Elisabetta Liuzzo: ecco come abbiamo scattato l’immagine del buco nero al centro della Via Lattea
Sagittarius A*, la prima immagine del buco nero super massiccio al centro della Via Lattea. Un risultato di rilievo internazionale per la ricerca scientifica che può contare, ancora una volta, sul contributo della valdostana Elisabetta Liuzzo. La ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) è intervenuta durante la conferenza stampa, organizzata giovedì 12 maggio a Roma e trasmessa in streaming, per annunciare i risultati del Consorzio internazionale Event Horizon Telescope.
Laureata in Astrofisica e Cosmologia all’Università di Bologna, Elisabetta Liuzzo ha avuto un ruolo attivo nel team impegnato nella calibrazione dati.
L’ombra del buco nero
“Stiamo guardando la luce emessa dal materiale poco prima che venga inghiottita dal buco nero” spiega la ricercatrice. Acquisita osservando il centro della galassia, nella direzione della costellazione del Sagittario, l’immagine ritrae ”un disco scuro circondato da una struttura brillante a forma d’anello. La parte interna è detta ombra del buco nero”. Osservando l’immagine colpiscono tre picchi più brillanti “che potrebbero essere dovuti alla variabilità dell’oggetto”. Di fondamentale importanza è l’ombra del buco nero, la sezione interna di colore scuro, che segnala la presenza dell’orizzonte degli eventi: la cosiddetta frontiera di non ritorno, “cioè quella superficie oltre la quale la materia non torna più indietro”.
Un radiotelescopio grande quanto il globo per catturare l’immagine
Per acquisire lo scatto “sono stati necessari più radiotelescopi, distribuiti in diversi paesi della Terra. Agli 8 radiotelescopi del 2017, ne sono stati aggiunti altri per aumentare la qualità dell’immagine”.
“Catturare l’immagine dell’ombra di un buco nero richiederebbe un telescopio di dimensioni con diametro di circa 10.000 km, tecnicamente impossibile da costruire. Per oltrepassare questo limite pratico, è stato necessario applicare la tecnica Very Long Baseline Interferometry (VLBI)”. In parole semplici, un insieme di antenne dislocate, anche a distanza di migliaia di chilometri, per simulare un telescopio virtuale delle dimensioni terrestri. Il radiotelescopio, grande quanto il globo, che ha permesso di fotografare la prima immagine del buco nero al centro della nostra galassia prende il nome di Event Horizon Telescope. A migliorare le performance dello strumento, ha avuto un ruolo cruciale Alma. “Senza Alma, interferometro di 66 antenne, non si riuscirebbe a rilevare l’anello di fotoni” chiarisce Elisabetta Liuzzo.
M87 vs Sagittarius A*. Tre anni in più per acquisire lo scatto del secondo buco nero. Perché?
Tre anni fa, nell’aprile 2019, il Consorzio internazionale Event Horizon Telescope annunciava la prima acquisizione dell’immagine di un buco nero. Si trattava di M87, grande 6 miliardi di masse solari e distante dalla Terra 55 milioni di anni luce. Oggi tocca a Sagittarius A*, buco nero nel cuore della Via Lattea con una massa di quattro milioni di masse solari e una distanza di 27.000 anni luce. Entrambi i risultati sono il frutto della stessa campagna osservativa, ma per Sagittarius A* ci sono voluti tre anni in più.
“M87 non è così tanto variabile. Acquisire l’immagine di Sagittarius A* è stato come fare la fotografia nitida di un corpo in movimento. Tra noi e il centro della nostra galassia c’è molta materia che distorce il segnale” illustra la ricercatrice. A causa degli effetti distorsivi “ci sono volute tecniche più innovative per poter analizzare i dati”.
La rilevanza scientifica della scoperta
“Oltre a confermare la validità della relatività generale di Einstein in diversi oggetti, M87 e Sagittarius A*, l’esito della ricerca ci permette di avere un identikit più completo delle leggi della fisica che governano e valgono in questi ambienti gravitazionali estremi molto forti. Con queste misure abbiamo inoltre confermato che l’oggetto scuro e compatto al centro della nostra galassia è un buco nero.
Il risultato è il frutto di una collaborazione internazionale che vede coinvolti più di 300 ricercatori con svariate competenze ingegneristiche, informatiche, astrofisiche e fisiche, 13 istituti stakeholders e più di 80 istituti affiliati di cui 4 italiani.