Le maschere prima o poi cadono, come le lacrime che ci separano, e ad un certo punto diventa tutto sopportabile, le zavorre diventano fiori e anche novembre è un mese bellissimo.
Che cosa vi manca ancora? Io non lo so, ma questo mondo di vedere le cose mi fa abbastanza cagare, ogni giorno di più, e come dice un mio amico: facciamo i salti mortali e poi sono le cose semplici che funzionano.
Continuerò ad amare perché continuerò ad essere irrazionale, folle, incoerente, incompleto. Amo gli errori perché non imparo mai, e allora cosa aspetto a farne un altro?
Un omicidio in diretta non ci fa agire, piuttosto lo filmiamo e fotografiamo. L'azione comporta una messa in gioco che non siamo più in grado di sopportare: in qualche modo lo schermo del telefono è diventato una sorta di scudo, un risveglio durante un incubo che ci salva e protegge. La tecnica ha sostituito l'umanità, un'umanità stanca che si stupisce solo se la vittima è occidentale.
Essere testimone di una valanga è stato terribile: la decelerazione dell’umore repentina, la voce silenziosa della montagna che andava in frantumi, qualcosa di incontrollabile che stava accadendo proprio sotto ai nostri occhi, qualcosa che ormai non avremmo più potuto evitare. Stava succedendo, e noi eravamo lì, nel posto sbagliato al momento sbagliato.
"Le Batailles de Reines, al contrario del nome che potrebbe risuonare belligerante, sono invece la più bella dimostrazione d’amore che ci possa essere tra uomo e animale". A raccontarcelo, con tantissime fotografie scattate su pellicola, è stato il sodalizio Miseria Nera, composto dai fotografi Luca Benedet e Matteo Bosonetto.
Il primo Pride della storia ad Aosta e la seguente festa al Fashion raccontati in circa 200 scatti, per un'edizione della rubrica WildAosta molto più selvaggia del solito.
Credo nella memoria cerebrale perchè nell’epoca delle “memorie digitali”, così effimere come lo sforzo che facciamo per riempirle, ci fa soffermare sulla mancanza anzichè sull’abbondanza, e credo che abbiamo bisogno di mancanze per poterci rendere conto di quello che abbiamo, per farlo risplendere, per esaltarlo.
La prima estate dell’incontro, dopo mesi di letargo, dopo musiche dello stereo, ho ascoltato le chitarre fischiare e le casse ribollire, era il mio corpo che ne aveva bisogno, il mio spirito che si schiantava e urlava, l’abbandono più rivendicato che abbia mai provato.
La montagna è vita, certo. E la vita merita rispetto, la vita di tutti però, non solo di quelli che la montagna la possono frequentare in prima fila, con l’abbonamento. Gli slogan sono facili da indossare, rendersi conto del concreto lo è un pò meno.
Com’è vero che uno champagne patisce la sconfitta, quando la forbice delle possibilità si stringe non resta altro che procurarsi un coltello e sfidare il consenso.
Mi sono illuso, illuso che questa pausa forzata potesse caricarsi di pensieri costruttivi rispetto al domani, che potesse portare un pò di sano socialismo e mutualità, e invece siamo all’esame di maturità senza nemmeno il dizionario di italiano.
Mi chiedo cosa ci abbiano insegnato questi giorni di pausa forzata, se veramente sono stati colti come fiori di montagna o se non vediamo l’ora di strapparli per farci belli davanti alla ragazza dei nostri sogni.
Abbiamo, o avremo, una coscienza più ricca dopo questa pausa, cerchiamo di investirla nel migliore dei modi, ce lo dobbiamo ma soprattutto glielo dobbiamo.
Avevamo scelta e ce ne siamo accorti da un giorno all’altro, come tutte le cose belle ci manca quando è assente, ci manca perché era normale andare al bar sgomitando al bancone e guardarsi intorno cercando occhi amici o una donna con bellissime gambe pronte a stringerti qualche ora dopo.