Botte selvagge alla ex moglie, uomo condannato a 5 anni e 6 mesi di carcere
Botte alla moglie, quotidiane, selvagge, a base di schiaffi e calci, sin dall’arrivo in Valle d’Aosta con lei nel 2007, dopo un matrimonio verosimilmente combinato tra famiglie, in Marocco. Sono alcuni degli elementi emersi dalle indagini nei confronti di un 42enne, che oggi, lunedì 11 aprile, è stato condannato dal giudice monocratico Maurizio D’Abrusco a 5 anni e 6 mesi di carcere. Le accuse erano di maltrattamenti in famiglia e lesioni aggravate.
La sentenza supera la richiesta del pm Manlio D’Ambrosi, titolare del fascicolo, che aveva sollecitato 4 anni e 6 mesi di reclusione. Oltre alla condanna (su cui il difensore Filippo Vaccino ha già annunciato appello), l’uomo rischia un ulteriore procedimento penale. Dal dibattimento in aula, e da alcuni referti, sono scaturiti indizi di un tentato omicidio (uno strangolamento) e di un’interruzione di gravidanza cagionata alla donna (con dei calci sull’addome). Il giudice ha disposto la trasmissione degli atti alla Procura, che la aveva richiesta durante la discussione, per la valutazione di questi elementi.
Ci sono voluti anni alla ex moglie per trovare il coraggio di denunciare le angherie subite, pesanti non solo fisicamente, ma anche psicologicamente. Lei aveva trovato lavoro, come badante, poco dopo l’arrivo in Valle, mentre lui (più giovane), stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, risulta aver lavorato saltuariamente e per poco tempo, obbligando l’allora consorte a consegnargli parte dello stipendio ed arrivando anche a farsi comprare un’auto.
Nell’ottobre dello scorso anno, viste le prove a suo carico, l’imputato era anche stato sottoposto al divieto di avvicinamento alla parte offesa. Secondo le indagini lo ha violato, con la Procura ad avanzare istanza di aggravamento della misura cautelare. Nel mentre, però, il 42enne si era reso latitante, tornando in Marocco: lo hanno arrestato al ritorno (dettato dalla necessità di regolarizzare i documenti per il soggiorno), quando è sceso da un volo all’aeroporto di Caselle, portandolo in carcere. La sentenza include pure una provvisionale di 20mila euro a favore della donna, costituitasi parte civile nel processo.
Lei, all’udienza di stamane, avrebbe potuto chiedere il posizionamento di un paravento, per evitare di riaprire, trovandosi lui davanti, un vaso di ricordi dolorosi, ma non lo ha fatto: ha voluto guardarlo in faccia. Il segno di una riconquista di spazi quotidiani, non certo rapida e nemmeno semplice (inizialmente, venne inserita in una casa protetta ed oggi è seguita dal Centro donne contro la violenza di Aosta), ma che con la sentenza di stamane (per quanto non definitiva) può continuare.