Gratteri e Nicaso raccontano la Valle d’Aosta che non ha “riconosciuto” la ‘ndrangheta
Uscito la settimana scorsa, “Complici e colpevoli”, l’ultimo libro del procuratore Nicola Gratteri e dello storico Antonio Nicaso per i tipi di Mondadori, nell’analizzare l’infiltrazione delle mafie nel settentrione d’Italia si pone un obiettivo, nient’affatto celato dagli autori sin dalle prime interviste. Scardinare la narrazione – come ha spiegato Nicaso – basata sulla “metafora del contagio nato con il soggiorno obbligato degli appartenenti alle cosche”, perché “la presenza della ‘ndrangheta al nord si manifesta già negli anni ’50-’60-‘70”, tanto che “si sospetta la presenza di un ‘locale’” in “Liguria già negli anni ‘40”.
Quelle accuse in Consiglio Valle
Per questo, il primo capitolo del volume, dedicato alla Valle d’Aosta – quello da cui parte il “viaggio nel ‘profondo nord’, tra altezze vertiginose, legami inconfessabili e sbornie culturaliste” – parte da prima di quanto si sia letto in qualsiasi sintesi storico-ricostruttiva degli atti giudiziari di recenti procedimenti sulla criminalità organizzata nella regione. E’ il 9 dicembre 1966 quando, in un Consiglio regionale dilaniato dagli strascichi della crisi della “Giunta del leone”, l’unionista Pietro Francesco Fosson accusa il collega democristiano Amato Berthet.
L’esponente dello scudocrociato è stato autore di un vero e proprio exploit elettorale, venendo eletto con 8.425 voti, e l’esponente del leone rampante (che a fine anni ’70 diverrà Senatore) accusa il collega – scrivono Gratteri e Nicaso – di “aver preso parte ad una serie di riunioni con calabresi, alle quali avevano partecipato anche ‘capi mafiosi’, per ringraziarli del sostegno elettorale garantito alla Democrazia Cristiana”. Il destinatario delle accuse risponde di aver aiutato “chiunque ne avesse bisogno, sia calabresi, sia comunisti senza alcuna distinzione di partito politico”.
Una “insinuazione pesante”, che “nessuno aveva mai fatto in quelle terre indomabili da cartolina”, che per gli autori – se non segna la conclamata infiltrazione in Valle – stupisce (il parere citato nel libro è del docente universitario Roberto Leggero) per il fatto che “già nel 1966 fosse possibile esprimersi in modo così esplicito nei confronti dei rapporti tra mafia e politica nella Vallée, seppure in un ambiente speciale come quello del Consiglio regionale”. Così “retrodatata” la “genesi” del fenomeno mafioso in Valle, il volume prosegue sull’asse cronologico noto a chi si è interessato alla questione, tuttavia con l’accento sui paradossi accesi da ciò che non si è notato (o non si è voluto notare) localmente.
L’attentato a Selis e le inchieste sul Casinò
Emergono così, ad inizio anni ’80, l’attentato al pretore Bruno Selis e le pagine giudiziarie legate al Casinò de la Vallée, con la testimonianza di un giudice istruttore che ricorda come “riuscimmo a trovare tracce del rapporto” tra una figura di vertice della Sitav (l’allora società di gestione della Casa da gioco) e Jean-Dominique Fratoni, un boss della malavita corsa”. Vicende che si allungano come ombre anche sulla morte del procuratore di Torino, Bruno Caccia, ucciso nel 1983. “Coincidenze?” si chiedono Gratteri e Nicaso, per rispondere emblematicamente “Forse”.
L’alba dell’infiltrazione della politica
“Complici e colpevoli” punta anche il dito sul passar inosservati, ai fini dell’allarme rispetto al fenomeno infiltrativo, di episodi politici come la nascita del Movimento Immigrati Valdostani nel 1990 (con il successivo arresto, cinque anni dopo, di uno dei suoi fondatori Salvatore Martino, accusato di far parte della cosca Iamonte). Tra i “padri” del Miv figurava anche Santo Pansera, che il collaboratore di giustizia Francesco Fonti aveva indicato quale dirigente di un “locale” ad Aosta, di cui “aveva appreso subito dopo il suo arrivo a Torino nel 1971”.
Il Presidente-Prefetto? Un’“anomalia”
Eppure, continuano gli autori, “in Valle d’Aosta nessuno se ne accorge” e chi si mette al lavoro sui legami tra la criminalità locale e la ‘ndrangheta, come il magistrato della pretura cittadina Mario Vaudano, viene consigliato dai colleghi di non insistere, per non creare “un clima di sospetto, di militarizzazione e di confusione in una realtà pacifica”. Si arriva così al periodo più recente (in cui il filo del racconto viene affidato, in parte, anche al giornalista Roberto Mancini), con l’ex presidente della commissione antimafia Rosy Bindi si riferisce alla previsione statutaria del Presidente-Prefetto come ad un “conflitto d’interessi”, un’“anomalia” sulla quale il Parlamento, il governo e la Regione dovrebbero riflettere”.
Le pagine recenti
Di sottovalutazione in sottovalutazione (il Consiglio Valle, nel 2012, crea una Commissione per esaminare il rischio d’infiltrazioni, ma “a nulla valgono le audizioni del questore di Aosta Maurizio Celia e del comandante dei Carabinieri Guido Di Vita”, che segnalano “l’esistenza di ‘un locale di ‘ndrangheta [creato] per dare assistenza ai latitanti) si arriva alle inchieste più recenti sul fenomeno (e dintorni): “Gerbera” sul narcotraffico dalla Colombia, “Tempus Venit” (sull’estorsione tentata dal clan Facchineri rispetto alla realizzazione del parcheggio sotterraneo dell’ospedale) e “Geenna”, sull’esistenza di un “locale” ad Aosta.
Pagine che colmano un vuoto
Episodi giudiziari che hanno indubbiamente incrementato la consapevolezza sul fenomeno, per quanto – avvertono Gratteri e Nicaso, citando un passo della sentenza Geenna – “sapere che numerosi esponenti di primissimo piano della politica valdostana” si siano “rivolti pressoché a chiunque pur di ottenere voti, financo a noti pregiudicati per vari reati, non fa dormire sonni tranquilli”. Anche perché a quelle parole, osservano i due autori, fa eco “la voce sdegnata di tanti politici che per decenni hanno negato la presenza della ‘ndrangheta in Valle d’Aosta”. Da questo punto di vista, le 24 pagine del primo capitolo di “Complici e colpevoli” colmano un vuoto, in particolare culturale, che era indifferibile riempire.