Tu lo sai chi era Fred Beckey?

Ma certe anime le incontri nelle canzoni o sui libri, nei documentari o in qualche fotografia e cazzo se ti ci butti dentro quando succede, quei 21 grammi si trasformano in tonnellate inesplorate.
rifugio misérin
WildAosta

Tu lo sai chi era Fred Beckey?

Questa sera ho fatto due scoperte, no scusate, ho incontrato due persone, due persone totalmente distanti fra loro, ma forse nemmeno così tanto.

Ho incontrato Lucio Dalla e Fred Beckey.

Lucio l’ho sfiorato da bambino, nelle cassette di papà e per quelle due canzoni su Senna e Nuvolari.
Lucio l’ho incontrato dentro una meraviglia di canzone, una di quelle che ascolti per la prima volta e appena finiscono hai già voglia dell’inizio. La sera dei miracoli è un dipinto di Caravaggio, un pezzo talmente intimo da essere universale, un intaglio perfetto di musica e parole, e per quanto la perfezione sia a me antipatica, devo dire che qui è piuttosto caravaggesca appunto, non avrebbe senso affermare il contrario, figuratevi non rendersene conto.
Lucio è morto il primo marzo del 2012, a 69 anni.

E poi ho incontrato lui, tale Fred Beckey di Dusseldorf, Germania.
Fred ha passato la sua vita macinando miglia e miglia sulle strade del Nord America al volante di una Thunderbird rosa manco fosse un personaggio di Kerouac, facendo quello che più amava: arrampicare.
Ha aperto innumerevoli vie in solitaria, la prima a 16 anni, su montagne brutali che non avevano nomi altisonanti, anzi, non li avevano proprio i nomi visto che nessuno prima di lui si era mai sognato di andare a rischiare la vita lassù.
Ha fatto cose senza telecamere attorno che se qualcuno si sognasse di farle ora avrebbe anche le mutande sponsorizzate e invece no, a lui non glien’è mai fregato un cazzo della notorietà, era talmente ossessionato da quelle conquiste che forse definirlo poeta sarebbe come affermare che l’arrampicata sia uno sport. Eh no, e le regole dove le metti?
Fred era un fottuto genio, un archivio umano di quelle montagne lì, viveva in macchina insieme alle cartine del territorio e ai taccuini descrittivi delle sue scoperte, vestito come un barbone, mangiando nei peggiori fast food del paese, nessuna dieta o integratori.
Ma quello che più mi si è attaccato dentro è stato il suo menefreghismo rispetto all’età: arrivato a 90 anni ha pubblicato un libro con le sue “100 Favorite North American Climbs” e tra queste ne aveva inserite 4 che non aveva mai compiuto.
A 90 anni.
Ha provato la prima e ha ceduto, idem per la seconda, la terza e la quarta.
A 90 anni.
In quelle immagini trasudava la sua rabbia nell’essere dentro quel corpo, ma la rassegnazione, cazzo quella no, zero, nemmeno una briciola. Era lì, quasi piegato in due a provare a salire quei blocchi senza fine, cristo conosco persone di vent’anni che fanno fatica ad andare a prendere il pane in bicicletta.
A 90 anni.
E in tutto questo c’era una voglia di vivere che servirebbe a far resuscitare i morti.
Fred è morto il 30 ottobre del 2017, a 94 anni.

All’inizio di questo articolo ho parlato di incontro per un motivo che ritengo piuttosto valido: talvolta non è necessario stringere la mano a una persona o scambiarci quattro parole per dire che l’abbiamo conosciuta, perché quello non succederà mai, né a me né a voi, nessuno conosce chi gli sta di fronte o accanto, che siano due minuti o 50 anni di matrimonio.
Mai.
Ma certe anime le incontri nelle canzoni o sui libri, nei documentari o in qualche fotografia e cazzo se ti ci butti dentro quando succede, quei 21 grammi si trasformano in tonnellate inesplorate.
Si dice di una canzone che la fai tua, ma chissà quante altre persone lo pensano e forse è anche questo che ci rende simili, ci accomuna, ci avvicina, finché dura, sia chiaro.
Personalmente sono sempre stato attratto dagli emarginati, dalle storie tristi e romantiche, malinconiche ma nobili, come quelle di Fabrizio e Gigi, di Walter Bonatti, Senna e Baggio, di Gilles e Amedeo, di Chet Baker e Kurt, Syd Barrett, Joe Strummer, James Hunt e Maradona.
Il Torino del ’49.
John Frusciante e Jay Adams.
I pirati e gli indiani.
Michael Jordan e Hunter Thompson.
E’ quella roba lì che cerco nei miei “idoli”, l’apice e l’abisso, la gloria e l’autodistruzione.
Il destino.
La rivincita, la poesia.
La sofferenza.
Il menefreghismo e l’imperfezione.
Ma più di tutto l’essenza.
La sostanza, il fuoco.
Mi accorgo che sono pochi i vivi in quest’elenco appena stilato, sono pochi sì, ma come Fred, potevano riempirci il cielo con quell’anima che si ritrovavano, avrebbe potuto bruciare per secoli ancora ma forse, se ne sarebbero accorti solo i pompieri.

Che splendida utopia.

0 risposte

  1. Bellissimo magnifico , a mio modesto parere questo personaggio ricorda
    lo spirito Valdostano fare lavorare soffrire in silenzio
    bien faire et laisser dire

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