E’ stata dedicata interamente ai testimoni citati dai difensori di Antonio Raso, il ristoratore aostano accusato di essere al vertice della “locale” di ‘ndrangheta attiva ad Aosta secondo i Carabinieri e la Dda di Torino, la nona udienza del processo “Geenna”, tenutasi oggi, giovedì 2 luglio, a Palazzo di giustizia. Tra questi, anche la moglie di Raso, Maria Elia, che ha sottolineato come il marito, a fronte delle richieste di sostegno dei politici candidati che frequentavano “La Rotonda” in prossimità delle elezioni, “diceva a tutti ‘sì’”, perché “doveva lavorare, mantenere i rapporti con tutti”. Insomma, “era un bravo venditore”.
“Mio marito è venuto in Valle come tanti”
La donna ha altresì ricordato che “mio marito è venuto su in Valle d’Aosta come tanti ragazzi” ed “è stato la persona più importante, dopo nostro padre”. “Lui, oltre alla sua, – ha proseguito Elia – guardava anche la nostra famiglia”. Alla domanda dell’avvocato Pasquale Siciliano (co-difensore con il collega Ascanio Donadio) sulle condizioni economiche familiari, la testimone ha spiegato che “finché non ci hanno sequestrato i beni andava bene (la misura è scattata, da parte della Dia, nel dicembre 2019, ndr.). Ora, faccio un po’ fatica”.
Di Donato? “L’ho conosciuto 35 anni fa”
Nella deposizione si è parlato anche di Marco Di Donato, imputato nel filone processuale torinese di Geenna (ha scelto il rito abbreviato) perché ritenuto capo della cellula ndranghetista del capoluogo. “E’ stato uno dei primi ragazzi che ho conosciuto quando sono arrivata in Valle d’Aosta, 35 anni fa”, ha affermato la donna. Elia ha riferito di sapere dei suoi precedenti, ma di non aver ritenuto disdicevole che frequentasse la “Rotonda”, perché “ha pagato per i suoi errori ed era giusto dargli una possibilità”. Inoltre, “il ristorante era frequentato da poliziotti e carabinieri e questo mi dava tranquillità”.
“Andiamo a San Giorgio ogni anno”
Quanto ai viaggi a San Giorgio Morgeto, ci “andavamo ogni anno, chiudendo tutto il mese di agosto”. La famiglia è molto numerosa, perché “solo dalla mia parte siamo nove figli” e, considerando cugini ed altri parenti, “saremo una cinquantina tra tutti”. Dalla testimonianza è pure emerso come, dopo l’arresto di Raso, la pizzeria abbia subito una rapina e l’uomo arrestato dai Carabinieri e dalla Polizia per quel crimine (il 31enne Andrea Ammendolia) è noto alla donna perché “ha lavorato al ristorante” ed è “di San Giorgio Morgeto”, dove “è vicino di casa di mio marito, tra l’altro” e “penso lo abbiano trasferito là ai domiciliari”.
La tentata estorsione “ci ha fatto preoccupare”
I difensori di Raso sono quindi tornati sul tentativo di estorsione per cui, dinanzi al Gup di Torino, è a processo il 52enne Salvatore Filice. La vicenda nasce dal litigio tra due adolescenti, tra i quali un nipote del ristoratore, che in una precedente udienza ha raccontato di essersi sentito chiedere dal padre dell’altro contendente diecimila euro per i danni inflitti al ragazzo. In quella circostanza, stando ai racconti testimoniali, Filice avrebbe mostrato anche una pistola. Elia lo ha definito “un episodio che ci ha fatto preoccupare tutti”, in cui “mio marito ha cercato di aiutare” il parente coinvolto “in tutti i modi”.
Raso, assieme a Marco Di Donato, incontra Filice una sera, in un locale non lontano da Aosta, ma sinora nessuno dei testimoni sentiti in aula (tra i quali il padre e un altro zio del ragazzo) ha saputo rispondere riguardo alla conclusione della diatriba. Elia ha aggiunto qualche tessera al mosaico: “sono andati in un pub ed ero preoccupata perché hanno fatto tardi”. Al ritorno, Raso “ha detto di non preoccuparmi, ‘stai tranquilla, che abbiamo definito’”. Nel merito, però, oltre a “c’era qualcosa sul poker”, non è andata. Filice non era noto alla famiglia, in precedenza: “lo ho visto una volta che era venuto al ristorante”, quando il marito le spiegò che “era quel signore là”.
L’imprenditore Seminara e i “giovani calabresi”
La donna ha, inoltre, smentito nei fatti il contenuto di una intercettazione ambientale del 2015 riportata nell’ordinanza del Gip Silvia Salvadori che ha fatto scattare il “blitz” dell’operazione Geenna. In quel passo, Raso riferiva alla consorte che Domenico Seminara, un impresario edile di origini calabresi (fratello di Rocco, indagato – secondo il provvedimento – nelle inchieste “Tempus Venit” e “Lenzuolo”), gli aveva detto: “Senti una cosa ma quella storia dei ragazzi di laggiù controllamela tu”. Raso si sarebbe quindi vantato “di essere stato considerato persona degna di fiducia”. Per Elia, però, “gli aveva detto di occuparsi dei figli di mia sorella” e “non ricordo che gli abbia detto di occuparsi dei giovani calabresi”.
