Ormai, maneggiando numeri quotidianamente, a maggior ragione dopo un anno di pandemia, quasi non ci facciamo caso. I guariti Covid sono anch’essi una cifra, un semplice numero “spizzato” che finisce in una casella che serve poi per far di conto.
Guarire, però, è un’altra cosa, e necessita di tempo e cure. A maggior ragione quando si parla dell’infezione da Covid-19, qualcosa che fino ad un anno fa non conoscevamo e che si comincia ora ad analizzare più in profondità.
Si chiama “Long Covid”, o “Covid lungo”. Sintomi persistenti nel lungo, soprattutto sui pazienti guariti, ma che sono stati colpiti più duramente. Uno studio della rivista Nature parla di un 88% di casi più gravi – il dato è rilevato in Austria – che riportava danni polmonari anche sei settimane dopo le dimissioni dall’ospedale. La rivista scientifica The Lancet, invece, a gennaio pubblicava un altro studio dal quale emerge che circa tre quarti dei pazienti più gravi non sta del tutto bene a distanza di mesi.
Casi che in Valle d’Aosta si sono visti ancora poco, sebbene i “segni” che lascia il Covid-19 sono chiari: “Per diversi mesi si prova ancora una facile stancabilità, astenia, diversi dolori articolari e dispnea, ovvero la mancanza di fiato – spiega il dottor Rodolfo Riva, Responsabile della Struttura Semplice Dipartimentale di Pneumologia e riabilitazione respiratoria -. Una persona ha meno autonomia respiratoria rispetto a prima e questo può durare anche 4 o 5 mesi dopo la malattia, a seconda dei gradi di patologia. Alcuni pazienti rimangono sintomatici, come quelli che hanno avuto la polmonite bilaterale. Quasi tutti, comunque, stanno regredendo e guarendo anche dopo diversi mesi, arrivando quasi alla completa guarigione”.
A questo serve un percorso riabilitativo, per recuperare ciò che diamo per scontato – perché automatico e involontario – ovvero l’atto stesso di respirare: “I fisioterapisti fanno sì che si faccia una riabilitazione respiratoria che è proprio come quella motoria – prosegue Riva -, concentrandosi sulla muscolatura che aiuta la respirazione, per far sì che aumenti la tolleranza allo sforzo. Nel caso dei pazienti Covid bisogna recuperare una parte di polmone danneggiata e rinvigorire i muscoli che favoriscono la respirazione”.
Tante le variabili: “Dipende naturalmente dalla gravità del paziente – aggiunge il medico -. Alcuni hanno una patologia lieve, non hanno neanche problemi saturazione, non hanno bisogno di ossigeno supplementare. Altri invece peggiorano in maniera importante, quindi serve l’ossigeno, servono i caschi Cpap. A volte addirittura la ventilazione polmonare o la necessità di essere ‘intubati’. E l’iter dopo l’intubazione è fatto di cicli di caschi, di ventilazione non invasiva, l’ossigeno con la maschera, per poi tornare gradualmente ad una respirazione indipendente”.
E, come risaputo – soprattutto per il “Long Covid” – è la situazione clinica precedente ad essere decisiva: “Ci sono persone con patologie pregresse come i bronchitici cronici, gli asmatici. Il Covid può lasciare dei residui che possono aggravare in maniera perenne una patologia pregressa. In questo conta anche l’età del paziente. Nelle forme medio-gravi i pazienti devono essere scoagulati con la Calciparina, per riuscire a mantenere il sangue fluido”, spiega ancora Riva.
Alcuni segni rimangono: “Quando un paziente Covid è ad un livello di gravità alto – prosegue il medico – abbiamo una polmonite bilaterale e una polmonite interstiziale che tende a diventare fibrotica. Nei migliori dei casi ci si ristabilisce, in altri rimane invece qualche ‘cicatrice’ fibrotica. È una percentuale minore, generalmente se i pazienti sono curati in una certa maniera, la maggior parte di loro guarisce bene”.
Oltre al fisico, in difficoltà anche motoria nei casi di allettamento prolungato, il Covid – come tante patologie – ha anche altri riflessi: “Noi parliamo di apparato respiratorio, di coagulazione, ma c’è altro – chiude il dottor Riva -. All’interno del gruppo che lavora con in pazienti Covid c’è infatti un supporto psicologico, una psicologa pronta ad intervenire. Purtroppo è l’isolamento a fare tanto, le persone non possono vedere i familiari, mentre i medici e gli infermieri, praticamente tutti gli interlocutori del paziente, indossano degli ‘scafandri’. Dal punto di vista umano c’è purtroppo un distacco che in altre malattie non c’è”.