Processo Geenna, i difensori: Carcea dileggiata perché calabrese

L’udienza di oggi, giovedì 25 giugno, è stata dedicata interamente ai testimoni citati dai difensori dell’ex assessore di Saint-Pierre. Tra questi, anche il marito Giuseppe Lazzaro e il dipendente regionale Gianni Mongerod.
Giuseppe Lazzaro lascia Palazzo di giustizia.
Cronaca

Le prese in giro a Monica Carcea per le sue origini calabresi sono state il tema su cui i difensori della donna, imputata nel processo aostano “Geenna” per concorso esterno in associazione mafiosa, hanno puntato maggiormente nell’udienza di oggi, giovedì 25 giugno. Carcea, fino all’arresto del 23 gennaio 2019, è stata assessore alla programmazione finanziaria di Saint-Pierre ed a dileggiarla erano, sulla base delle testimonianze sentite in giornata, i suoi colleghi di maggioranza.

La mail di dissociazione

L’avvocato Francesca Peyron, che assiste Carcea, ha fatto emergere tale aspetto, anzitutto, chiedendo conto all’ex vicesindaco del Comune (oggi commissariato, dopo l’accesso antimafia scattato per le risultanze dell’inchiesta) Ermanno Bonomi, convocato come testimone, di una e-mail da lui inviata al “Gruppo Giunta” il 3 gennaio 2018. “Purtroppo oggi ho assistito, o meglio ho ascoltato – si legge nel messaggio – delle affermazioni vergognose”.

“Mi riferisco a Liliana (Armand, allora consigliere comunale, ndr.) quando ha detto a Monica, riferendosi ai suoi parenti calabresi, che dovrebbero mettere della dinamite alla Lanterna. – continua il testo – Non scherziamo, sono dispiaciuto per Monica e prendo le distanze da questi comportamenti. Forse ho sbagliato a non intervenire subito. Solo scendendo in macchina mi sono reso conto della gravità del comportamento che va censurato”.

La mail si chiude con la richiesta a “Paolo (Lavy, l’allora sindaco, ndr.) di sentire Liliana e di porre le sue scuse immediate a Monica”. La vicenda, in aula, è stata ricondotta da Bonomi ad una riunione tra esponenti dell’amministrazione sull’ex hotel Lanterna, inutilizzato e al centro di un contenzioso tra Stato e Regione sulla proprietà. Il già Vicesindaco ha definito l’episodio “un’uscita un po’ infelice della signora Armand, nel senso come battuta, che però a me personalmente aveva dato molto fastidio, perché il rispetto reciproco ci deve essere sempre”.

“Non c’era il piacere di stare insieme”

Oltre a dire della composizione delle liste alle ultime amministrative, nella sua deposizione di stamane, Alessia Favre, capogruppo di opposizione in Municipio fino al momento di intraprendere la carica di consigliere regionale (nel dicembre 2019), aveva spiegato – rispondendo alle domande dell’avvocato Giulio Calosso, parte civile per il Comune di Saint-Pierre – come “in alcuni momenti Monica Carcea finì nel mirino di una serie di persone della maggioranza”.

Al riguardo ha ricordato che “era evidente che quando stavamo tutti insieme, anche in una situazione non di consiglio, non c’era piacere a stare tutti assieme”. Inoltre, è tornata su “episodi di voti disgiunti, quando non tutta la maggioranza fu compatta nel sostenere le proposte del Sindaco”. L’attenzione di Carcea al mondo della scuola (per l’accusa, emersa nella vicenda della proroga del servizio di taxi-bus per gli alunni) era, secondo Favre, “legata al fatto di avere figli”, di conoscere “la realtà, ma anche alla voglia di dimostrare attenzione al paese e non essere criticata”.

Da Di Donato e Raso nessun appoggio elettorale

Nel pomeriggio, il marito dell’imputata, Giuseppe Lazzaro, ha escluso con le parole “assolutamente no”, che Marco Fabrizio Di Donato e Antonio Raso, ritenuti i capi della “locale” di ‘ndrangheta alla base dell’inchiesta (ai quali Carcea avrebbe rivelato notizie sull’attività dell’ente per “sdebitarsi” del sostegno ricevuto), abbiano appoggiato la moglie nella campagna elettorale 2015. Addirittura, ha riferito l’uomo al difensore Claudio Soro, Di Donato “mi telefonò” dicendo “siete una bella famiglia numerosa, potete aiutare Alessia Favre? Risposi di no, perché mia moglie era candidata”.

