I bonifici effettuati dai soci dell’impresa Edilvu all’azienda riconducibile all’allora capo ufficio tecnico del Comune di Valtournenche, Fabio Chiavazza? Una “remunerazione per il reiterato compimento di atti contrari ai propri doveri d’ufficio”, con il funzionario pubblico ad utilizzare una società “da lui di fatto amministrata e tenuta artificialmente in vita, per mascherare la ricezione di tangenti da parte di imprenditori concussi o a lui compiacenti”.
Sono le parole con cui il Gup Davide Paladino motiva, nella sentenza depositata negli scorsi giorni, i 6 anni di carcere inflitti al principale dei quindici imputati che – nel processo nato dall’inchiesta “Do Ut Des” dei Carabinieri su episodi corruttivi all’ombra del Cervino – avevano scelto il rito abbreviato. Il procedimento si era chiuso lo scorso 28 giugno al Tribunale di Aosta. Un ulteriore ramo processuale è in corso per i tre imprenditori della Edilvu (Loreno Vullermin, suo figlio Ivan e Renza Dondeynaz), rinviati a giudizio dopo l’udienza preliminare.
Quegli “ulteriori introiti”
Secondo il giudice – che ha ritenuto Chiavazza colpevole di aver “addomesticato” tre gare ed incarichi dell’amministrazione comunale a favore della ditta “amica” – “gli appalti alla Edilvu erano intermediati dalla determinante presenza” dell’ex capo ufficio tecnico “nella compagine amministrativa della stazione appaltante”. Egli, inoltre, “subito dopo la gara”, una volta certo che la stessa venisse aggiudicata all’azienda dei suoi presunti sodali, “agiva per garantire all’impresa ulteriori introiti, tali da ripagarla del ribasso effettuato, senza l’effettuazione di lavori aggiuntivi”.
L’accordo nella gara Anas
Le altre condanne inflitte nel processo sono state quelle comminate all’ingegnere Corrado Trasino di Aosta e al funzionario Anas Adriano Passalenti (8 mesi di reclusione ognuno), nonché ai liberi professionisti Andrea Benincasa Di Caravacio di Torino e Stefano Rossi di Piacenza (4 mesi di carcere ciascuno). Il giudizio di colpevolezza si riferisce, in questo caso, all’aver turbato la procedura – bandita dall’azienda stradale – per la progettazione dei lavori di sistemazione della galleria tra l’abitato di Etroubles e di Saint-Oyen, quale “variante” della strada statale 27.
Agli occhi del Gup, le intercettazioni prodotte dalla Procura “appaiono di una chiarezza assoluta” riguardo alla “piena consapevolezza dei tre professionisti coimputati in ordine alla partecipazione ad una procedura di evidenza pubblica turbata dall’illecito accordo fra loro intercorso circa la presentazione di offerte concordate in guisa da far aggiudicare l’appalto al Trasino”. Una valutazione, continua la sentenza, corroborata “con precisione dalla documentazione acquisita presso l’Anas”.
Il funzionario? “L’ho tirato su io…”
Risulta, infatti – aggiunge il magistrato – che “dopo aver deciso di affidare l’incarico a Trasino, Passalenti, con la complicità di Trasino, abbia imbastito una procedura di selezione fittizia”, finalizzata a “creare l’apparenza di una scelta” frutto di “un esame comparato di una serie di offerte, tre come prevede la normativa”. Da sottolineare che, in un interrogatorio nella fase di indagini, l’ingegner Trasino aveva dichiarato agli inquirenti, coordinati dal pm Luca Ceccanti, che “con Passalenti ho rapporti consolidati”, perché “appena laureato ha lavorato per noi negli anni 1999/2001”. Insomma, “in qualche modo l’ho tirato su io”.
Sempre interrogato, Trasino effettua poi quella che il giudice non esita a definire “una vera e propria chiamata in correità nei confronti dei co-imputati” per questo episodio: “Sono stato io a indicare i nomi delle imprese al Passalenti”. Per aggiungere, subito dopo: “Ammetto l’addebito. Mi è stato chiesto e io l’ho segnalato. E’ evidente purtroppo”. A detta del Gup Paladino, tuttavia, se l’accordo non si fosse consumato nel momento in cui l’ingegnere aostano era intercettato, “molto probabilmente nessuno si sarebbe mai accorto della evidente turbativa del procedimento”.
