La convivenza con l’orso? Bisogna educare alla conoscenza

22 Aprile 2023

In Valle d’Aosta siamo abituati: la presenza del lupo, negli ultimi anni di ritorno nella nostra regione, alimenta da tempo il dibattito pubblico. Questo, tra chi difende la presenza della specie protetta e la considera anzi un “valore aggiunto” e chi ne vede invece gli aspetti pericolosi e invoca a gran voce di prendere provvedimenti.

E se, in questo senso, in Consiglio Valle Lega, Forza Italia e Gruppo misto hanno chiesto di considerare la possibilità di abbattere gli esemplari pericolosi, l’aula di piazza Deffeyes aveva in ordine del giorno anche una risoluzione che dice “no” ad una potenziale introduzione di esemplari di orso bruno nella nostra regione, poi non discussa.

Due iniziative con una radice comune: nascono infatti entrambe dopo il tragico evento avvenuto in Val di Sole, in Trentino, dove l’orsa identificata come JJ4 è stata ritenuta responsabile della morte del runner Andrea Papi.

La reintroduzione dell’orso bruno in Valle, però, non sembra essere ipotesi presa in considerazione, ed il ricordo della sua presenza si perde ormai nel tempo: “L’ultimo avvistamento, o meglio la presenza certa di un esemplare vivente del grande plantigrado Ursus arctors risale, mi pare, al 1874” spiega Riccardo Orusa, direttore della Struttura complessa valdostana dell’Istituto zooprofilattico sperimentale.

Anche la sua presenza in Trentino nasce da lontano, dal progetto di reintroduzione Life Ursus nato nel 1999, per salvare il piccolo gruppo di orsi rimasti nell’area rilasciando alcuni esemplari provenienti dalla Slovenia: “Una Regione che ha fatto forti investimenti sul turismo e le attività ad esso collegate – spiega ancora Orusa – si è trovata di fronte a questa opportunità. Gli orsi sono stati salvati dai pericoli dell’area ex balcanica, un territorio flagellato da guerre fratricide. In Valle, se l’ultimo esemplare avvistato è del 1874 e se fino al 2023 siamo stati in assenza di orsi non possiamo dire solo ‘orso sìoorso no’”.

Il discorso non è semplice: “Dire che la Valle d’Aosta sia adatta o meno alla presenza dell’orso non è possibile. Ci sono condizioni diverse, una delle quali è storica dato che la specie non c’è da fine ‘800. Poi, le zone di montagna, per determinati areali, sono potenzialmente un po’ spopolate. Negli ultimi trent’anni si è visto anche qui. Bisogna analizzare l’ecologia ed il disturbo antropico, ovvero l’impatto dell’uomo che muovendosi con le vetture ed essendo molto rumoroso, pone una certa reattività in alcuni animali e non in certi altri. E questo va commisurato. Mi è capitato di vedere un orso in Colorado, negli Stati Uniti, a quasi 3mila metri d’altitudine. Ma con lì ci sono le regole di comportamento dettate dai ranger, un vero e proprio decalogo. Pensiamo solo al fatto che noi umani disperdiamo rifiuti non solo nei cassonetti ma anche sopra. Questo comportamento, su un esemplare di grande vitalità e forza come l’orso, che necessita di una enorme quantità di cibo, pesa”.

Il dottor Riccardo Orusa in conferenza – Foto Facebook EstaRte Etroubles

Educare alla conoscenza

L’esempio che arriva dagli States – ma non solo – impone una riflessione. Quella, cioè, sulla convivenza. Con la fauna in generale e con l’orso bruno nel dettaglio.

“Mai come oggi l’essere umano si ritiene un po’ ‘padrone dell’universo’ – dice ancora Orusa –. La reazione di un plantigrado, a livello ecologico, non è quella di un lupo che mantiene nella diffidenza e nel rimanere in branco, lontano dall’essere umano, la sua caratteristica. Per il resto non entro nel merito della decisione politica né sui fatti di cronaca. Per quest’ultimo esprimo un grande cordoglio per questa gravissima disavventura, per questo giovane e la sua famiglia. La Magistratura sta indagando, ma bisogna riflettere sulla condizione di impatto su un esemplare animale di particolare importanza e sulla contro-azione degli umani e per capire come si può convivere con una specie di questa forza”.

O, per meglio dire: “L’Orso bruno, per sua natura, ha una forza e un senso di protezione straordinari. Farebbe qualsiasi cosa per difendere i suoi piccoli. L’azione antropica, che qualcuno chiama ‘disagio’ o ‘disturbo antropico’ in termini naturalistici, in qualche modo va fatto compenetrare assolutamente. Negli Stati uniti i decaloghi dei ranger spiegano per filo e per segno come comportarsi in caso di impatto con un orso, sia nelle zone abitate sia in quelle turistiche: non dare confidenza, non dare cibo, non fare gesti inconsulti. E lo si insegna fin da bambini”.

