Un tunnel di preoccupazioni

Dossier

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Oggi è venerdì 8 settembre. Teoricamente, saremmo al quarto giorno del cantiere test che avrebbe dovuto far chiudere il traforo del Monte Bianco per quindici settimane – quasi tre mesi e mezzo – per ogni anno per i prossimi 18 anni. Così non è stato. La chiusura forzata del Fréjus per la frana della Maurienne, che ha completamente interrotto il traffico tra Italia e Francia, ha fatto sì che il tunnel ai piedi del “Tetto d’Italia” restasse aperto. Scelta obbligata per non isolare completamente il traffico veicolare tra i due paesi ma che, allo stesso tempo ha messo in chiaro la fragilità delle nostre infrastrutture. Mentre a tutti veniva in mente una domanda: “E se la frana al Fréjus si fosse verificata solo qualche settimana più tardi rispetto a quando è avvenuta?”.

Dall’altro lato, la questione ne ha portata alla luce un’altra, forse un po’ sopita nel tempo. E soprattutto ormai lontana dalle agende politiche degli ultimi anni: il dibattito su una eventuale seconda canna del traforo del Monte Bianco che, improvvisamente, agita gli animi non solo valdostani.

Da noi, la frana al Fréjus ha fornito la prova provata del carico che si accumulerebbe su un traforo solo come quello tra Modane e Bardonecchia e che si è invece riversato qui, con tutti i disagi del caso. Un assaggio del peso che il Fréjus dovrà sopportare quando chiuderà il “nostro” tunnel.

Ad onor del vero, il lavoro dietro questo dossier parte dalla certezza della chiusura, senza lontanamente immaginare la frana della Maurienne e quindi lo “sversamento” del traffico dal Fréjus al Bianco. Ma non è un lavoro “bruciato” dalle notizie, perché se i lavori di risanamento del Traforo valdostano si spostano di un anno, lo fanno anche le preoccupazioni nella nostra regione.

La chiusura del traforo 

Il motivo dello stop è ormai noto: l’apertura del primo cantiere sperimentale che vedrà nel 2024 il risanamento della volta in due tratti di galleria, per un totale di 600 metri, e lo smontaggio di tutti gli impianti di sicurezza presenti sulla galleria.

Nel caso la tecnologia utilizzata per questo primo intervento desse esito positivo – lo spiegavano gli stessi gestori dell’infrastruttura a marzo, quando è stato comunicato il calendario delle chiusurepartirà la seconda fase dei lavori che riguarderà altri 600 metri. Lavori, dal 2024, che vedranno un investimento complessivo di 50 milioni di euro.

A 58 anni dall’inaugurazione, era il 1965, quella dell’autunno 2024 sarà la prima lunga chiusura del traforo del Monte Bianco dopo il drammatico incendio all’interno del tunnel del 24 marzo 1999 che costò la vita a 39 persone. La riapertura completa avvenne nel 2002. Tre anni dopo il rogo.

Le preoccupazioni sono tante. Economiche, turistiche, per i trasporti e per l’export. Ma anche per evitare un effetto – pure psicologico – cul-de-sac. O meglio, quello di una Valle d’Aostavicolo cieco”, isolata dal resto dell’Europa, da un lato, e dal resto dell’Italia dall’altro, vista la chiusura per tre anni della ferrovia, per l’elettrificazione della Aosta-Ivrea.

La voce dal traforo: un cantiere “molto complesso”

Di Silvia Savoye

Traforo del Monte Bianco
Traforo del Monte Bianco

Un cantiere “molto complesso”, dove per la prima volta “sarà toccata l’infrastruttura originale, con lavori abbastanza innovativi”. Raggiungiamo telefonicamente Riccardo Rigacci, direttore gerente del gruppo europeo di interesse economico che gestisce il traforo del Monte Bianco, nel giorno del grande afflusso di mezzi pesanti, a seguito della chiusura del Fréjus per frana. Avremmo dovuto incontrarlo di persona, ma le oltre tre ore di attesa al pedaggio italiano ci hanno sconsigliato di metterci in strada per raggiungere il valico alpino.

La chiusura del Tunnel del Fréjus ai mezzi pesanti ha messo in evidenza, se ancora ce ne fosse bisogno, la fragilità del sistema di collegamenti internazionali via terra e via ferrovia del nostro paese. Le immagini dei Tir incolonnati in autostrada o bloccati nelle aree di stoccaggio ci rimarranno impresse.

