Il Comitato per la riforma elettorale se l’era chiesto giusto un paio di giorni fa: “cosa pensano le forze politiche del referendum consultivo sull’elezione diretta del presidente della Regione?”.
“A chilometro zero”, si direbbe – dato che Pcp è tra i movimenti promotori della consultazione popolare – a chiedere conto al presidente Lavévaz in Consiglio regionale, questa mattina, è stata Chiara Minelli.
“Ci troviamo a discutere di un avvenimento istituzionale di notevole importanza – ha detto in aula la consigliera –: per la prima volta da quando esiste la Regione autonoma Valle d’Aosta è stato richiesto, da cittadini, un referendum popolare consultivo su di una proposta di legge. Un avvenimento inedito che dovrebbe essere vissuto come un’occasione eccezionale di confronto e di partecipazione alla politica, peraltro su di una questione centrale: la modalità di elezione del Consiglio regionale e del presidente della Regione”.
“Noi crediamo che i presidenti della Regione e del Consiglio si debbano adoperare affinché il referendum si faccia in tempi rapidi e si permetta poi all’Assemblea regionale, con il conforto del parere degli elettori, di approvare la legge elettorale regionale – ha aggiunto –. Tuttavia, guardando all’iter fino ad ora seguito, sembra che non si voglia cogliere positivamente questa occasione: lo scorso 10 giugno la Segreteria generale della Presidenza del Consiglio ha attestato la validità della richiesta di referendum e ha trasmesso il verbale al Presidente della Regione che, secondo la norma di legge, avrebbe dovuto essere pubblicato sul Bollettino ufficiale della Regione entro i successivi dieci giorni. Il perfezionamento di questo iter richiede anche il voto del Consiglio regionale ma il presidente del Consiglio non ha provveduto a iscrivere la richiesta di referendum all’ordine del giorno di questa adunanza. Interroghiamo il presidente della Regione per sapere se abbia concordato con il presidente del Consiglio di dare una rapida risposta alla richiesta di referendum avanzata dal 3.363 valdostani, convocando a breve, se necessario, un Consiglio straordinario”.
Un “enjeu” complesso e fondamentale
Di suo, Erik Lavevaz non si scompone, ma ha espresso “perplessità sul tentativo di coinvolgere il Presidente della Regione, attraverso un uso strumentale e selettivo dei richiami normativi, in un iter che è assolutamente interno al Consiglio regionale. Non voglio entrare nel merito della questione, anche se credo che il lavoro iniziato in prima Commissione, soprattutto riguardo al dibattito sul quesito referendario, sia un passaggio fondamentale: il referendum è un momento di democrazia, che deve essere chiara e limpida, quindi la discussione sul quesito referendario è molto importante perché l’enjeu è complesso e fondamentale per il futuro della nostra regione”.
Una debita ingerenza
Ergo? “Attendo quindi che il Consiglio trasmetta, ai sensi dell’articolo 45 della legge sul referendum, la deliberazione di questa Assemblea per procedere all’indizione del referendum – ha aggiunto –. Non credo che il presidente della Regione abbia nulla da concordare con il presidente del Consiglio, anche perché sarebbe un’indebita ingerenza in un procedimento che, ripeto, è tutto interno al Consiglio regionale.»
In replica, la consigliera Minelli non nasconde il suo disappunto: “Tocca al presidente della Regione pubblicare sul Bollettino ufficiale il verbale dell’avvenuta verifica – ha detto –, cosa che sarà fatta solo domani, quindi in ritardo rispetto ai 10 giorni previsti per legge. Pertanto, i dubbi del presidente sull’interrogazione a lui rivolta non hanno fondamento perché il presidente è ‘concerné’”.
“Sull’importanza del quesito – chiude la consigliera Pcp –, il Presidente del Consiglio, in Commissione, ha indicato ben tre diverse ipotesi dello stesso: quindi non manca la possibilità di formulare un quesito pertinente ed efficace, quello che manca è la volontà di rispondere alla richiesta di così tante persone che si sono espresse su di un tema che, evidentemente, non è solo prerogativa di chi è seduto qui dentro”.
Una risposta
“Quando per diventare direttore di una banca, o preside di una scuola, o socio di un’accademia scientifica, o componente di una commissione di concorso universitario è necessario aver la tessera del partito che è al governo, allora quel partito sta diventando regime: allora la politica, che è necessaria e benefica finché scorre fisiologicamente negli uffici fatti per essa diventa, fuori di li, un pretesto per infeudare la società a una classe di politicanti parassiti; diventa una specie di malattia paragonabile all’arteriosclerosi perché impedisce quella circolazione e quel continuo ringiovanimento della classe dirigente, che è la prima condizione di vitalità d’ogni sana democrazia”. Piero Calamandrei (tratto da articoli della rivista Il Ponte – giugno 1950).