L’opera lirica nel cinema

Nel quarto articolo della rubrica “Incontri ravvicinati con AIACE”, Riccardo Mollo vi parlerà del rapporto tra opera lirica e cinema attraverso un decalogo di titoli storici, biografici, sentimentali e drammatici.
Frame del film Pretty woman
Incontri ravvicinati con AIACE

Il nuovo articolo individuale della rubrica curata da Aiace Vda, in cui ogni autore potrà condividere una fetta del proprio mondo e del cinema che ama, Riccardo Mollo vi parlerà del rapporto tra opera lirica e cinema.

Hail Puccini!“. Così il Capitano Antonio Corelli risponde al saluto del capitano nazista quando questi interrompe la sessione di bel canto che nel film “Il mandolino del capitano Corelli(John Madden, 2001) i militari italiani in libera uscita stanno tenendo sulla spiaggia, sotto il sole, amoreggiando con le ragazze dell’isola greca su cui sono stanziati. È con questa scena che possiamo iniziare un percorso alla scoperta di alcuni momenti in cui il cinema e l’opera lirica hanno incrociato le proprie strade, e in cui l’amore per il melodramma ha invaso il grande schermo.

Uno degli esempi più emblematici di questo rapporto è l’introduzione di “Toro Scatenato(1980), forse una delle più belle nella storia della settima arte. Il Jake la Motta di Martin Scorsese si mostra tra le corde di un ring, in ralenti, e l’intermezzo della Cavalleria Rusticana lo isola nel suo mondo, il ring appunto, dove l’uomo può elevarsi oltre la miseria del quotidiano e dove è sicuro di poter diventare indimenticabile. 

Nella commedia sentimentale “Pretty Woman(Garry Marshall, 1990), il miliardario Edward introduce la prostituta Vivian all’opera con queste parole: “La reazione della gente che vede l’opera per la prima volta è molto drammatica, o l’amano o la detestano, e se l’amano, l’amano per sempre, altrimenti impareranno ad apprezzarla ma non la sentiranno mai veramente”.

Questa scena, ambientata in teatro, eleva Vivian, che già alle prime note viene rapita dalla musica e si commuove fino alle lacrime per le vicende sul palco. Lei, una ragazza venuta dalla strada ma dai sentimenti puri, ama visceralmente l’Opera per ciò che di profondo comunica, ovvero l’esaltazione delle grandi emozioni umane: i vezzi e le sovrastrutture aristocratiche che contornano quest’opera d’arte sono secondari, poco contano. Quando una vecchietta imbellettata, alla fine, le chiede se le è piaciuta, lei  risponde candidamente: “Oh, mi si sono aggrovigliate le budella!” Gli amanti dell’Opera potranno cogliere un altro significato, questa volta meta-testuale, della scena e vedere un parallelismo tra la storia del film e quella dell’opera rappresentata. Conoscendo il finale de “La traviata”, un velato presagio appare chiaramente e l’esito della storia si fa incerto: riuscirà Edward (Alfredo) ad amare Vivien (Violetta)?

(Attenzione spoiler!)

Considerando il genere bellico, possiamo pensare a Gli anni spezzati di Peter Weir (1981), che racconta l’amicizia tra due ragazzi australiani, Frank (Mel Gibson) e Archy (Mark Lee), durante il periodo della prima guerra mondiale. Il titolo originale è “Gallipoli” in riferimento alla Campagna di Gallipoli a cui presero parte migliaia di soldati australiani e neozelandesi, raccontata nell’ultimo atto della pellicola. Sulla spiaggia turca è accampato l’esercito degli alleati e la sera prima dell’assalto alle postazioni nemiche il maggiore Barton riproduce dal giradischi nella propria tenda l’aria “Au fond du temple saint” tratta da “Les pêcheurs de perles”. La spiaggia illuminata da violente esplosioni è distante e rimpicciolita, il momento è catartico e il messaggio è chiaro: la guerra non ha alcun senso.

Come il film, l’opera di Bizet narra la storia di due amici, Zurga e Nadir, e la musica che cantano in coro evoca la nostalgia dei tempi passati: 

Oh oui, jurons de rester amis!
Oui, c’est elle! C’est la déesse!
En ce jour qui vient nous unir,
Et fidèle à ma promesse,
Comme un frère je veux te chérir!
C’est elle, c’est la déesse
Qui vient en ce jour nous unir!
Oui, partageons le même sort,
Soyons unis jusqu’à la mort!

 

Nell’Opera lirica compaiono anche temi sociali e politici: uno dei casi più famosi è “Tosca”. La storia d’amore tra la protagonista e Mario Cavaradossi è contrassegnata dalle comuni convinzioni politiche: i due offrono protezione ad Angelotti, bonapartista ed ex console della Repubblica Romana e per questo verranno perseguitati dal capo della polizia, Scarpia. Nel 2008, in “Milk“, Gus Van Sant racconta la storia di Harvey Milk, il primo attivista omosessuale ad essere stato eletto ad una carica pubblica negli Stati Uniti, usando proprio le celebri arie di Puccini (che all’affresco storico predilige le travolgenti passioni amorose) per evidenziare i passaggi chiave della vicenda sentimentale del protagonista. La simmetria tra l’eroina dell’Opera e Harvey si palesa chiaramente nella resistenza ai soprusi e alla corruzione delle istituzioni e nella vittoria morale dei loro ideali. Questo legame si esprime visivamente quando Milk, a teatro, osserva la scena finale dell’opera pucciniana in cui Tosca, nell’ultimo atto di libertà, si toglie la vita. Pochi minuti dopo, nel drammatico finale, Harvey volge un ultimo sguardo oltre la finestra che si affaccia sulla San Francisco Opera House decorata dagli striscioni di “Tosca”.

