Smartworking e didattica a distanza: il salto mortale delle famiglie in quarantena

24 Aprile 2020

Come vivono le mamme e i papà all’interno mura domestiche in questo lungo periodo di quarantena? Come riescono a conciliare il lavoro, la cura della casa, la preparazione dei pasti e l’accudimento dei figli alle prese con i compiti e la famigerata didattica a distanza?

Se lo chiedono in tanti. Le risposte non sono univoche, ma hanno, di fatto, un denominatore comune: la fatica. Il quadro della vita familiare è profondamente cambiato, così come è modificata la routine delle giornate. “I ritmi consueti sono di fatto stravolti, i bambini per lo più vanno a dormire tardi, abbiamo la sensazione di vivere in casa da secoli e una una dimensione di sospensione” ci racconta Erika Iamonte, mamma di Andrea che frequenta la prima elementare.

Erika è anche educatrice del convitto Federico Chabod di Aosta e continua, seppur a distanza, a seguire i suoi ragazzi delle superiori. Un osservatorio privilegiato il suo, ma al tempo stesso una condizione comune a molte famiglie. “Sono tutto il giorno sola a casa con il bambino, mio marito lavora nel settore amministrativo dei Vigili del fuoco, una realtà che non si è fermata, e in questo periodo ha dovuto rinunciare a ferie e permessi per cui può affiancarmi solo nel fine settimana”.

Così per Erika come tante altre mamme si barcamena tra una call con i ragazzi e la gestione dei compiti di Andrea. Anche i ritmi consueti del lavoro sono diventati. “Prima lavoravo solo al pomeriggio, adesso è tutto più anarchico e attraverso le piattaforme con i ragazzi o con i loro genitori mi sento in ogni momento”.

Mentre lavoro cerco di tenerlo impegnato, gli trovo un gioco o un’occupazione”. E nei momenti di sovrapposizione si sente pesantemente la mancanza della scuola. “Stiamo capendo che la scuola è un’istituzione che da’ respiro a chi lavora e allo stesso tempo è un luogo dove si creano amicizie, relazioni, importantissime per chi, come Andrea, è figlio unico”.

La grande fatica di questo periodo, Erika sottolinea, è legata alla sovrapposizione dei ruoli. “Siamo chiamati ad essere genitori, educatori, colf, insegnanti, lavoratori, tutto insieme”. E dal momento che l’insegnamento è una professione complessa, delicata e per cui non ci si improvvisa non è detto che tutto vada sempre nel verso giusto. “Con Andrea ci siamo organizzati: i compiti si fanno al pomeriggio, al mattino ha bisogno di sfogarsi. Però non è la stessa cosa studiare in classe con la maestra o con l’educatrice: con la mamma le proteste sono più frequenti”. “Soprattutto quando sono piccoli – sottolinea Erika – è difficile far loro capire che non sono in vacanza, che la scuola è solo sospesa”.

Sulla didattica a distanza Erika si è fatta un’opinione chiara: “La cosa più difficile è stata partire, diciamole le piattaforme sono state tirate fuori dagli scatoloni in una situazione di piena emergenza, anche se i soldi stanziati per la formazione a distanza c’erano anche prima.” E così si sono create grandi disparità tra scuole. “Di fatto la didattica a distanza è diventata obbligatoria solo dal 9 aprile, prima di quella data c’è stata l’anarchia“. Da una parte gli insegnanti che con professionalità si sono messi all’opera per trovare e apprendere piattaforme approvate e certificate, dall’altra chi, per impreparazione o perché ha sottovalutato questa sospensione pensando che sarebbe stata più breve, è partito in ritardo e con grande fatica. “L’amministrazione regionale dal mio punto di vista si è mossa abbastanza rapidamente mettendo a disposizione gratuitamente quasi subito google meet per riunioni e lezioni online”.

Erika evidenzia poi il grande gap che si crea tra gli alunni. “Se la scuola livella e appiana le differenze, la didattica a distanza sta mettendo in luce in maniera drammatica la differenza sociale, la disparità di mezzi e di opportunità tra i bambini”. Da una parte ci sono le famiglie con determinati mezzi, in grado di procurarsi di procurarsi i dispositivi telematici per le lezioni online e  di seguire i figli nei compiti, dall’altra ci sono nuclei più in difficoltà per risorse e competenze. “Non è un caso – conclude Erika- che dal 3 marzo vi siano bambini che sono praticamente spariti, che non hanno più alcun contatto con la scuola”.

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