Lo stesso Seminara, in aula nel pomeriggio, ha confermato la versione della consorte dell’imputato. Dopo aver dichiarato di non aver mai riportato condanne per associazione a delinquere di stampo mafioso e di essere amico di Raso (“lui ha un ristorante, io vado a mangiare”) ha negato di avergli mai chiesto di controllare, per suo conto, “dei giovani calabresi” (dizione con cui ha spiegato di considerare “i ragazzi, i giovanotti, quelli più giovani di me”). Sollecitato dal presidente Gramola, il testimone ha aggiunto di essersi congratulato con il ristoratore per l’aiuto ai figli della sorella della moglie, nel periodo della sua separazione. Peraltro, è stata l’ultima parola di Seminara, “io sono 46 anni che sono ad Aosta, sono sempre qua, non conosco tante persone in Calabria. Qua ne conosco 10mila. Siamo 10mila”.
Raso e la Massoneria
Ad essere sviscerato dai difensori del ristoratore, attraverso un altro testimone, è stato anche l’interesse di Raso per la creazione di una loggia massonica ad Aosta. Lo ha confermato l’immobiliarista Marcos De Muru (che ha conosciuto l’imputato perché “al tempo lavoravo in un’agenzia” vicino al ristorante e “mangiavo le cose buone tutti i giorni”), spiegando però che “c’era una volontà”, ma probabilmente “non c’erano gli ambienti giusti” e quindi “è andata scemando”. “C’è stata una riunione, la prima volta – è il ricordo dell’uomo – poi io ho fatto un percorso diverso”, separato da Raso. Il presidente Gramola ha colto l’occasione per un diretto “che cosa volevate fare attraverso la loggia massonica?” a cui il testimone ha osservato che “l’obiettivo è di condividere dei lavori, degli ordini del giorno”, ma nel caso aostano “era talmente embrionale” e “non è andato più niente avanti”.
“Di Santini di San Michele ne regalo una marea”
A De Muru l’avvocato Donadio ha anche chiesto se fosse stato lui a regalare a Raso un santino di San Michele Arcangelo plastificato (considerato protettore della ‘ndrangheta). L’oggetto, nelle deposizioni dei Carabinieri del Reparto operativo citati dal pm Stefano Castellani come responsabili delle indagini, era emerso tra quelli sequestrati al ristoratore. “Può essere, ma non sono sicuro” è stata la risposta. “Ne regalo una marea, per me è un simbolo di protezione – ha continuato il testimone – poi se uno lo butta sono affari suoi, io ho fatto una cosa buona”.
Grimod: alla “Rotonda” una “cena istituzionale”
Era una serata “istituzionale anche se non ero più Sindaco. Ero stato invitato dal Sindaco” di San Giorgio Morgeto, Carlo Cleri. Così Guido Grimod, primo cittadino di Aosta dal 2000 al 2010, e sottoscrittore della Carta dell’amicizia con il comune calabrese oggi sciolto, ha spiegato la sua presenza alla cena, tenutasi il 31 gennaio 2012 alla “Rotonda”, in occasione della fiera di Sant’Orso. L’appuntamento, su cui aveva già riferito l’ex assessore regionale Aurelio Marguerettaz nell’udienza di ieri, era stato oggetto di un servizio di osservazione dei Carabinieri, che avevano annotato la partecipazione di politici valdostani e calabresi.
“Nel periodo in cui ero Sindaco – ha ricordato c’era la ‘Veillà’, a cui le delegazioni di Kaolack, San Giorgio Morgeto e Narbonne”, legate ad Aosta da gemellaggi o Carte dell’amicizia, “erano presenti e poi si andava in giro nelle cantine”. Al rapporto con la municipalità nel reggino, Grimod ha ricondotto tre sue visite in Calabria, “accompagnato da amministratori comunali”, e la controparte veniva ad Aosta, per la “Foire”, “con anche uno spazio dedicato per esporre”.
Il processo si sposta a Torino
La prossima udienza del processo è in calendario per sabato 11 luglio prossimo, nell’aula bunker del carcere delle Vallette di Torino. In programma c’è l’esame, da parte del pm Castellani, dei tre collaboratori di giustizia Daniel Panarinfo, Rocco Ieranò e Domenico Agresta. La richiesta dell’audizione origina dal fatto che le loro dichiarazioni, secondo gli inquirenti, sono state un “fondamentale riscontro alle risultanze di indagine”. Alcuni difensori hanno poi citato come testimoni i co-imputati Marco Fabrizio Di Donato e Francesco Mammoliti, che – in ragione del loro coinvolgimento nel procedimento torinese quali presunti partecipi della “locale” aostana – potrebbero avvalersi della facoltà di non rispondere.