I lavori interesseranno la volta del tunnel, con lo smontaggio di tutti gli impianti presenti nell’area di intervento – 300 metri lato Italia, altrettanti lato Francia – la demolizione della volta attuale “fra i 25 e i 40 centimetri” e la successiva posa di un sistema di drenaggio delle acque.

“La parte superiore della calotta sarà costituita da elementi prefabbricati che saranno posati e destinati a durare 100 anni, sulla parte più bassa verrà fatta invece una gettata di cemento armato”.

La complessità del cantiere è determinata dal rischio della presenza di amianto. Gli studi già in corso stanno “cercando di prevedere ulteriori problematiche”. E saranno sempre gli studi, a cura del Politecnico di Torino, a dire se “già ad inizio anno” i tre mesi di chiusura ipotizzati per 18 anni saranno o meno la soluzione migliore.

“La chiusura autunnale è stata scelta dalle autorità come periodo meno impattante sull’economia delle valli” ricorda Rigacci. “Un domani però potrebbe anche essere deciso di fare una chiusura prolungata. Sarà il cantiere test a darci tutta una serie di soluzioni sulla scelta dell’intervento, le difficoltà che comporta e i tempi reali. È molto importante, quindi, questa fase per consolidare le strategie future”.

Per i primi due anni di intervento sono già stati stanziati 50 milioni di euro. “Durante questo periodo verranno avviati anche altri cantieri nelle zone non interessate dall’intervento alla volta, come l’installazione di un nuovo sistema di illuminazione a led, la sostituzione di tutti gli acceleratori a volta ovvero i ventilatori, che saranno tutti rinnovati”.

Le stime relative agli interventi futuri in relazione ai quali la società di gestione ha effettuati gli stanziamenti ammontano a circa 262 milioni di euro per l’intero periodo 2024-2050 (fonte bilancio Atm).

I 4.600 veicoli leggeri che ogni giorno transitano lungo il Traforo del Monte Bianco secondo le previsioni fatte, “anche in base all’esperienza della chiusura di tre settimane l’anno scorso”, si dirigeranno per un 39% di veicoli leggeri al Traforo del Gran San Bernardo, per un 33% al Fréjus e per il restante 28% verso i passi alpini o rinunceranno al proprio viaggio.

Diversa la situazione del traffico pesante, con l’88% a scegliere il Fréjus, solo l’1% il Traforo del Gran San Bernardo e un altro 1% il Gottardo o altri valichi. Il restante passerà altrove.

Dopo i tre anni di chiusura del tunnel, dopo l’incendio del 1999, un 20% di traffico non è più tornato sulla direttrice del Monte Bianco.  “Il timore c’è, ma quello che ci conforta è che dopo la chiusura di tre settimane avvenuta lo scorso anno, nell’arco di una decina di giorni il traffico è tornato a pieno regime, e per questo mi aspetto una ripresa piuttosto rapida dei volumi”.

Durante il periodo di chiusura una parte dei lavoratori resterà in servizio per portare avanti le attività amministrative e tecniche e quelle di presidio. “Per un’altra parte abbiamo concentrato le attività di formazione in questo periodo di chiusura, mentre un’altra parte sarà occupata da Rav, per attività di loro competenza e solo una minima parte andrà in cassa integrazione”.

La fine della stagione estiva, le incognite per l’autunno. Tutte le preoccupazioni di Courmayeur 

Di Sara Colombini 

Per le vie del centro di Courmayeur, la principale preoccupazione che si respira è quella per un radicale cambiamento della circolazione che durerà per quasi vent’anni durante il periodo autunnale. E, dunque, quello dell’abituale flusso tra Italia e Francia.

Come evidenzia il sindaco Roberto Rota, la scelta della chiusura intervallata ripetuta nel tempo, preferita a quella completa per tre anni, comporterà settimane di difficoltà per gli operatori economici, sociali e turisti della Valdigne e una possibile fine anticipata della stagione estiva, che – dice il Primo cittadino – “rischia di chiudersi con il 15 settembre”.

I dubbi su turismo e commercio

Osservando la situazione degli albergatori, Alessio Berthod, referente Adava per Courmayeur, pone soprattutto l’accento sulle problematiche comunicative legate all’interruzione intermittente per 18 anni: “Non siamo obiettivamente più di tanto preoccupati dalla chiusura, quanto più dalla sua ripetizione per 18 anni. Tutta l’associazione era ed è posizionata sull’idea di concentrare i lavori in due o tre anni e organizzarsi in maniera diversa, attraverso le agenzie e comunicati mirati, per comunicare le alternative per raggiungere la località. Sarebbe molto più semplice che non spiegare le continue interruzioni a singhiozzi nel tempo, come succede oggi, che creano molta confusione e che sono più difficili da condividere con chi transita e chi vuole soggiornare”.

