Una proposta di legge per implementare il cosiddetto Workers BuyOut, ovvero il processo di salvataggio di imprese fallite o a rischio di chiusura da parte degli stessi lavoratori e lavoratrici che, costituitisi in cooperativa, possono acquisirne la proprietà investendo le indennità loro spettanti nel capitale sociale delle imprese recuperate.
Questa è la proposta di legge presentata da Adu VdA – Ambiente diritti uguaglianza Valle d’Aosta -, che trova fondamento nella legge nazionale Marcora 49/1985, attiva dal 1985 e poi più volte aggiornata.
Grazie ai fondi messi a disposizione negli anni – scrive Adu in una nota -, oltre 10mila lavoratrici e lavoratori hanno potuto garantire la continuità produttiva delle loro imprese, garantendo la salvaguardia dei livelli occupazionali e impedendo la desertificazione produttiva e sociale delle loro comunità.
“La nostra riflessione – ha spiegato Alex Glarey, componente della Segreteria di Adu – parte dal fatto che la crisi sanitaria è ormai una crisi economica e sociale. Al fianco dei necessari interventi strutturali serve immaginare degli strumenti che amplino la capacità di risposta degli attori territoriali, stimolando la partecipazione e le competenze di chi, nelle aziende, lavora quotidianamente. Quindi un’impostazione diversa dagli sconti fiscali o da immaginifiche zone franche e contributi a fondo perso per multinazionali che troppo spesso hanno preso i soldi e sono scappate lasciandoci i capannoni vuoti”.
Un cambio di prospettiva, prosegue Glarey, “per non scommettere più solo sugli imprenditori ma anche sui lavoratori e sulle loro conoscenze”, con l’obiettivo di “frenare la crescita della disoccupazione e lo smantellamento degli impianti”.
Un “tassello” lo aggiunge Aldo Viapiana, docente universitario membro della Rete italiana delle Imprese Recuperate: “Le imprese recuperate sono società cooperative formate dai lavoratori delle aziende in crisi, che hanno riattivato autonomamente la produzione e la socializzazione dei luoghi di lavoro, altrimenti destinati alla chiusura o alla disoccupazione. Aziende in crisi, quindi, che i lavoratori si fanno carico di rilanciare”.
Diversi i vantaggi che Viapiana elenca: “La conservazione delle aziende, oltre all’occupazione, irrobustisce la filiera produttiva a partire dai fornitori, ma anche le altre aziende che lavorano assieme e porta oltretutto ad una ricaduta sul territorio per il piccolo indotto locale che beneficia del fatto che un’azienda non chiude. Senza parlare del risparmio sugli ammortizzatori sociali”.
Poi, qualche cifra: “A fine 2018 – chiude Viapiana – , guardando i bilanci studiati da Legacoop, abbiamo più di 110 imprese recuperate attive, che occupano 4100 persone dirette e fatturano all’incirca mezzo miliardo a livello aggregato”.
La proposta di Adu
La proposta avanzata da Adu prevede due strumenti di sostegno: un Fondo di rotazione per il recupero d’impresa, che permette di agevolare la formazione del capitale sociale e il passaggio di proprietà delle imprese recuperate; e un finanziamento a tasso agevolato destinato agli investimenti nelle imprese oggetto di recupero e di quelle in attività, oltre a quelle che gestiscono attività confiscate alla criminalità organizzata.
Inoltre, in vista, ci sono anche uno Sportello regionale per il sostegno tecnico e operativo ai lavoratori e alle lavoratrici che volessero intraprendere la sfida del recupero d’impresa, oltre a due Convenzioni: una con gli enti accreditati e una con i sindacati e le centrali cooperative, per rafforzare e monitorare gli strumenti regionali dedicati ai Workers BuyOut.
“È una proposta che vogliamo consegnare al dibattito pubblico e politico – spiega invece Matteo Castello, membro del coordinamento di Adu -. Non è una proposta inedita, esistono diverse normative per l’implementazione degli strumenti regionali sulle imprese recuperate, e per sfruttare queste buone pratiche. Questa proposta si adatta particolarmente bene al panorama valdostano, ed i vantaggi sono quelli del vedere i lavoratori protagonisti ed evitare che le crisi aziendali si si portino alla desertificazione. Anche perché le aziende spesso sono realtà dinamiche, innovative e moderne”.