“Do ut Des”, atto secondo. Dopo il rito abbreviato chiusosi, lo scorso 28 giugno, con le condanne di cinque imputati, si è aperto oggi, mercoledì 6 ottobre, al Tribunale di Aosta il processo per i tre imprenditori che, accusati di corruzione, hanno scelto il dibattimento ordinario. Si tratta di Loreno Vuillermin, Ivan Vuillermin e Renza Dondeynaz, i tre soci della “Edilvu”, l’impresa edile di Challand-Saint-Victor che – stando alle indagini dei Carabinieri – maggiormente avrebbe beneficiato dei “favori” di Fabio Chiavazza, il capo ufficio tecnico del comune di Valtournenche all’epoca dei fatti, cui nel procedimento chiusosi in estate sono stati inflitti sei anni di reclusione.
I rapporti “molto amicali”
Dopo un’eccezione difensiva relativa alla presunta incompatibilità di due giudici (respinta dal collegio presieduto da Eugenio Gramola e completato da Maurizio D’Abrusco e Marco Tornatore), la mattinata è stata dedicata ai testimoni citati dal pm Luca Ceccanti. Un sottufficiale dell’Arma occupatosi delle indagini ha evidenziato sia i rapporti – definiti “molto amicali” – tra l’allora funzionario comunale e la famiglia degli imputati (testimoniati da messaggi per un aperitivo, o per capire se “mi portano il pellet, riusciamo a tirarlo su?”), sia alcuni degli elementi che proverebbero il “pilotaggio” dell’attribuzione di alcuni incarichi e gare del Comune.
Le aggiudicazioni “creative”
Sotto la lente d’ingrandimento degli investigatori ne sono finiti in particolare tre, dal 2016 in avanti: per la manutenzione della strada pedonale “Fiscada”, il restauro di una fontana in località Pecou e il potenziamento dell’acquedotto di Cervinia. Illustrando gli atti sequestrati in municipio, il militare ha raccontato di richieste di preventivo con scadenze molto ravvicinate e, in un caso, con i lavori addirittura formalmente assegnati di domenica e un giorno prima dell’arrivo dell’offerta della “Edilvu”.
Le fatture “paravento”
Agli occhi degli inquirenti è poi saltato il ricorso del funzionario, soprattutto negli incarichi “sotto soglia” (quindi con affidamento diretto), a stanziamenti di somme, relativi a “migliorie” da parte dell’impresa affidataria, di importo tale da “azzerare” il ribasso proposto in sede di offerta. Come si sarebbero “sdebitati” i soci dell’azienda? E’ stato l’altro tema toccato dalle deposizioni di oggi: agli atti sono finite due fatture, emesse alla “Edilvu” tra il 2016 e il 2017 da una società di cui Chiavazza era socio (la carica è poi passata a una parente). Una riguardante la vendita di materiali e l’altra per dei lavori svolti nel 2014 in un cantiere dell’azienda di costruzioni.
In totale, circa 50mila euro, saldati dalla “Edilvu”, hanno testimoniato gli accertamenti bancari, con tre bonifici. Quelle fatture, per l’accusa, coprirebbero (addirittura “legalizzandola”) una tangente. Gli articoli indicati nella prima fattura (tra i quali due motoseghe) sono stati ritrovati – ha spiegato il sottufficiale – in un deposito di proprietà di Chiavazza. “Per noi, – ha poi detto in aula una funzionaria dell’agenzia delle Entrate, che ha compiuto accertamenti in merito – non c’era l’effettività della prestazione”. Affermazione motivata, tra l’altro, dal fatto che il materiale oggetto di cessione non è stato rinvenuto nei libri sociali della “Edilvu”, che non ha nemmeno detratto fiscalmente l’importo fatturatole rispetto alla prestazione in cantiere.
L’ex segretario: sospetti su Chiavazza
Le difese degli imputati hanno puntato, in particolare, sul dimostrare la legittimità degli stanziamenti relativi alle migliorie. Un’opzione che l’allora segretario comunale, Cristina Machet, altro testimone dell’udienza, non ha bollato di illegittimità, aggiungendo però che se effettuato da un funzionario che riceve dei bonifici da un’azienda affidataria innalza naturalmente dei sospetti. Gli stessi che, secondo gli accertamenti compiuti dall’ex dirigente comunale (responsabile anticorruzione dell’ente), venivano rilanciati dai debiti di Chiavazza nei confronti di ditte edili e dell’essere socio di una ditta privata (oltre al “tenore di vita elevato rispetto al suo stipendio”).
“Era lui che impegnava il denaro e la mia preoccupazione discendeva da quello”, ha spiegato Machet. “Quanto?”, le ha chiesto un difensore per contestualizzare il peso specifico dell’allora capo ufficio tecnico. “Le imputazioni in capo all’ufficio tecnico di Valtournenche – è stata la risposta – possono aggirarsi sui 6/7 milioni di euro all’anno, tra manutenzioni, opere nuove e l’appalto della neve”.
Il processo è proseguito nel pomeriggio, con le deposizioni di altri testimoni d’accusa, poi è stato rinviato all’8 novembre: sia il pm Ceccanti, sia gli avvocati dei tre imputati, hanno richiesto la trascrizione di conversazioni intercettate, da effettuare assegnando una perizia. In quell’occasione sfileranno poi in aula i testimoni della parte civile e i primi delle difese. Un’ulteriore udienza è stata fissata per il 15 dicembre.