Per quanto riguarda le possibili soluzioni, Berthod è esplicito: “L’alternativa che ci aiuterà è il Colle del Piccolo San Bernardo che, se si riuscirà a tenere aperto fino alla prima metà di novembre, limiterebbe molto il problema da un punto di vista turistico”.

Se gli escursionisti e i turisti provenienti dalla Francia si dicono in attesa della riapertura prima di tornare in Valle d’Aosta e in Italia, tra gli esercenti commerciali e turistici coabitano il forte dubbio sugli esiti della situazione e la frustrante consapevolezza di non poter fare nulla per ovviarla.

Quel che è certo, come sottolinea il rappresentante dei commercianti di Courmayeur Edoardo Melgara, è che saranno mesi determinanti per valutare gli impatti della chiusura e comprendere gli scenari in corso: “Bisogna essere ottimisti e trovare soluzioni alternative, essere propositivi, non solamente passivi.”.

Il trasporto merci, quindi lo scacchiere economico, visti i volumi di traffico commerciale che impegnano il tunnel del Monte Bianco ogni tanto, è quello che vivrà maggiormente gli impatti della chiusura per lavori.

Il contraccolpo sul Gran San Bernardo: “Siamo preparati”

Di Silvia Savoye 

“Siamo preparati. Dopo la chiusura di tre settimane dello scorso anno abbiamo fatto le stime del traffico sia leggero sia pesante, abbiamo visto che le nostre disposizioni di sicurezza normali e la capienza dell’infrastruttura è altamente sufficiente per poter assorbire la quota parte di traffico che ci deriverà dalla chiusura del Monte Bianco“. Così Yanez Dalle, direttore di Sitrasb spa.

Il trasferimento del traffico merci pesante dalla strada alla rotaia è uno degli obiettivi principali della politica svizzera dei trasporti. Nel 1994 gli svizzeri chiamati al voto avevano espresso chiaramente la volontà di trasferire nella maggior misura possibile dalla strada alla rotaia il traffico merci pesante attraverso le Alpi. Un voto che ha portato ad una diminuzione costante sul traforo del Gran San Bernardo del traffico merci.

L’apprensione delle imprese, non solo per l’impatto economico

Di Christian Diémoz

Con Roberto Sapia, presidente della Chambre Valdôtaine, abbiamo tastato il polso alle imprese valdostane maggiormente attive nell’export (numericamente in numero ridotto, ma per le quali lo “stop” al traforo peserà in maniera non indifferente), ma anche guardando al futuro, agli scenari auspicati per un settore che, come molti altri di stampo economico, sta vivendo una profonda trasformazione.

Confindustria: “Un buco nero per la regione e le imprese”

Di Luca Ventrice

Traforo del Monte Bianco - Il presidente di Confindustria Valle d'Aosta Francesco Turcato
Il presidente di Confindustria Valle d’Aosta Francesco Turcato

Lo scorso 17 luglio, durante l’Assemblea annuale dell’associazione, Francesco Turcato, presidente di Confindustria Valle d’Aosta, di fronte ai soci non aveva certo usato il “guanto di velluto”: la chiusura del traforo del Monte Bianco, aveva detto, “è un buco nero per questa regione e le sue imprese”.

Già a marzo, assieme ai presidenti di Adava, Confartigiato, Confcommercio, Coldiretti e Cna, Turcato chiedeva di valutare “in maniera approfondita l’opzione del raddoppio rispetto alla riqualificazione della canna unica attualmente in servizio”.

Questione rilanciata in Assemblea: “L’unica alternativa a questi 2000 giorni di chiusura è il raddoppio, che si può realizzare nei prossimi 5-6 anni lasciando aperta l’attuale infrastruttura che sarà poi rimodernata successivamente. Non resteremo fermi a subire questa ingiustizia, il Governo conosce questo problema, e si sta attivando con Parigi”.

