Arrestato non più tardi di una settimana fa, e posto ai domiciliari, non ha smesso di tormentare la donna con cui aveva avuto una relazione e, per questo, è finito in carcere cinque giorni dopo, mercoledì scorso, 22 novembre. E’ accaduto ad un sessantenne valdostano, accusato di atti persecutori.
La vicenda ha origine la scorsa estate, quando l’uomo, non capacitandosi della fine del suo rapporto e ossessionato dal fatto che la sua ex potesse aver allacciato un altro legame, inizia ad inviarle una serie di messaggi, si apposta sotto casa sua e di parenti e la segue al lavoro.
Comportamenti che la donna denuncia a fine ottobre. La Procura (il fascicolo è assegnato al pm Manlio D’Ambrosi), dopo i primi riscontri della Squadra Mobile, ottiene dal Tribunale, a carico del sessantenne, l’emissione del divieto di avvicinamento alla ex partner.
La misura sembra scaturire l’effetto per cui è concepita: i messaggi cessano e con loro gli appostamenti nei dintorni del domicilio. Tanto che la donna, dopo alcuni giorni, intende ritirare le accuse nei confronti dell’uomo, considerando chiuso il preoccupante capitolo.
L’indomani, però – e siamo a venerdì 17 novembre – lui si presenta nuovamente sul posto di lavoro di lei. Scatta così l’arresto in flagranza del reato di atti persecutori. All’udienza di convalida, che si tiene lunedì 20, l’uomo viene posto dal giudice ai domiciliari, condizione in cui gli è imposto il divieto di comunicazione con l’esterno.
Nonostante ciò, all’alba del mattino dopo invia due messaggi alla donna, violando le prescrizioni del suo regime di detenzione domestica. La Procura richiede quindi l’aggravamento della misura, ottenendo l’ordinanza di custodia cautelare eseguita mercoledì dalla Polizia. L’uomo si trova ora in carcere a Brissogne.
3 risposte
D’accordissimo con quanto detto nei precedenti post. Qui in Italia son più tutelati i carnefici che le vittime, siam un sistema troppo garantista per chi delinque, perfino chi commette omicidi in questo ambito esce dopo pochi anni di galera.
Non si capisce perchè non si rende pubblico il nome di chi viene condannato come in questo caso, in altri ambiti non si fanno scrupoli a dare identità precise, anche ben prima della condanna.
Esattamente ciò che ho sempre pensato, i nomi di costoro devono essere pubblicati, soprattutto a tutela di altre donne che potrebbero avere la sfortuna di incontrarli sulla loro strada !E non solo.. Tutti devono sapere chi sono questi ” malati mentali “……..
Ma vogliamo rendere pubblici i nomi di questa gente in modo da proteggere altre donne dalla conoscenza di costoro????