Anche perché, aggiunge Orusa, “vale anche per un cane, se non è il proprio, che convive con l’uomo da migliaia di anni. Se impatti con lui e alzi un braccio potrebbe non reagire bene, abbaiare, ringhiare o ancora mordere. In gergo educazionale si chiama riflesso della minaccia. Con il buon senso, al mare o in montagna, si possono attuare misure particolarmente attente per capire cosa si stia facendo e come. Da questo ne deriva che non siamo tanto abituati a interagire come se vivessimo negli Urali, dove l’orso è stanziale da tempo, o nelle aree montane degli USA o ancora in Abruzzo, dove l’orso marsicano è a rischio ma vive in quelle zone da tempo”.

L’esempio dell’Abruzzo

E un esempio arriva proprio dall’Abruzzo. Non solo per l’orso – sebbene quello marsicano non abbia la stazza di quello che vive più a nord – ma anche per la convivenza con lo stesso lupo.

Orusa spiega: “È un’area molto importante dal punto di vista antropogenico. Probabilmente, prima ancora di altri hanno imparato ad avere una convivenza, così come negli USA, in cui ci sono tanti orsi. È come il giapponese che viene educato al terremoto, dove a 10 anni si impara come comportarsi prima e non a situazione deflagrata. C’è un codice di comportamento e su come si agisca nel caso di situazione di grave pericolo”.

“Prima di pensare a come proteggersi bisogna pensare a non essere invasivi”

Qui “quadra” il discorso di Orusa: le azioni da mettere in campo prima di prendere una decisione. Qualsiasi essa sia, e davvero sia nelle intenzioni di qualcuno: “Credo si debba, prima di pensare se reintrodurre o meno una specie che esisteva e che ora, in Valle ma in chissà quante altre regioni, può essere definita ‘aliena’, fare nelle scuole di ogni ordine e grado uno studio di comportamento. Cosa si fa quando si incontra una certa specie? Così da fornire principi di educazione. Perché prima di pensare a proteggersi bisogna pensare a non essere invasivi”.

“Non essendo i padroni della natura, dobbiamo aumentare la capienza – aggiunge –. Ci sono esseri umani che da un areale disgraziato, senza cibo e acqua, si spostano o cercano di avvicinarsi a zone meno difficili. La prima cosa da fare è capire come essere più protettivi verso noi stessi e verso gli altri. Dobbiamo reimparare a stare al mondo. Lo dico ‘sottovoce’, perché non sono nessuno. Ma la natura si sta impoverendo. E come gli animali tendono ad antropizzarsi dobbiamo convivere con loro”.

Il punto sullo sciacallo dorato

Lo sciacallo dorato avvistato al parco Mont Avic

I primi avvistamenti, poi la conferma al Parco naturale del Mont Avic. In Valle ora c’è anche lo sciacallo dorato. Cosa sappiamo della sua presenza nella nostra regione? Orusa racconta: “Oramai è ampiamente diffuso, e al momento arriva fino al Lazio. In vent’anni dagli Urali è arrivato in centro Europa ora in centro Italia. Non ci sono evidenze di conflitti tra canidi lupi e sciacalli dorati. Né sembrerebbero disturbare le volpi. Mi preoccupa una cosa: gli sciacalli dorati potrebbero veicolare magari parassiti particolari. Sui lupi, ad esempio, continuiamo a trovare la Trichinella britovi, la trichinellosi meno patogena. Ma monitoriamo se potessero avvenire passaggi potenziali di forme batteriche parassitarie, pur su esemplari non nati negli Urali”.

La “sacra regola” del buonsenso e l’attenzione al mondo

“Un lupo, non uno disperso o allontanato, ha una condizionalità: essere protetto dal branco e cerca di incontrare meno umani possibile – aggiunge l’esperto –. L’orso no. Visto anche il suo modus vivendi. E questo va commisurato con la condizione della reazione dell’umano che lo impatta. La sua caratteristica è una certa aggressività delle madri con piccoli, soprattutto nell’interpretare alcune azioni umane come una minaccia. Sono informazioni da dare ai bambini nelle scuole, dove vivono gli orsi. Sarebbe opportuno codificare dei decaloghi e delle notizie su come approcciare questo plantigrado e, ancor più, essere assolutamente cauti e attenti applicando la sacra regola del buonsenso”.

“Il mondo va avanti molto velocemente – chiude –, e anche la natura procede in fretta. È chiaro che tutto deve essere analizzato sul tempo che fu e che verrà, ma un po’ di previsionalità e di attenzione al mondo dobbiamo averla tutti”.

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