“Lo Magasin di Fontine”, in anteprima la nuova scultura di Guido Diémoz
Se la Fiera di Sant’Orso ha deciso di non fermarsi neanche quest’anno, trasferendosi sul web con una serie d’iniziative mirate a proseguire una tradizione millenaria, anche la classica “avant-première” della nuova scultura di Guido Diémoz, curata dall’Equipe d’Action Culturelle, si affida alle nuove tecnologie e al digitale.
L’opera porta il titolo “Lo magasin di Fontine” ed è frutto dei ricordi giovanili dell’artista di Doues: Diémoz, diciottenne, lavorò infatti per due anni alla cooperativa Fontine di Valpelline situata nella antica miniera di rame di Frissonière, trasformata in magazzino di stagionatura del nostro prezioso formaggio. Realizzata in noce antico, è a tutto tondo, dodici personaggi, legati alla stagionatura e al trasporto delle Fontine, dominano le cinque scene scolpite nella radice di noce bicentenario.
In questi ultimi sei anni Diémoz ha prodotto a ogni edizione un’importante opera tematica per immortalare le tradizioni della vita alpina e la sua storia millenaria: L’arbre du maire, Le Ru, L’Enchantement, La Tzarbonniëre, Le Magnin, Lo Secret tutte grandi sculture dedicate alle tradizioni e ai mestieri della nostra terra.
Artista autodidatta, Diémoz si è dedicato alla scultura in piena maturità, dopo varie esperienze lavorative gestendo per oltre vent’anni, con la moglie, Elvira Barmette, il ristorante tipico valdostano, “Lo Bon Megnadzo” di Doues, oggi trasformato in una splendida casa vacanze.
La scultura di Diémoz trae origine dal vissuto popolare della sua terra montanara, che lo ha portano a realizzare opere di grande vigore plastico e monumentale legate agli antichi mestieri e alle tradizioni contadine. La sua produzione artistica è profondamente legata all’espressionismo scultoreo di scuola figurativa, affonda le sue radici interpretative nel mondo contadino valdostano vissuto in prima persona dallo scultore e ai cui valori è inscindibilmente legato. I legni secolari utilizzati da Diémoz sono la storia di un tempo, non troppo lontano, in cui la vita in montagna era sinonimo di fatica, di sopravvivenza alimentare.