Operaio morto a Pré-Saint-Didier, la Procura impugna l’assoluzione dell’impresario

E’ stato depositato, negli scorsi giorni, il ricorso con cui il pm Pizzato chiede di riformare l’assoluzione pronunciata lo scorso 8 novembre dal Gup del Tribunale nei confronti di Angelo Camputaro Lavorgna, 66enne di Saint-Vincent.
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Cronaca

Un travisamento dei fatti e un’erronea valutazione degli elementi di prova. Si tratta, secondo la Procura della Repubblica, di ciò in cui è incorso il Gup del Tribunale di Aosta che, lo scorso 8 novembre, ha assolto “perché il fatto non sussiste” Angelo Camputaro Lavorgna, impresario 66enne di Saint-Vincent, dall’accusa di omicidio colposo. L’imputato era il datore di lavoro di Giuseppe Dagostino, operaio 43enne morto il 12 febbraio 2021 a Pré-Saint-Didier, dove l’azienda stava operando con un cantiere sulla Statale.

La vittima, dopo avere scavalcato una barriera, era scivolata lungo il pendio accanto alla strada per circa 200 metri, cadendo nell’“Orrido”. Il giudice aveva escluso la responsabilità penale dell’impresario a giudizio, richiamando nelle motivazioni del verdetto che l’incidente presentasse numerose similitudini con un caso affrontato dalla Corte di Cassazione nel 2018, chiusosi con l’assoluzione del datore di lavoro. Per il pm Francesco Pizzato, che negli scorsi giorni ha depositato il ricorso alla Corte d’Appello di Torino, i due episodi in realtà differiscono tra loro.

In particolare, nella tesi dell’accusa (che, nel processo di primo grado aveva chiesto una condanna a 6 mesi di reclusione per l’imputato), sono tre gli elementi che dovrebbero condurre ad affermare la colpevolezza dell’impresario. In primo luogo, il fatto che – stando alle indagini – la delimitazione esterna del cantiere non fosse conforme ai requisiti normativi. Quindi la previsione, ricavata dagli accertamenti inquirenti, di lavorazioni da eseguire oltre all’area delimitata (da considerare quindi area di cantiere).

Infine, che la situazione di pericolo del terreno oltre la barriera non fosse stata segnalata agli operai. Elementi per cui, agli occhi del pm, il datore di lavoro non avrebbe adempiuto agli obblighi di prevenzione a suo carico. Per l’accusa, se il lavoratore avesse ricevuto indicazione esatta delle lavorazioni da svolgere, e dell’area in cui mantenersi per compierle, nonché le precauzioni da adottare per operare in sicurezza, avrebbe avuto coscienza della pericolosità dell’area situata oltre il guard-rail e sarebbe riuscito a valutare il rischio nel superarla.

La Corte d’Appello dovrà ora fissare l’udienza per la discussione del ricorso. Nel processo aostano, celebrato con rito abbreviato, il difensore dell’imputato, l’avvocato Corrado Bellora di Aosta, anche attraverso la produzione di una consulenza tecnica di parte, aveva sostenuto che l’accaduto avesse rappresentato “una tragedia, una tragica fatalità, per la quale non si può che avere massima comprensione sul piano umano, ma senza alcuna responsabilità del datore di lavoro”.

Il legale aveva chiesto (ottenendola, in primo grado) l’assoluzione dell’imputato sottolineando che l’operaio avesse “scavalcato una recinzione e si è recato in una zona al di fuori dell’area di lavoro”. Una visione diversa da quella della Procura, convinta che la condotta imprudente della vittima abbia costituito la diretta conseguenza della violazione degli obblighi di prevenzione cui era tenuto il datore di lavoro, per cui chiede la riforma della sentenza pronunciata in novembre, invocando una condanna in appello.

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