‘Ndrangheta, rinviati a giudizio gli avvocati aostani Bagalà e Giunti
Non hanno chiesto riti alternativi e sono stati rinviati a giudizio dal gup Alfredo Ferraro i due avvocati aostani Maria Rita Bagalà (52 anni, attualmente detenuta) e il marito Andrea Gino Giunti (55), accusati di associazione di tipo mafioso dalla Dda catanzarese nell’indagine antindrangheta “Alibante” condotta dai Carabinieri. Per entrambi, come per altri 27 dei 31 imputati, il processo con dibattimento ordinario avrà inizio il prossimo 8 luglio. E’ l’esito dell’udienza preliminare che si è tenuta ieri, lunedì 11 aprile, al Tribunale di Catanzaro.
Il radicamento della cosca
Entrambi – secondo la tesi dell’accusa, condensata nella richiesta di rinvio a giudizio firmata dal procuratore Nicola Gratteri, dall’aggiunto Vincenzo Capomolla e dai sostituti Chiara Bonfadini e Romano Gallo – erano parte della “cosca Bagalà, operante lungo la fascia costiera tirrenica catanzarese”, caratterizzata da “legami ‘ndranghetistici storicamente radicati e da cointeressenze economiche con la cosca Iannazzo-Cannizzaro-Daponte” di Lamezia Terme, Sambiase/Sant’Eufemia.
Bagalà: la “mente legale”
Agli occhi degli investigatori, per il tramite di Carmelo Bagalà, padre dell’avvocata e ritenuto dagli inquirenti “capo storico” del sodalizio (arrestato, a sua volta, nell’operazione) – la cosca vantava anche “collegamenti e vincoli con organizzazioni criminali operanti nella provincia di Cosenza, nella piana di Gioia Tauro, nelle province di Vibo Valentia e Caserta”. Stando alle indagini, Maria Rita Bagalà era la “mente legale della cosca” e “garantiva sotto la regia del padre l’amministrazione di diversi affari illeciti della compagine”, della quale “curava gli interessi economici e finanziari”.
Per la Dda catanzarese, assieme al padre e al marito l’avvocata “amministrava in prima persona e in maniera occulta le attività della società ‘Calabria Turismo s.r.l.’ (interdetta per mafia nel 2016, ndr.), che veniva intestata fittiziamente” a dei “consociati prestanome”. Inoltre, nella ricostruzione inquirente, Maria Rita Bagalà “cooperava nella realizzazione dei lavori di ristrutturazione e riattivazione di una struttura alberghiera” in Calabria, l’Hotel dei Fiori.
Da Giunti, “consulenza” economico-finanziaria
In quel frangente – è scritto nell’istanza – la libera professionista “si impegnava in operazioni di reperimento di risorse economiche di dubbia provenienza, finalizzate a perseguire il programma criminoso” della cosca, “interessata a terminare i lavori di edificazione”. Agli occhi degli inquirenti, l’avvocato Giunti partecipava invece al sodalizio “prestando assistenza tecnico-professionale agli associati e offrendo consiglio nella predisposizione del programma criminoso nei settori economico-finanzario e imprenditoriale, nonché consulenza nell’approntamento delle strategie e dei modi più opportuni per perseguire” tali obiettivi.
Sulla base delle risultanze delle indagini (la contestazione associativa è mossa a Maria Rita Bagalà dal 2000 e, per il marito, dalla fine del 2011), la Dda ritiene che Giunti “organizzava importanti operazioni di riciclaggio di denaro, finalizzate a perseguire il programma criminoso della cosca” e utilizzava la “Calabria Turismo s.r.l.” per “acquisire un immobile da adibire ad attività commerciale in Valle d’Aosta”.
Le altre accuse per l’avvocata
L’avvocata Bagalà è poi accusata anche di altri due reati ricondotti all’associazione. La prima ipotesi è il trasferimento fraudolento di valori, per la presunta attribuzione fittizia di quote della Calabria Turismo S.r.l., al fine di creare “uno schermo formale, che consentiva ai soci occulti di avvantaggiarsi, in maniera sistematica e continuativa, della ripartizione degli utili societari, eludendo, al contempo, possibili misure di prevenzione”.
L’altra contestazione mossa alla libera professionista è l’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, in ordine al finanziamento comunitario (del Por Calabria Fesr 2007/13) ottenuto dalla società per realizzare l’albergo, tra il 2014 e il 2015. Un beneficio fruito – si legge tra l’altro nella richiesta di rinvio a giudizio – “asseverando falsamente la conformità del progetto alle norme urbanistiche e ambientali, laddove invece le opere erano state già iniziate abusivamente, prima della richiesta di permesso a costruire, in assenza tra l’altro di nulla osta paesaggistico”.
Le indagini, il carcere “in corsa”
L’ufficio diretto dal procuratore Gratteri aveva sostenuto sin dalla richiesta di misure cautelari l’appartenenza di Maria Rita Bagalà alla cosca di ‘ndrangheta. Nell’ordinanza che le disponeva, tuttavia, alla luce del materiale probatorio valutato, il Gip Matteo Ferrante aveva riqualificato la posizione dell’avvocata, stabilendo per lei i “domiciliari” e la contestazione di concorso esterno nell’associazione. Le istanze di revoca erano state respinte sia dal Riesame, sia dalla Cassazione.
Nemmeno la Procura, però, ha desistito dalla sua visione, ricorrendo al Tribunale per chiedere nuovamente la detenzione preventiva in cella (misura sollecitata sin dall’inizio) e opporsi alla modifica del reato ipotizzato. La tesi è stata accolta e, dopo l’esame della Cassazione, l’avvocata è stata incarcerata a fine gennaio. Per l’avvocato Giunti, colpito anche da interdittiva antimafia a seguito del coinvolgimento nell’inchiesta, il Gip aveva respinto la richiesta di misura della Dda (non riconoscendo il raggiungimento della soglia di gravità indiziaria nei confronti del legale) ed è rimasto indagato a piede libero.
Ammesse le parti civili
All’udienza di ieri, il giudice Ferraro ha anche ammesso varie parti civili nel procedimento penale: i comuni di Falerna e Nocera Terinese (attualmente retto da una commissione straordinaria, dopo il suo scioglimento per infiltrazione mafiosa), la Regione Calabria, l’associazione antiracket lametina e due privati. Nella richiesta di rinvio a giudizio, la Dda catanzarese aveva individuato in tutto dodici persone offese. Il processo con dibattimento ordinario si terrà dinanzi al Tribunale collegiale di Lamezia Terme.