Danny Nicoletta – Harvey andiamo, l’Opera è così antica! –
Harvey Milk – Tu non ne avverti le vibrazioni, le profonde e drammatiche emozioni! –

Vi siete mai chiesti il principale motivo per cui “Die Walküre” è invece entrato nell’immaginario popolare? La soluzione non risiede unicamente nel suo autore, Richard Wagner, che ha sempre richiesto al pubblico devozione e grande sforzo (le sue opere durano molte ore e si racconta che nel teatro di Bayreuth voluto dal compositore le sedie non avessero lo schienale), ma soprattutto nella sua iconica presenza nella scena di “Apocalypse Now” (Francis Ford Coppola, 1979) in cui lo squadrone di elicotteri americani incenerisce un villaggio vietnamita e il massacro è accompagnato dalle cupe note wagneriane.

In Apocalypse Now, ciò che percepiamo è l’enfasi del potere militare e della grandiosità americana, resa magistralmente dal montaggio e dall’imponenza dei mezzi utilizzati. Se proviamo a scavare nella storia di questo brano, possiamo supporre che Francis Ford Coppola volesse suggerire una lettura più critica di questo momento. La stessa musica è usata da W.H. Griffith nel film La nascita di una nazione (1915) e, in particolare, nella scena in cui gli adepti del Ku Klux Klan a cavallo assalgono militari afro-americani per liberare un villaggio. Tale visione oggi, come negli anni di Apocalypse now, sarebbe sicuramente tacciata di razzismo e ha perso totalmente il suo inconsistente valore eroico. Rivedendo la scena dell’attacco americano, dobbiamo dubitare del rapporto bene/male, così come di dove sia realmente la parte del torto. Nell’opera wagneriana, le Valchirie, potenti e minacciose all’inizio del terzo atto, si dimostrano vili e spaventate nel proseguimento della vicenda, quando Wotan, loro padre, compare sulla scena.

Sempre Francis Ford Coppola, nella trilogia di Il Padrino (1972, 1974, 1990), che presenta caratteristiche tipiche dell’opera verista italiana, ha dato vita a uno dei maggiori esempi di cinema che, a partire dalla durata temporale e dal periodo di circa 80 anni coperto dalla trama, prende a piene mani dalla tradizione operistica i temi, il ritmo, l’ampiezza e la maestosità dell’epica. Il tema dell’onore e della vendetta si può trovare nella “Lucia di Lammermoor” di Donizetti e in molte opere di Verdi, come la sete di vendetta di Amneris nell’ “Aida”, il tradimento di Iago nell’ “Otello”, la maledizione, l’onore ferito del padre e la conseguente ritorsione in “Rigoletto”. Ogni pellicola si apre con una festa in cui la musica viene eseguita da una banda, situazione che ricorda le scene introduttive di opere come “Rigoletto” o “La traviata”.

Ogni film ha un momento in cui si torna in Sicilia, alle origini, dove le usanze locali sono rappresentate con estrema vivacità (il matrimonio tra Michael e Apollonia nel primo, il funerale del padre di Vito nel secondo). Anche le celebrazioni religiose sono ricorrenti: il Natale, la Pasqua, i matrimoni, il battesimo. Nino Rota ha composto una colonna sonora che ricorre a numerosi leitmotiv, e numerosi sono anche i rimandi musicali a elementi visivi come oggetti (le arance), inquadrature o gesti. Il ritmo è pacato, le scene sono filmate con semplicità e gli attori hanno il tempo di muoversi in scena. Ogni finale mostra in montaggio alternato le azioni di Michael contrapposte ad azioni di estrema violenza, evidenziando l’effetto del chiaroscuro portato sullo schermo dalla fotografia di Gordon Willis; elementi che fanno emergere una struttura che ricorda l’organizzazione in tableaux dell’Opera.

Nel terzo film, quando la mitologia del padrino è in declino e vengono mostrate scene di vita familiare, il regista eleva la storia e la riporta nella dimensione grandiosa dei primi due film ricorrendo nel terzo atto alla rappresentazione diegetica dell’opera lirica a cui i film precedenti si erano ispirati, ovvero la “Cavalleria Rusticana”. L’opera di Mascagni ricapitola la trilogia e i temi principali: la messa in scena si fonde pienamente con la vicenda della famiglia Corleone quando, sulla scalinata, Michael si lancia in un grido muto e l’intermezzo della Cavalleria permette allo spettatore di viaggiare con lui nei ricordi e nel futuro. Da noi tutto è melodrammadice infatti Michael a Kay poco prima del finale.

Quelli ricordati sono solo alcuni tra i molti esempi del rapporto tra lirica e cinema sul grande schermo, ma testimonianze uniche di come l’amore per l’opera lirica possa valicare i confini teatrali e diffondere schegge di sublime sugli schermi. Il viaggio esplorativo di Riccardo Mollo non si esaurisce qui: tra qualche mese potrete trovare in anteprima il secondo atto.

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