Dalla capitale francese, però, non c’è nessuna intenzione di raddoppiare il tunnel. Da Roma, invece, il ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale Antonio Tajani in un videomessaggio inviato a Confindustria – spiegava: “Il Governo segue da vicino le preoccupazioni espresse in merito alla nuova chiusura del traforo del Monte Bianco per lavori di manutenzione. Siamo in stretto contatto con le autorità svizzere e quelle francesi per l’adeguamento di questa infrastruttura vitale alle esigenze del terzo millennio”, aggiungendo che “la forte azione di sostegno alle imprese è quanto più necessaria di fronte agli scenari di crisi che il Paese si trova ad affrontare negli ultimi anni”.

Presidente Turcato, Lei ha parlato apertamente di “buco nero” per la regione e le imprese. È possibile quantificare le conseguenze di queste chiusure?

Prima di fare qualsiasi affermazione avevamo interloquito con la società che gestisce il traforo e chiesto a Confindustria nazionale di realizzare uno studio su cosa avrebbe comportato questa chiusura. I dirigenti della società ci hanno confermato queste chiusure per 18 anni. Il nostro Centro studi, invece, ha dato indicazione di una perdita di Pil quasi del 10 per cento, il 9,8, e, a cascata, sulle regioni limitrofe con punti di Pil più ridotte ma significative. A livello nazionale si parla di una perdita dello 0,3 per cento, che è significativo. Il fatto che a breve si concretizzerà la chiusura del Traforo non ci lascia tranquilli. E questa sarà solo la prima tranche.

Al di là del problema sulle esportazioni ci saranno effetti anche sugli investimenti? In chiaro: la chiusura disincentiverà le imprese ad investire?

Credo proprio ci sarà questo rischio. Se guardiamo il flusso di traffico del traforo parliamo di un’arteria vera e propria, i cui utenti viaggiano anche fino al Tunnel sotto la Manica. Una chiusura del genere si ripercuoterà su investimenti, perché chi oggi transita troverà una via alternativa. Il 1999 (il devastante rogo al traforo del Monte Bianco, ndr.) ci ha insegnato che chi va via poi non torna. E stiamo parlando una tragedia immane. Solo dopo tre anni è tornato l’80 per cento del traffico. Significa che il 20 per cento secco è sparito. Anche a livello psicologico queste cose si ripercuotono su un imprenditore, oltre a tutti i problemi di questi ultimi tre anni, dalla pandemia alla guerra, fino al caro energetico. 

Avete chiesto a più riprese di considerare la realizzazione di una “seconda canna”. Dalla Francia, il ministro dei Trasporti Beaune ed il sindaco di Chamonix Fournier si sono schierati apertamente contro.

Noi siamo favorevoli ad un dibattito sulla doppia canna del Tunnel, ma non credo che per un’opera del genere un sindaco, come quello di Chamonix, possa imporre delle decisioni. Nessuno è tenutario della ragione, neanche noi, ma siamo tra i pochi ad aver sollevato il problema. Nel giro di sei o sette anni potremmo avere una ‘seconda canna 4.0’, abbattendo i costi di manutenzione di quella attuale, così come le numerose chiusure per lavori. Oggi andiamo a manutenere un’infrastruttura che tra vent’anni ne avrà 80 e sarà comunque vecchia. Questo, mentre le normative della sicurezza, e non solo, cambiano rapidamente. Basti pensare che i motori a idrogeno, ad oggi, non possono passare sotto il Traforo.

Durante la vostra Assemblea il ministro Tajani ha parlato di una “forte azione di sostegno alle imprese”. Cosa vi aspettate da Roma?

Onestamente, ho trovato, dal punto di vista del governo, vari interlocutori: dai ministri Tajani, Salvini e Urso fino al viceministro Rixi, passando anche per i parlamentari valdostani. Si sta facendo fronte comune per trovare una soluzione auspicabile e necessaria per il bene della regione. Non è una questione di bandiera, l’importante è che si prenda una decisione. Esiste l’ipotesi che non si faccia una seconda canna? Lo si dica chiaramente.

In attesa di risposte dallo Stato come si affronta una chiusura di questo genere?

Noi possiamo far sentire che ci siamo. I nostri associati sanno che lavoriamo in tal senso, sanno che portiamo avanti un’attività di lobby, in senso positivo, con altre associazioni, in una specie disovra assemblea’ dove, finalmente, ci si parla attorno ad un tavolo. Cosa che fino a un anno fa era quasi un tabù. E sono orgoglioso che questo sia partito da noi. Si sta facendo una politica ‘confindustriale’ con gli associati facendo capire a tutti che ci siamo, anche come associazione nazionale. Infatti, per il presidente Carlo Bonomi ogni occasione è buona per parlare del traforo con tutte le associazioni regionali, nei suoi interventi.

