Quest’anno, mio prode compagno di vita, nel paradosso di un dramma nazionale, festeggi il tuo compleanno tutto il giorno a casa, con la tua famiglia, per la prima volta. E come te oggi molti altri padri, in modo inedito, celebrano “la festa del papà” a casa con i figli. Eh già, tutti gli anni la gente ti fa gli auguri il 19 marzo, ma solo gli amici stretti sanno che per te sono auguri doppi. Hai avuto la sorte di nascere proprio questo giorno, e spesso penso che non sia un caso, perché tu nella vita hai davvero scelto di essere padre.
Forse non te l’ho mai detto abbastanza, ed allora in questo compleanno speciale vorrei proprio ringraziarti per aver deciso, molti anni fa, con coraggio, di non essere solo ‘un padre in panchina’, un degno sostituto chiamato al bisogno, un padre a bordo campo in una partita familiare dove l’arbitro è sempre la donna. Molti padri spesso rimangono intrappolati in quel ruolo, perché la nostra società ancora li vuole così, perché se un padre prende il congedo parentale gli viene scioccamente detto “ahh, fai il mammo”, perché un uomo per valere deve stare minimo 8 ore al giorno al lavoro, e se rinuncia a spazi di carriera per dedicarsi ai figli è visto, ancora, come un uomo strano o, peggio, come uno sfigato, soprattutto se lo fa per consentire la carriera lavorativa alla sua compagna. E poi perché in quei ruoli intrappolati ci stanno anche le donne, spesso le prime artefici del gioco subdolo nella coppia genitoriale, le madri che “ahh, dallo a me se piange, che non sai come cullarlo”, le madri che “ti lascio qui pronti i vestitini da mettergli domani mattina, che esco presto”, le madri che “potresti sparecchiare tu stasera, che devo finire di aiutarlo con i compiti?”, le madri che, come insensate wonder woman, pensano di saper fare tutto bene solo loro, e così finiscono per mettere i loro compagni-padri in panchina, per poi lamentarsi che “non sono aiutate”. E molti padri, alla fin fine, ci stanno seduti ben comodi, su quella panchina. Perché non dovrebbero?
Okey, ammettiamolo, la sottoscritta qui presente non ci ha mai pensato neppure un minuto a farti fare il genitore di serie B, ti ho sempre voluto in prima linea al mio fianco, nelle notti insonni, nelle prime pappine, nelle soddisfazioni scolastiche, nelle scelte educative, nei dialoghi con i figli. Ammettilo, in questi casi una moglie un po’ femminista ingombra, ma serve! Eppure tu avresti anche potuto dire ‘no grazie’, dire che l’educazione è ‘cosa da donne’, e fermarti ad insegnare le classiche cose da padre. Ma sei andato oltre, in quell’oltre che vorrei vedere abbracciato da sempre più padri, oggi.
Vorrei vedere padri, oggi, che sanno stare con i figli, e non solo fare con i figli. Vorrei vedere padri autonomi, che rivendicano con dignità il loro ruolo, che sanno dire ad una compagna-madre presa da delirio da superpoteri: “posso farcela, tranquilla”. Ma allo stesso tempo vorrei vedere più padri che la smettono di disegnare su quel divano la loro maledetta sindone, che la smettono di sedersi comodi nella loro confort-zone, autorizzati da quei diabolici stereotipi di genere ancora così presenti, che la smettono di giocare la parte del “ma lei lo sa fare meglio di me”. Col cavolo! Perché, ammettiamolo, se togliamo il partorire e l’allattare, per il resto la natura ci ha dotato degli stessi microchip con dentro il file “genitorialità”. Ognuno con le sue caratteristiche, perché il padre non deve essere una fotocopia della madre, né viceversa.
Anni fa, in un articolo, avevo scritto alcune caratteristiche per descrivere i Nuovi Padri, quelli che stanno tracciando nuove e affascinanti strade nel loro percorso di genitori. Ti confesso che non ci avevo messo molto, ad individuarle. Sapevo da chi ispirarmi!
E allora auguri di cuore, amorevole compagno della mia vita, che hai saputo essere padre camminando ogni giorno con me sullo stesso sentiero, ognuno col proprio passo, col proprio stile, alternandoci il carico, sempre con leggerezza e col sorriso. Quello, soprattutto, ha fatto la differenza. Il sorriso.
Ed auguri a tutti i padri, con la speranza che Nuovi Padri, poco alla volta, scelgano tutti di esserlo, e magari, perché no? di esserlo cosi:
1)Nuovi Padri sanno essere affettuosi. Sanno che si può giocare con un figlio e coccolarlo, senza per questo perdere in autorevolezza. Sanno emozionarsi e possono piangere, legittimando il gesto ai figli maschi e evitando le derisioni alle figlie femmine. I Nuovi Padri sanno parlare delle loro emozioni, o almeno ci provano. Almeno sanno che è importante.
2)I Nuovi Padri sanno però essere anche normativi. Sanno che le regole danno sicurezza. Non delegano sempre alle madri, con la scusa che ci sono poco. Sanno reggere alla fatica di dare e dire dei no, i famosi “no che aiutano a crescere”. E sanno reggere alla rabbia del figlio. Perché sanno che ai figli bisogna donare amore, ma anche resilienza.
3)I Nuovi Padri sono solidi, ma non rigidi. Non cercano l’approvazione dei figli, perché sanno che non è questo il tempo. Ma non pensano che i loro figli, quando diventano ragazzi, abbiano solo ‘grilli per la testa’, perché guardano ai loro figli con curiosità e stupore. E li valorizzano. E li aiutano a coltivare i loro talenti.
4) I Nuovi Padri costruiscono la loro forza sapendo che nella vita si può anche essere deboli. Deboli, badate bene, non fragili. Sanno che non c’è una risposta a tutto, e che a volte i dubbi vanno ascoltati. Non coltivano il pensiero unico, ma una genitorialità condivisa con la loro compagna. Sono alleati nella coppia. E rimangono padri, anche se la coppia si spezza.
5) I Nuovi Padri, soprattutto, sanno ascoltare. Ascoltare non per legittimare le richieste più assurde dei figli, non per concedere sempre ai figli tutto ciò che chiedono. Quella è la strada più facile per costruire l’illusione della paternità. E per rendere un figlio fragile. I Nuovi Padri ascoltano e chiedono “come stai” ad un figlio, perché sanno che solo ascoltando profondamente il mondo dell’altro, ed imparando a decentrarsi, potranno essere degli uomini migliori. Dei Padri migliori.