Cosa spinge una persona a lasciare un lavoro sicuro da dipendente, mettersi in proprio e fare orari massacranti, di 14-15 ore al giorno? “Non ce l’ha ordinato il dottore. Non lo fai per soldi, ma per passione, perché ti piace stare all’aria aperta e ami quello che fai”. La storia di Ildo Abram, agricoltore di Doues, è una storia fatta di amore per il suo lavoro ed una continua lotta con le incombenze e le difficoltà.
Nell’86, dopo essersi sposato con Tiziana, decidono entrambi di lasciare il proprio lavoro (casaro in una latteria del capoluogo lui, dipendente di un bar-ristorante lei) e di avviare la propria azienda agricola, lasciata loro dalla famiglia di Ildo: “Sono nato vicino alla latteria, per me era una cosa di tutti i giorni. Un giorno – avevo 19 anni – una persona che lavorava lì si è ammalata, ed i vicini mi hanno detto “Vai, è il tuo momento”. Ho lavorato lì per più di vent’anni, poi nel ‘91 abbiamo costruito qui la stalla. Avevamo dei terreni di proprietà, altri li abbiamo acquistati: non ho mai fatto altro, già il mio bisnonno faceva questo lavoro. Avevamo una stalla in paese, ma la vita agricola, con i suoi cambiamenti, necessitava di spazio e non si poteva convivere nei borghi con chi non fa questo mestiere”.
Nel 2003 hanno costruito la casa, poi nel 2011 un’altra stalla. Con loro ci sono i figli Christopher, Alex e Nicholas; il primo aveva studiato all’Institut Agricole e aveva già l’idea di seguire le orme del padre, ed ora anche gli altri due. “Il futuro dell’azienda è nelle loro mani, vogliono continuare questa vita. È dal ‘75 che mungo mucche, sarebbe ora di tirare i remi in barca: lavorare per più di 40 anni così, senza ferie o giornate libere, è pesante”, dice Ildo. “È stata comunque una scelta nostra, che rifarei”.
Hanno circa 130 capi, di cui qualcuno per le batailles (“è più un hobby che un guadagno, il lavoro deve anche dare soddisfazioni, non solo sofferenze”), e dal 2015 hanno un alpeggio a 2400 metri nella zona di Ollomont. D’estate c’è anche un dipendente: “Non si trova più manovalanza sul posto, bisogna ricorrere agli stranieri. I nostri non si prestano più a questo tipo di lavoro, scelgono delle strade più facili”. Ildo, con il suo savoir-faire acquisito con anni di esperienza, produce fontina e fa il jolly tra l’alpeggio e la stalla.
Ora è il periodo del Carnevale, che nella Coumba Freida è sentitissimo: “Fa parte della tradizione del mondo agricolo, rientra in un ciclo di avvenimenti che ti portano nelle case delle famiglie: un momento d’incontro, di scambio, di allegria, anche per le persone anziane. Quando andavamo a scuola, la maestra ci chiedeva quali fossero le feste più importanti, e noi rispondevamo sempre Natale e Carnevale”.
“Nel nostro lavoro c’è troppa burocrazia, sarebbe bello poter lavorare con calma e con una programmazione precisa in base ai contributi”, continua. “Noi comunque cerchiamo di essere sempre autonomi. Come dico sempre, siamo i giardinieri della Valle d’Aosta, senza di noi non ci sarebbe turismo, ci vorrebbe un po’ più di rispetto. Il mondo agricolo deve adeguarsi ai tempi moderni, e non sempre è facile. Quando mia mamma mi ha passato l’azienda avevo un bauletto di documenti, ora un ufficio intero. La nostra passione non è correre dietro alla burocrazia ma stare all’aria aperta e lavorare. Mio figlio dice sempre: “Si sta molto meglio in alpeggio: si fatica, ma almeno si è lontani da certe incombenze”.