I dieci assolti
Per tutti gli altri capi d’accusa, il giudice aveva pronunciato assoluzione “perché il fatto non sussiste” nei confronti di dieci imputati. Si tratta dell’impresario Nicolò Bertini di Alagna Valsesia, dell’ingegnere Giuseppe Zinghinì di Aosta, della dipendente comunale a Valtournenche Cristina Camaschella, dell’ex presidente della “Cervino Spa” Federico Maquignaz, dell’architetto Ezio Alliod di Verrès, dell’architetto Marco Zavattaro di Quart, dell’amministratore unico della “Ivies” Enrico Giovanni Vigna di Quincinetto, dell’amministratore unico della “Edilvi Costruzioni” Ivan Voyat di Aosta, dell’amministratore della “Chenevier Spa” Luca Frutaz di Aosta e dell’artigiano Stefano Trussardi di Aosta.
“Rocce nere”: dubbi insuperabili sull’abuso
Buona parte di costoro erano a giudizio per la contestazione di abuso edilizio riguardante il bar “Rocce Nere” sulle piste di Cervinia. La tesi di accusa (imperniata sul fatto che fosse stata attuata non una ristrutturazione, ma di fatto una nuova costruzione, caratterizzata dalla “integrale demolizione della parte fuori terra del vetusto immobile preesistente”), però, è stata confutata dagli imputati attraverso numerosi pareri legali (e il giudice evidenzia che la documentazione “per lo più non provenga da soggetti che hanno un qualche interesse a supportare le argomentazioni difensive”). Parte di questi evidenziano differenze interpretative della programmazione urbanistica nell’area rispetto alla Procura.
A detta del Gup “persistendo un dubbio sulla corretta interpretazione del disposto normativo, che presenta margini di oscurità difficilmente superabili”, tale “evenienza non può che risolversi a vantaggio degli imputati”, per cui è quindi scattata l’assoluzione. Il resto del materiale probatorio, che includeva numerose intercettazioni, “va ritenuto ridondante rispetto ai termini della questione, che, come detto, ha natura essenzialmente interpretativa e giuridica”.
Niente ingiusto profitto, niente “patto corruttivo”
Secondo il Pubblico ministero, i lavori al “Rocce Nere” erano stati condotti all’esito di un “patto corruttivo” tra Chiavazza e Maquignaz (la Cervino SpA era proprietaria dell’immobile, ndr), ma – osserva il giudice Paladino – “caduta la certezza sull’illegittimità dell’intervento edilizio, che costituirebbe l’ingiusto profitto” sostenuto dall’accusa, “si scolora e perde di pregnanza anche l’accusa relativa al presunto abuso d’ufficio compiuto dal pubblico funzionario” Chiavazza.
Le assoluzioni per le scuole di Crétaz
Tra gli episodi presi in esame dall’inchiesta “Do Ut Des” (il nome era mutuato dal “dare e avere” tra il tecnico comunale e le altre figure coinvolte) , vi era anche la gara per gli interventi di aggiornamento normativo delle scuole a Cretaz di Valtournenche, sottoposte a sequestro nel corso delle indagini. La Procura sosteneva che la gara fosse stata oggetto di “perturbazione”, attraverso una riduzione del budget dell’opera, affinché un altro potenziale partecipante rinunciasse, ma – ribatte il Gup – “la tesi accusatoria, pur suggestiva, si ferma ad uno stadio puramente congetturale”.
Imputati per l’episodio erano, tra l’altro, Chiavazza e Trasino, ma non furono loro “a determinare l’importo delle somme disponibili per l’intervento”, perché tale compito “sfuggiva evidentemente dalla loro competenza”, essendo “una decisione dell’organo politico dell’Ente”. Inoltre, nessun documento comprova che i due, “o alcun altro dei soggetti coinvolti abbia tratto dalla presente vicenda un illecito vantaggio economico personale, o intendesse trarlo”. Anche in questo caso, pertanto, assoluzione e scagionamento dalle accuse.