La parola alle imprese

Di Orlando Bonserio

Cogne Acciai Speciali

A venire toccate dalla chiusura del Traforo del Monte Bianco saranno senza dubbio anche le ditte e aziende valdostane che intrattengono con la Francia rapporti commerciali, sia per quanto riguarda l’export che l’import di materie prime ed approvvigionamenti.

Per la Cogne Acciai Speciali, come spiega Emilio Giacomazzi, direttore marketing, l’impatto è relativo: “Fortunatamente, per noi l’utilizzo del Tunnel è marginale, circa il 10 per cento del transito, principalmente per il mercato e la filiale francese. Anche in un’ottica di sostenibilità, da tempo abbiamo cercato delle alternative, soprattutto via treno”.

Per il centro e nord Europa, la Cogne utilizza un sistema misto con terminali a Novara e Busto Arsizio, mentre per le spedizioni “oversea” il materiale viaggia via mare. “Per quanto riguarda quel 10 per cento, nei mesi di chiusura sopperiremo passando dal Gran San Bernardo, che è sicuramente più penalizzante. Prima del sistema intermodale sarebbe stato sicuramente più complicato, ma ora come ora il disguido è limitato”.

“Un grosso problema”

Sorgenti Monte Bianco

Va peggio altrove. “Per noi sarà un grosso problema”, dice sconsolato Roberto Toppi, direttore commerciale Sorgenti Monte Bianco. “Per quanto possibile cercheremo di fare stoccaggio in alcune piattaforme Oltralpe, ma sicuramente avremo dei rincari significativi sui trasporti, visto che la nostra casa madre è in Francia. Dovremo passare dal Fréjus – e a Torino ci saranno grandi problematiche – o dalla Svizzera, ma l’acqua è un bene ‘povero’, quindi questi 3/400 chilometri in più si faranno sentire in maniera importante sull’azienda”.

“Economicamente la chiusura sarà un disastro per tutti

Lavanderia industriale
Lavanderia industriale

 Virgilio Viérin, presidente della Lavanderia Industriale, è un fiume in piena. “La chiusura del Tunnel è una questione politica. Va costruita immediatamente la seconda canna, ma probabilmente ci sono gli interessi di qualcuno che le cose rimangano così. Economicamente la chiusura sarà un disastro per tutti”.

Viérin spiega che circa il 20 per cento del suo fatturato è in Francia: “Non posso lasciare i miei clienti, ho dei contratti e degli impegni da rispettare. Dovremo utilizzare camion e autisti in più, perché allungando il tragitto non rientrano nei limiti delle ore di guida. A causa dei problemi di dogana vogliono che passiamo dal Lago di Ginevra, allungando di oltre 400 chilometri: abbiamo chiesto di ripristinare le condizioni del 1999, quando ci fu la chiusura per l’incendio ed i controlli erano al Gran San Bernardo, ma ancora non abbiamo avuto risposta. Da quando è successo l’incidente sul Ponte Morandi a Genova sembra che sia tutto urgente: magari non c’è realmente urgenza di fare questi lavori, vanno fatti prima i test per poi prendere le decisioni con calma”.

La soluzione? È la seconda canna

Edilaosta showroom

Non solo maggiori costi per il trasporto, ma anche mancate vendite: anche Edilaosta si troverà ad affrontare una situazione tutt’altro che rosea. “Per noi è sicuramente un grosso problema: durante la chiusura difficilmente avremo clienti francesi che verranno a vedere ed acquistare i nostri materiali”, commenta Fabio Gerbi, amministratore delegato.

“Andare a Chamonix, Annecy, diventa praticamente impossibile: dovendo passare dalla Svizzera bisognerà fare i documenti di transito delle merci e passare dalla dogana, allungando i tempi e rischiando quindi che gli autisti non riescano a tornare indietro per tempo”.

Anche per Gerbi la soluzione è la seconda canna: “Se ci fosse un referendum, voterei subito di sì. In 3-4 anni avremmo un tunnel nuovo e a norma, e, contrariamente a quanto dicono gli ambientalisti, ideologicamente schierati, lo smog diminuirebbe anziché aumentare. Ad ogni modo, meglio chiudere tre mesi all’anno per 18 anni che rimanere tre anni consecutivi senza tunnel”.

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