudice ha intanto stabilito delle provvisionali: 100mila euro per il commerciante attivo in Valle e 25mila euro per un ristoratore con un locale a Milano, anch’egli emerso dall’inchiesta come raggirato nella truffa che il pm Luca Ceccanti, nella sua requisitoria, ha definito “classica” nelle modalità.

I fatti e le indagini

A giudizio c’era anche Vincenzo Valentini, 52enne del cosentino, accusato di essere stato “complice” di Votta, ma assolto “perché il fatto non costituisce reato”. La vicenda risale alla fine del 2021, quando per l’enoteca valdostana, aperta da oltre trent’anni,  prende corpo la chiusura dei battenti dopo la scadenza del contratto di locazione. Per il titolare si presenta quindi l’esigenza di vendere le bottiglie, alcune delle quali pregiate e acquistate in una vita trascorsa a trattare distillati e vini di livello.

In quella fase, mentre si avvaleva di un intermediario che cura anche l’inventario delle bottiglie (stabilendo un prezzo complessivo di un milione di euro circa), il commerciante entra in contatto con un sedicente commercialista, che si presentava come Francesco Rossi (identità fittizia cui gli inquirenti ricondurranno Votta). Sostiene di essere in contatto con un gruppo di potenziali acquirenti svizzeri, dei quali fa “respirare” l’affidabilità al venditore. Tanto che viene fissato l’appuntamento per la cessione delle bottiglie, a Milano.

L’affare “appetibile”

“L’accordo era: – ha ripercorso il pm Ceccanti in aula – paghiamo una parte fatturata e una parte ‘in nero’”. Se “l’appetibilità dell’affare era proprio questa”, è evidente che tale elemento “ha abbassato le difese” del proprietario dei vini, “che aveva bisogno di disfarsi in blocco” della merce, dovendo restituire i locali. L’appuntamento è in un albergo di lusso, i presunti compratori hanno macchine di cilindrata: la “magniloquenza” riassume Ceccanti in aula, “quasi da film”.

Al commerciante, accompagnato in garage, viene mostrato del denaro in una valigia, circondata da altri bagagli. A quel punto, il vino viene fatto partire da Cervinia. La consegna però non va a buon fine: un furgone “sparisce” lungo il tragitto e l’altro verrà ritrovato in un deposito. Nel mentre, realizzato che le altre valige contenevano non contanti ma volantini pubblicitari, il commerciante capisce di essere stato raggirato.

Parte delle bottiglie recuperate

Le indagini della Procura di Aosta (sviluppate dalla Polizia di Stato) permettono di recuperare, con delle perquisizioni, parte dei vini e di restituirli al proprietario, ma all’appello mancano 453 bottiglie per un valore (calcolato al prezzo di vendita) di oltre 233mila euro. Una ventina di bottiglie rese, peraltro, presenta dei danni. Se la mente del raggiro, per gli inquirenti, è Votta, alla guida del furgone che non raggiunge la destinazione attesa c’è Valentini.

Questi, però, si è professato innocente da subito. “E’ il sedicente Rossi – spiega il suo difensore, Roberto Acanfora – che gli commissiona il trasporto, durante il quale viene inviato ad altra destinazione. Lui esegue, perché risponde a chi l’ha incaricato. La domanda è: era consapevole? Per noi no”. Per la Procura, però, “non lo si può pensare in buona fede. Non si sarebbe fermato in autogrill a Viverone” a lungo, come mostrato dal suo tracciato telefonico. “Sarebbe andato dove doveva” ha aggiunto il pubblico ministero nella sua requisitoria.

Il giudice, però, ha accolto la tesi difensiva, pronunciando per lui l’assoluzione. Il difensore di Votta, l’avvocato Mauro Belmonte, ha puntato a smontare l’ipotesi accusatoria sostenendo che “Votta non è mai stato presente nella fase in cui si organizzavano artifizi e raggiri in Cervinia” e “non ha partecipato alla truffa vera e propria”. Parole che, in questo caso, non hanno convinto il magistrato. Le motivazioni della sentenza sono attese entro 90 giorni.

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