Due indagati per il quadro di Ligabue sequestrato in una mostra in Valle

L’opera, secondo le indagini, è quella di cui un’anziana aveva denunciato il furto nel 1991. L’ipotesi di ricettazione è formulata al curatore della retrospettiva allestita al Forte di Bard, Alessandro Parmiggiani, e alla gallerista parmense Patrizia Lodi.
Quadro Ligabue
Cronaca

Si avvicina alla conclusione con due indagati l’inchiesta della Procura di Aosta nata dal sequestro, lo scorso gennaio, del quadro “Autoritratto con spaventapasseri” esposto all’epoca nella mostra “Antonio Ligabue e il suo mondo” allestita al Forte di Bard. Si tratta del curatore della retrospettiva, Alessandro Parmiggiani (74 anni, Reggio Emilia) e della gallerista Patrizia Lodi (67, Parma). Il reato ipotizzato nei loro confronti dagli inquirenti è la ricettazione in concorso.

31 anni fa, il furto

L’inchiesta, coordinata dal pm Giovanni Roteglia, ha appurato che la tela – un olio su fasite di 62 per 50 centimetri, realizzato tra il 1957 e il 1958 – è effettivamente quella di cui un’anziana aveva denunciato il furto, avvenuto nel 1991 nella residenza privata della donna (che allora viveva nel parmense e oggi risiede a Milano). Un’opera che la persona che l’aveva in casa non ha mai smesso di cercare, fino a sostenere di averla riconosciuta nelle sale della fortezza della bassa Valle.

E’ stata proprio questa segnalazione a portare i Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Monza a Bard, per il sequestro. La tesi degli inquirenti è che né il curatore dell’esposizione, né la gallerista (da lui interpellata per contattare possessori di opere del celebre pittore e scultore italiano, al fine di ottenerle in prestito ed organizzare la retrospettiva al Forte) abbiano accertato e certificato la provenienza lecita dell’opera, non ottemperando così al Codice dei beni culturali.

Il dettaglio rivelatore

Nella denuncia di trentun anni fa, al momento della sottrazione, relativamente ai contenuti dell’opera era stato indicato un dettaglio che il quadro sequestrato non presenta. Una libellula, sull’angolo in alto a destra. Una perizia svolta dalla Pinacoteca di Brera spiega il perché: quella porzione di tela è stata asportata con un bisturi e coperta con tinte che raffigurano il cielo. Quando l’operazione sia avvenuta, facilmente con l’intento di rendere il quadro meno riconoscibile, non è possibile stabilirlo.

Proprio quel dettaglio rafforza gli inquirenti nella convinzione che soltanto la genuinità del dipinto (dal valore stimato oggi tra i 250mila e i 300mila euro) sia stato verificato dai due indagati, ma non la sua provenienza. Il fatto che la “mutilazione” sarebbe emersa attraverso un “esame di luce radente” (mirato a verificare lo spessore complessivo della tela) induce Arma e Procura a pensare che non sia stato svolto, perché il suo risultato avrebbe dovuto indurre dubbi sulla storia della tela.

L’esame “speditivo”

Una tesi che viene affiancata alle testimonianze raccolte durante le investigazioni per cui, rispetto ad oltre 100 opere destinate alla mostra di Bard (di cui almeno 66 pittoriche), le restauratrici cui è stato affidato il “condition report” (l’analisi di genuinità e provenienza dei “pezzi” da esporre, tenuto sotto la sovrintendenza del curatore) non avrebbero avuto più di un giorno e mezzo di tempo, procedendo in sostanza a poco più di un esame speditivo di natura visiva.

L’autoritratto, una storia da film

L’inchiesta della Procura di Aosta ha consentito di ricostruire anche buona parte della storia dell’opera, degna di un film di Pupi Avati, a partire dal modo in cui arrivò, poco dopo ultimata, alla famiglia emiliana cui è stata sottratta. Parliamo, infatti, di un gesto di vicinanza nei confronti di un necroforo di paese, che essendo amico di Ligabue si mostrò riconoscente chiedendogli la realizzazione del quadro e cedendolo per 4mila lire dell’epoca a chi era stato solidale verso di lui.

Nel 2006, una prima traccia

Il tempo passa e, a trent’anni da quell’acquisto, la casa viene razziata (oltre all’autoritratto, spariscono anche altre opere d’arte) dai ladri. Ha così inizio la ricerca incessante della donna che oggi lo ha riconosciuto. Per anni segue tutto ciò che riguarda le retrospettive su Ligabue, nella speranza di individuare l’opera. Nel 2006, esaminando il “Catalogo ragionato” curato da Sergio Negri (rinomato archivista di Ligabue), riconosce un dipinto estremamente somigliante, ma la sua segnalazione non porta a ritrovarlo materialmente: il proprietario indicato, in quel momento, non aveva più la disponibilità dell’opera.

(Almeno) due passaggi di mano

Le investigazioni mettono in luce che il quadro viene sottoposto nel 1993 all’archivista Negri da una persona che sostiene di averlo comprato tra il 1970 e il 1980 (circostanza dubitata dagli inquirenti, visto che all’epoca avrebbe dovuto trovarsi nella casa d’Emilia dov’è poi stato trafugato) da un non meglio definito idraulico di Muggiò, nel milanese. Contratti, dettagli, altre informazioni? Nessun ricordo, nessun documento. Il solo dato a cui si arriva è che quella persona lo rivende, in un momento successivo al 1995, ad un milanese.

Cambierà ancora proprietario nel 2015, quando arriverà ad un imprenditore che sceglie probabilmente le opere d’arte quale investimento (risulta possedere altri 6/7 dipinti firmati Ligabue). Quella transazione avviene attraverso l’intermediazione della galleria di cui è titolare Lodi. Una vendita che convince poco gli inquirenti, perché se è regolare fiscalmente, pare essere il primo momento in cui si “sorvola“ sulla provenienza dell’opera (in una mail, sequestrata durante una perquisizione, la gallerista affermerebbe di non riuscire a risalire ai proprietari precedenti di quello che l’ha sollecitata per l’intermediazione).

Il Forte, parte offesa nella vicenda

Il resto è storia recente, con l’“Autoritratto con spaventapasseri” che viene inviato in quattro mostre, tra il 2015 e il 2022, tutte curate da Parmiggiani. La quinta è quella di Bard (in cui si annovera tra i “capolavori” proposti), dove la donna che lo cerca da trent’anni lo riconosce. Il Forte di Bard risulta avere acquistato la retrospettiva con un pacchetto “chiavi in mano” da una società del settore. Un meccanismo che ha portato gli inquirenti ad escludere responsabilità dell’associazione che gestisce la fortezza, che emerge anzi dalle indagini come parte offesa e potrà quindi, se lo riterrà, costituirsi parte civile nel procedimento per avanzare una richiesta economica di compensazione dei danni subiti.

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