“A fronte di malattie altamente contagiose in grado di diffondersi a livello globale, «ragioni logiche, prima che giuridiche» (sentenza n. 5 del 2018) radicano nell’ordinamento costituzionale l’esigenza di una disciplina unitaria, di carattere nazionale, idonea a preservare l’uguaglianza delle persone nell’esercizio del fondamentale diritto alla salute e a tutelare contemporaneamente l’interesse della collettività”. Così la Corte costituzionale spiega nelle motivazioni pubblicate ieri la scelta di bocciare il 24 febbraio scorso la legge regionale 11/2020 sulle riaperture. L’articolato regionale era stato primo sospeso dalla Consulta il 14 gennaio e in seguito ne era stata definitivamente dichiarata l’illegittimità costituzionale.
“Accade, infatti, che ogni decisione in tale materia, per quanto di efficacia circoscritta all’ambito di competenza locale, abbia un effetto a cascata, potenzialmente anche significativo, sulla trasmissibilità internazionale della malattia, e comunque sulla capacità di contenerla. – si legge ancora nelle motivazioni – Omettere, in particolare, di spezzare la catena del contagio su scala territoriale minore, mancando di dispiegare le misure a ciò necessarie, equivale a permettere che la malattia dilaghi ben oltre i confini locali e nazionali”.
La Consulta ricorda come “dal punto di vista storico, peraltro, la profilassi delle malattie infettive è sempre stata appannaggio dello Stato. ” Il giudizio non entra nel merito della legittimità dei Dpcm “comunque assoggettati al sindacato del giudice amministrativo” ma afferma “il divieto per le Regioni, anche ad autonomia speciale, di interferire legislativamente con la disciplina fissata dal competente legislatore statale”.
“Se, dunque, sono le strutture sanitarie regionali ad adoperarsi a fini profilattici, – si legge ancora – resta fermo che, innanzi a malattie contagiose di livello pandemico, ben può il legislatore statale imporre loro criteri vincolanti di azione, e modalità di conseguimento di obiettivi che la medesima legge statale, e gli atti adottati sulla base di essa, fissano, quando coessenziali al disegno di contrasto di una crisi epidemica”.
Poco prima della caduta del Governo Conte, l’ex Ministro agli Affari regionali Francesco Boccia aveva annunciato la volontà di ritirare l’impugnativa a fronte di un confronto con la Regione su eventuali modifiche alla normativa.
“Prendiamo atto della sentenza annunciata dalla Corte Costituzionale – commentava nel febbraio scorso il Presidente della Regione Erik Lavevaz – nell’attesa di leggerne le motivazioni e di conoscere quali articoli abbiano superato il vaglio di costituzionalità; rimane il rimpianto che l’annunciata rinuncia all’impugnativa da parte statale si sia persa nel cambio di Governo a Roma. In questi mesi la Valle d’Aosta ha raggiunto risultati eccezionali nella limitazione della diffusione della pandemia: ribadiamo che la legge 11 aveva lo scopo di adattare le indicazioni nazionali per la gestione dell’emergenza sanitaria alle peculiarità del territorio valdostano, come abbiamo dimostrato con l’azione di questi mesi. Mettiamo al primo posto la salute dei valdostani, rivendicando però il nostro diritto a costruire un’azione efficace per la nostra realtà: ed è quello che continueremo a fare, con attenzione e responsabilità”.
Il 14 gennaio la Consulta accoglie, per la prima volta nella sua storia, la richiesta di sospensiva
La legge regionale sulle riaperture di varie attività, approvata dal Consiglio Valle lo scorso 9 dicembre, aveva smesso di avere effetti già il 14 gennaio scorso, quando la Consulta aveva accolto, per la prima volta nella sua storia, la richiesta di sospensiva, in via urgente, avanzata dal Governo all’atto dell’impugnazione del provvedimento.
Come spiegava l’ordinanza “la legge regionale impugnata, sovrapponendosi alla normativa statale, dettata nell’esercizio della predetta competenza esclusiva, espone di per sé stessa al concreto e attuale rischio che il contagio possa accelerare di intensità, per il fatto di consentire misure che possono caratterizzarsi per minor rigore; il che prescinde dal contenuto delle ordinanze in concreto adottate”. In particolare “le modalità di diffusione del virus Covid-19 rendono qualunque aggravamento del rischio, anche su base locale, idoneo a compromettere, in modo irreparabile, la salute delle persone e l’interesse pubblico ad una gestione unitaria a livello nazionale della pandemia, peraltro non preclusiva di diversificazioni regionali nel quadro di una leale collaborazione”.
L’udienza di discussione dell’istanza cautelare si era svolta, a Roma, dinanzi al giudice costituzionale Augusto Barbera, professore emerito di diritto costituzionale, eletto dal Parlamento. La Regione, che attraverso la Giunta presieduta da Erik Lavevaz aveva deciso di costituirsi nel giudizio di legittimità, era rappresentata dal professor Francesco Saverio Marini.
Secondo l’allora esecutivo guidato da Giuseppe Conte, la richiesta di sospensiva era giustificata dal fatto che la legge regionale introduceva “misure ampliative e derogatorie rispetto al quadro regolatorio nazionale, in un contesto di grave e preoccupante innalzamento della curva del contagio, unita ai rischi di esternalità negative per l’intero sistema sanitario nazionale, ancor più gravi in caso di emulazione da parte di altre regioni”.
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come volevasi dimostrare…Suggerisco alla Giunta tutta di prendere lezioni di diritto costituzionale, sono disposto a pagargliele
Sentenza che prova il pressapochismo di Lavevaz che pressato dalla Lega ha pisciato fuori dal vaso.