Coronavirus, sulla mancata riapertura della scuola San Francesco indaga la Procura

A seguito dell'esposto presentato ieri, in via Ollietti, dall'amministrazione regionale. Si tratta, al momento, di un “modello 45”, cioè “atti non costituenti notizia di reato”. Gli inquirenti, nei prossimi giorni, avvieranno gli accertamenti.
Cronaca

Sulla mancata riapertura, dopo un periodo di quarantena, di una parte della scuola primaria San Francesco di Aosta, a seguito del fatto che oltre il 75% degli insegnanti coinvolti non si è sottoposto al programmato test per il Covid-19, la Procura della Repubblica ha aperto un fascicolo. Si tratta, al momento, di un “modello 45” (vale a dire “atti non costituenti notizia di reato”) e gli inquirenti, nei prossimi giorni, avvieranno gli accertamenti mirati a valutare ed appurare eventuali profili di rilievo penale. Affidato al pm Luca Ceccanti, il fascicolo segue l’esposto presentato dall’amministrazione regionale poco dopo i fatti, risalenti alla mattinata di ieri, venerdì 20 novembre.

Nell’annunciare l’iniziativa, l’assessore all’istruzione Luciano Caveri aveva spiegato che l’obiettivo era “accertare eventuali responsabilità per quanto avvenuto”, sicché “la scuola è e resta – in particolar modo nel pieno di una pandemia che obbliga tutti al senso di responsabilità – un servizio pubblico essenziale”. Nella ricostruzione della Regione – sintetizzata dall’avvocatura di piazza Deffeyes nell’esposto-denuncia – solo 6 docenti su 27 si sono presentati per il test antigenico rapido (previsto al “drive-in” di Aosta, nella giornata di giovedì 19) e, di conseguenza, l’indomani soltanto cinque classi (due prime, due quarte e una seconda) hanno potuto accogliere i rispettivi alunni.

La scuola era stata posta in quarantena il 10 novembre scorso, a seguito di una comunicazione del Dipartimento Usl della Valle d’Aosta: si era verificato un caso di Covid-19 e alunni e docenti (in totale, circa 200 persone) rappresentavano quindi dei “contatti stretti”del contagiato. Una circolare del Ministero della salute prevede, per chi, in casi del genere, rimane asintomatico, che vada osservato un isolamento di quattordici giorni dall’ultima esposizione al caso, oppure di dieci giorni dall’ultimo contatto, con un test negativo effettuato nell’ultima giornata del periodo. Per i 21 insegnanti che non hanno proceduto al tampone non erano quindi soddisfatte le condizioni per tornare, venerdì 20, alla didattica in presenza e non si sono presentati a scuola.

Del fatto che non sarebbero rientrati hanno dato comunicazione – prosegue la ricostruzione della Regione – con mail alla segreteria della scuola, inviata nel pomeriggio di giovedì 19, quello in cui avrebbero dovuto sostenere l’esame. Quei messaggi, stando a quanto riferito a piazza Deffeyes dalla dirigente scolastica, sono giunti quando l’ufficio non era più presidiato e, di conseguenza, non c’è stato modo di organizzare, in tempo utile, le supplenze per la docenza in classe, visto il numero elevato di insegnanti da sostituire. Risultato: seppur presentatisi regolarmente a scuola, parte degli alunni non ha potuto avere accesso alle classi ed è dovuta tornare a casa.

Della vicenda, invocando gli accertamenti inquirenti, l’amministrazione sottolinea in particolare due aspetti, ritenendoli centrali rispetto al turbamento subito dal servizio scolastico nella circostanza. Da un canto, il fatto che la circolare del Ministero lasci intendere la possibilità di optare tra le due procedure di isolamento, ma non la menzioni esplicitamente (fatto che farebbe ricondurre la quarantena “prolungata” non ad un’alternativa, ma a “piano B” da adottare nel caso in cui le autorità sanitarie non fossero in grado di garantire un tampone nella decima giornata, o seguenti), e, dall’altro, qualora in una possibilità di scelta per il dipendente, il dovere di comunicarla al datore di lavoro in modo tempestivo, visti gli obblighi di correttezza e buona fede cui sono tenuti i lavoratori pubblici.

Se le condotte di alcuni attori della vicenda integrino, o meno, fattispecie di reato lo stabiliranno gli accertamenti della Procura. Chi non ha dubbi sul fatto che gli insegnanti possano scegliere se sottoporsi al tampone, o prolungare la quarantena, sono i sindacati della scuola, che in una nota diffusa ieri hanno parlato, riguardo all’accaduto, di “fattispecie prevista dalla legge”, tanto che gli insegnanti coinvolti “hanno espletato il proprio servizio tramite didattica a distanza, garantendo il pubblico servizio”. Al di là di ciò che verrà accertato nelle sedi competenti, se la scuola vive anche del dialogo tra famiglie e insegnanti, l’episodio di ieri chiederà loro più d’uno sforzo per recuperare una sintonia, anche (e soprattutto) per spiegare cos’è accaduto ai bambini costretti a tornare a casa, che – anche in tempo di Covid – sono e restano i veri utenti della scuola.

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