Nando Dalla Chiesa ad Aosta: “la rimozione del fenomeno mafioso ha provocato disastri”

11 Gennaio 2024

Parte da lontano la lezione tenuta ieri, mercoledì 10 gennaio, da Nando Dalla Chiesa in occasione della conclusione del percorso formativo per “Giovani ambasciatori della legalità”, – organizzato dal Consiglio Valle in collaborazione con l’UniVdA – parte dalle cose che “si raccontano anche dicendo che non ci sono”. Il salone del palazzo regionale, gremito, ascolta in silenzio. Il riferimento del docente universitario, figlio “del Prefetto che verrà ucciso dalla mafia”, è alla “rimozione del fenomeno mafioso”, al dire “che non c’è”.

L’“ora zero” dell’educazione alla legalità

Una tendenza che, rappresentando il miglior favore che si possa fare ad un’organizzazione criminale,  “ha provocato dei disastri”, che Dalla Chiesa individua senza giri di parole: “ha provocato l’offensiva di Cosa Nostra allo Stato dal 1979 al 1993”. In quella “pagina unica nella storia del Paese”, è il 1980 quando sotto i colpi dei sicari mafiosi cade a Palermo Piersanti Mattarella.

Da quel fatto di sangue, insiste a ricordare il professore, “nasce l’educazione alla legalità”. Nasce, “perché era stata uccisa la più alta autorità politico-istituzionale della Sicilia”, ma non solo, perché Dalla Chiesa aggiunge una parte di ragionamento spesso non esplicitata (ma che apre scenari profondi), ricordando come il fratello dell’attuale Presidente della Repubblica, sulla scena politica nazionale, fosse “considerato l’erede di Aldo Moro”.

La lezione di Nando Dalla Chiesa ad Aosta.

Il movimento antimafia nato a scuola

“La Sicilia capì benissimo cosa era accaduto. Sbandò, ma non riuscì a dirlo” – scandisce il professore. Però, “cercò una risposta decente e la trovò nella nascita dell’educazione alla legalità”. La legge regionale che per la prima volta introdusse nelle scuole programmi di studio incentrati sulla mafia, “nasce da un trauma”, la cui “vastità e profondità io riassumo nella frase di un ragazzo di Palermo: ‘non possiamo vivere in una città in cui ogni mese si mette una lapide nuova’”.

E l’Italia “non sa quanto deve essere grata agli insegnanti che all’inizio degli anni ’80 hanno deciso di intraprendere questa strada”, con le difficoltà dovute al fatto che “non sapevano cosa fosse la mafia”, ma si sono documentati, cercando ciò che esisteva, inclusi i primi film sul tema. Resta che “il movimento antimafia è nato nella scuola”, non nelle Università, dove sul tema regnava spesso lo stesso silenzio proferito dalle Istituzioni.

“Educazione alla legalità è educazione al conflitto”

C’è poi un’altra frase di un suo studente che Dalla Chiesa, titolare delle cattedra di Sociologia della criminalità organizzata all’Università di Milano, ricorda con enfasi, quella per cui “l’educazione alla legalità è l’educazione al conflitto”. Non può che essere così, perché “è costoso. Non è che ti ribelli alla mafia gratis. Confliggere con un potere che spara non è uno scherzo. Anche perché non è protestare. Proponi anche le tue ragioni”.

Il terreno, dal punto di vista sociale, peraltro, è estremamente sdrucciolevole: non c’è solo la rimozione, che rimane “il miglior alleato delle organizzazioni mafiose”, ma anche un altro aspetto da tenere in debita considerazione. Dalla Chiesa lo racconta attingendo ad un caso esemplare di infiltrazione: “le mafie in Lombardia non hanno trovato culture complici, ma culture compatibili. Le compatibilità sono il problema”.

La lezione di Nando Dalla Chiesa ad Aosta.

La fatica, strumento di libertà

La responsabilità “è di una società che non decide di sposare la mafia, ma che vive in un mondo che permette alla mafia di affermarsi”. Come? Ad esempio con la raccomandazione, “un modo che consente di infiltrarsi negli enti pubblici”. E chi ne è destinatario, spesso un giovane, “non riesce a sentire l’orgoglio della fatica, perché quella cultura non gli viene instillata”. La fatica è lo strumento fondamentale per dare libertà alle persone.

Non a caso, Dalla Chiesa lo ricorda con orgoglio, il discorso del padre al liceo Garibaldi di Palermo (quello in cui “Io sono come una fiammella che lo Stato ha voluto accendere in questa capitale bellissima che è Palermo…”) è “tutto basato sulla fatica”. Anche perché la raccomandazione è “una scorciatoia, che permette di fare carriera a prescindere dai propri meriti”, ma “il deviante, in una società dominata dalla mafia, è l’imprenditore che sogna il mercato, è quello che chiede i diritti”.

Ecco che, ha concluso il professore, “mi piace pensare che questa educazione alla legalità stia diventando un biglietto della comunità italiana all’estero”. “Abbiamo avuto pessimi ambasciatori, che hanno diffuso la mafia, e ora abbiamo dei buoni ambasciatori, che promuovono un’immagine diversa del nostro Paese”.

Bertin: “Non esistono isole felici”

L’incontro di ieri, moderato dal giornalista Claudio Forleo, rientrava tra le attività d’informazione dell’Osservatorio regionale antimafia. Prima di Dalla Chiesa era intervenuto il presidente del Consiglio, Alberto Bertin. “La mafia della coppola e della lupara non esiste più da lungo tempo – ha detto – Resta l’obiettivo di fondo, la conquista del potere e del denaro. Infiltrando l’economia, infiltrando la politica. Sostituendo la buona economica, con la cattiva. Bisogna tenere presente che i soldi, il denaro sporco, che talvolta restano sul territorio, non creano mai benessere”.

Un esempio, per Bertin, è molto chiaro: “La ‘ndrangheta fattura milioni con lo spaccio di stupefacenti e la Calabria resta tra le regioni più povere d’Europa. Non bisogna illudersi che i soldi sporchi creino ricchezza”. E poi “non esistono le isole felici. Non sono mai esistite. Né qui, né altrove. E’ stato anche accertato giudiziariamente, con una sentenza definitiva, che ha sancito l’esistenza di una ‘locale’” ad Aosta. Forse, proprio quest’ultimo, è il miglior punto di partenza ideale per i ragazzi che, dopo i diversi interventi, hanno ricevuto l’attestato di “Giovani ambasciatori della legalità”.

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