Rovesciando il verdetto di primo grado, che era stato di colpevolezza per entrambi, la terza sezione della Corte d’Appello di Torino ha assolto i fratelli artigiani Daniele e Luciano Cordì dall’accusa di aver reso falsa testimonianza nel processo Geenna, su infiltrazioni di ‘ndrangheta in Valle d’Aosta. L’udienza si è tenuta ieri, martedì 10 settembre.
E’ stato lo stesso rappresentante della Procura generale, in aula, a chiedere di riformare parzialmente la sentenza precedente, emessa dal Gup del Tribunale di Aosta il 12 aprile 2022, invocando l’assoluzione per Daniele Cordì (cui erano stati inflitti 18 mesi di carcere) e una pena di 10 mesi di reclusione per Luciano Cordì (che ad Aosta era stato condannato a 16 mesi). Le motivazioni della sentenza sono attese entro 30 giorni.
I profili di presunta falsa testimonianza erano stati segnalati alla Procura di Aosta dai giudici del processo “Geenna” con dibattimento ordinario (celebrato dinanzi al Tribunale collegiale di Aosta nel 2020). I fratelli Daniele e Luciano Cordì erano stati chiamati a testimoniare rispetto allo “sgarbo che sarebbe stato commesso” ai danni di un artigiano cognato di Antonio Raso, ristoratore accusato in “Geenna” di fare parte della “locale” di ‘ndrangheta di Aosta.
Nell’impostazione dell’accusa, l’artigiano non avrebbe ricevuto lavori in un cantiere edile a Torgnon, “procurato” ai due da Raso. Nella segnalazione dei giudici alla Procura, che poi aveva indagato muovendo le accuse ai fratelli (e ad altri due testimoni, uno assolto e l’altro che aveva optato per il patteggiamento in primo grado), nel rendere le loro testimonianze i due avevano ricondotto i fatti contestati alla normalità, o manifestato reticenza.
Lo avrebbero fatto perché destinatari (e, per gli inquirenti, sensibili ad esso) di “un preciso avvertimento di natura mafiosa” da parte del vertice della “locale”. Una tesi che, dopo aver convinto il Gup di Aosta, i magistrati della Corte d’Appello di Torino non hanno riscontrato. Il processo “Geenna” è giunto al grado di “appello bis”, dopo che la Cassazione, il 24 gennaio 2023 aveva annullato le condanne nei confronti di quattro imputati, rinviando ad una diversa sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio.
Uno dei rilievi mossi dalla Suprema Corte, nel disporre l’annullamento con rinvio, era stato che alcune condotte degli imputati non fossero dimostrative della forza intimidatrice dell’ipotizzata associazione mafiosa. Al processo manca un’udienza, in calendario per la fine di questo mese, ed è evidente che la sentenza assolutoria nei confronti dei fratelli Cordì possa rappresentare, per i difensori dei quattro imputati (Antonio Raso, Nicola Prettico, Alessandro Giachino, accusati di associazione di tipo mafioso, e Monica Carcea, chiamata a rispondere di concorso esterno), un elemento nuovo, in grado di rafforzare le loro tesi.
Nell’altro ramo, quello celebrato con rito abbreviato, la Cassazione aveva confermato, nell’aprile 2023, le condanne per associazione di tipo mafioso di Bruno Nirta, Marco Fabrizio Di Donato, suo fratello Roberto Alex Di Donato e Francesco Mammoliti, cristallizzando così l’esistenza della “cellula” ‘ndranghetista aostana. Alcuni di loro hanno, nel frattempo concluso di scontare le pene comminate e sono usciti dal carcere.