Servirà un nuovo giudizio della Corte d’Appello di Torino, e sarà il terzo in questa vicenda, per decidere in merito alla confisca di alcuni beni di Antonio Raso. Si tratta di una porzione residua di un alloggio, di due autoveicoli e di altrettanti conti correnti (con circa 100mila euro depositati). Beni rientranti nel patrimonio del ristoratore sequestrato per effetto di una misura di prevenzione scattata nel 2019, anno del suo arresto nel blitz dell’operazione “Geenna” sulle infiltrazioni di ‘ndrangheta in Valle, con l’accusa di essere parte di una “locale” attiva ad Aosta.
Il provvedimento, nel 2022, era stato seguito dalla confisca e i legali del ristoratore, gli avvocati Ascanio Donadio e Pasquale Siciliano, con una serie di ricorsi successivi – che hanno innescato annullamenti e rinvii (fino alla causa d’appello “bis”, chiusasi lo scorso aprile) – hanno ottenuto la restituzione a Raso delle quote di titolarità della pizzeria “La Rotonda” e dell’83% della proprietà di un alloggio (inclusa l’autorimessa), inizialmente oggetto della misura.
Per i beni ancora confiscati, all’indomani dell’ultima sentenza i difensori hanno presentato un nuovo ricorso. La Suprema Corte, nell’accoglierlo, ha annullato la parte della decisione della Corte d’Appello di Torino riguardante il mantenimento della confisca su quanto vi era rimasto sottoposto, disponendo che si torni dinanzi ai giudici piemontesi, per un appello “tris”, al fine di decidere in merito. L’udienza dovrà ora essere calendarizzata.
Di poche parole l’avvocato Donadio, rispetto al pronunciamento della Cassazione: “Grande soddisfazione. C’è un giudice a Roma”. Parole da leggere affiancandole alle perplessità, manifestate dallo stesso difensore, per l’esito dell’altra partita processuale riguardante Raso, in cui lunedì scorso, 30 settembre, il ristoratore è stato condannato a 8 anni di reclusione per associazione di tipo mafioso.
Era l’appello “bis” del processo “Geenna”, in cui i giudici della Corte d’Appello di Torino hanno confermato – condannando i tre imputati per la partecipazione nell’associazione criminale (oltre a Raso, l’ex consigliere comunale di Aosta Nicola Prettico e il già dipendente del Casinò Alessandro Giachino) – l’esistenza della “locale” di Aosta, sostenuta dalla Dda di Torino sulla base delle indagini dei Carabinieri del Nucleo investigativo.
Nel giudizio che ha riguardato la misura patrimoniale di prevenzione (a Raso era stata applicata anche la sorveglianza speciale, oggetto a sua volta di ricorso dei legali, ma ancora senza definizione), la partita si è giocata sulla presunta sproporzione reddituale del ristoratore, ritenuta dalla Direzione Investigativa Antimafia di 900mila euro, negli anni dal 2009 al 2019 (e quindi con sequestro, e poi confisca, per tale ammontare).
Una consulenza tecnica disposta dalla Corte d’appello di Torino, nell’ambito del giudizio chiusosi in aprile, ha ridotto il valore della discrepanza reddituale a circa 140mila euro. Una perizia di parte, depositata nel processo dagli avvocati di Raso, invece non individua sproporzione. E’ scaturito anche sulla base di questo atto il nuovo ricorso in Cassazione. La palla torna ora, per la terza volta, nel campo dei magistrati torinesi di secondo grado.
Una risposta
Magari appello “ter”… Qualcuno in redazione il latino lo conosce?