Il ”non doversi procedere” è stato pronunciato oggi, mercoledì 25 gennaio, dal Tribunale di Aosta nei confronti di un 43enne, di origini marocchine, accusato del tentato omicidio, in due diversi episodi, dell’allora moglie. L’udienza si è tenuta nella mattinata e la sentenza è stata letta dai giudici (il collegio era presieduto da Eugenio Gramola e si completava con i colleghi Luca Fadda e Marco Tornatore) quando erano passate le 14.30.
L’accusa, rappresentata dal pm Manlio D’Ambrosi, aveva chiesto di infliggere all’imputato un totale di quindici anni di reclusione. I fatti erano emersi da un altro processo in cui l’uomo era chiamato a rispondere di maltrattamenti in famiglia sull’ex consorte. Nella ricostruzione del contesto di angherie e abusi, per cui è stato condannato in primo grado (a cinque anni e mezzo di reclusione) erano emersi in aula i due momenti in cui lui avrebbe tentato di ucciderla.
Il pubblico ministero aveva quindi chiesto la trasmissione degli atti in Procura ed ottenuto l’apertura del processo culminato nella sentenza di oggi. Stamane è stata sentita l’ex moglie del 43enne, sua connazionale, che ha ripercorso come il 22 dicembre 2007, dopo che lei era tornata esausta dal lavoro, lui avesse portato in casa un braciere acceso, nell’intento – era la tesi dell’accusa – di intossicarla con il monossido di carbonio.
“Quando lei, snervata per i fumi, decide di andare in camera da letto e quasi non ci riesce, perché l’esposizione alle esalazioni è stata probabilmente forte, – ha sottolineato il pm D’Ambrosi – lui glielo porta direttamente in camera. Quindi, chiude la porta, chiude le finestre, aumentando l’esposizione. E quando la signora chiede di aprire per cambiare aria, l’unico atteggiamento dell’imputato è, direi, di scherno: apre la porta e le chiede ‘come mai sei ancora viva?’”.
La donna, testimoniando, ha detto “ancora oggi mi sto chiedendo come ce la abbia fatta. Ho chiamato il 118 con il cellulare che avevo nel grembiule”. L’altro episodio è più recente, risale al 22 luglio 2021. In quell’occasione, ha raccontato l’ex moglie, “dopo calci, sputi in faccia e minacce mi ha presa per il collo con due mani” e “sono svenuta per un paio di minuti”, quindi “mi ha lasciata lì”. Quando la donna si riprende vede che “lui aveva messo tutta la roba in macchina”.
Dopo essere stata in Pronto soccorso, in quell’occasione, ha spiegato che è stata poi portata in una residenza protetta e, “successivamente a questi fatti, sono ancora seguita da una psicologa”. Costituitasi parte civile nel processo, la donna – secondo il legale che la assisteva – “ha avuto il coraggio di denunciare” e, per questo “è rimasta isolata dalla comunità islamica e ha anche subito minacce dei parenti in Marocco”. Peraltro, aveva premesso il pm, l’unione tra i due era nata “per interessi familiari” e “non ha mai assunto le sembianze di un vero matrimonio”.
Il difensore dell’imputato ha puntato a dimostrare, anche attraverso una consulenza tecnica di parte, come le condotte contestate al suo assistito nei due casi non rappresentassero dei tentativi di uccisione, quanto delle lesioni. “Nel 2007 (anno del primo episodio, ndr), – ha detto – siamo all’inizio di questa relazione. Che ci sia già un intento specifico di uccidere la compagna e moglie stride un po’”.
I giudici, nel sentenziare il “non luogo a procedere”, hanno riqualificato in lesioni l’episodio sull’accensione del braciere, dichiarando intervenuta la prescrizione sullo stesso. Relativamente al tentativo di strozzamento, invece, il Collegio ha decretato che la nuova azione penale non dovesse avere inizio giacché era già in corso un procedimento sullo stesso fatto (quello per i maltrattamenti), anche se con diversa accusa, così applicando il principio per cui non si può essere processati più volte sulla medesima vicenda.