Raso, invece, “sapeva che era in lista, ma mi chiese in quale”. Un’affermazione che ha attirato l’attenzione del pm Stefano Castellani: “sa perché le fece questa domanda?”. “No, non gli ho dato peso”, ha affermato l’uomo. L’accusa ha insistito, ricordando che in almeno una decina di servizi di appostamento dei militari durante le indagini, “quando sua moglie si recava da Raso o Di Donato era sempre accompagnata da lei”. La spiegazione è stata: “non mi nascondo, sono geloso”. “Ha assistito a discussioni sul rinnovo del servizio di taxi bus?”, ha insistito il pm. Al “non ricordo” dell’uomo, il presidente del Tribunale lo ha “ammonito” sui rischi di una falsa testimonianza: “ci sono delle intercettazioni. Se da queste emergesse che lei ha assistito, la sua iscrizione nel registro degli indagati della Procura non sarebbe probabile, ma certa”.

Mongerod indagato (e archiviato) in “Geenna”

Chiamato come teste difensivo, ma oggetto del “fuoco di fila” dell’accusa è stato anche il dipendente regionale Gianni Mongerod. Oggi è emerso il suo coinvolgimento nell’inchiesta, come chiarito dallo stesso pm Castellani, prima che deponesse: “era stato indagato in questo procedimento e archiviato per il reato di cui all’articolo 110-416 bis (concorso esterno in associazione mafiosa, ndr.) il 10 dicembre 2019”. L’uomo ha spiegato di essere stato assunto come impiegato tecnico e detto di rivestire, dal 2013, un incarico amministrativo di “emergency manager di palazzo regionale”.

“Mai fatto il segretario di nessuno”

Agli occhi degli inquirenti, Mongerod rappresentava il “’trait d’union’ con cui Raso arrivava a palazzo regionale”. Alla richiesta del Pubblico ministero sul fatto che Raso gli avesse mai chiesto di organizzare un incontro con qualcuno per Monica Carcea, ha osservato “andavo lì al ristorante, perché Tonino era un amico, è un amico. I discorsi che si facevano erano da bar. Io non ho mai fatto il segretario di nessuno”.

L’accusa ha quindi contestato all’uomo due e-mail, trovate sul pc sequestrato a Raso, speditegli dal ristoratore. La prima, del gennaio 2015, aveva allegata una ipotesi di lettera per l’allora governatore Oliverio e un altro consigliere regionale della Calabria, per invitarli ad Aosta in occasione della fiera di Sant’Orso. “Lei la girò all’indirizzo dell’allora assessore Perron”, ha sottolineato Castellani. “Ha detto di non aver fatto il segretario di nessuno, perché ha fatto questa cosa per Raso?”. “Perron, – ha replicato Mongerod – oltre ad essere il mio assessore in quel periodo, era un amico. Non mi ricordo, sinceramente”.

“Non ricordo nulla” è stata anche la reazione all’altro messaggio, con cui Raso inoltrava al dipendente di piazza Deffeyes la mail di un imputato nel ramo torinese del processo (Roberto Bonarelli, accusato di favoreggiamento, per aver avvisato il titolare de “La Rotonda” della presenza di microspie nel locale, ndr.), con allegato il catalogo di una ditta. Secondo le indagini, Mongerod lo girò al segretario particolare di Perron, che fissò un incontro. “Ancora una volta, – non ha potuto fare a meno di osservare il Pubblico ministero – lei ha fatto da tramite tra Raso e l’assessore Perron”. Tramite, in francese, “trait d’union”.

Sui rapporti con Carcea è stata sentita anche la moglie di Marco Fabrizio Di Donato, che li ha ricondotti alla frequentazione delle stesse scuole, a Saint-Pierre, da parte dei rispettivi figli. Il processo riprenderà mercoledì prossimo, 2 luglio, con altri testimoni delle difese dei cinque imputati.

Gianni Mongerod
Il dipendente regionale Gianni Mongerod.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito è protetto da reCAPTCHA e da Googlepolitica sulla riservatezza e Termini di servizio fare domanda a.

Il periodo di verifica reCAPTCHA è scaduto. Ricaricare la pagina.

Vuoi rimanere aggiornato sulle ultime novità di Aosta Sera? Iscriviti alla nostra newsletter.

Articoli Correlati

Fai già parte
della community di Aostasera?

oppure scopri come farne parte