Il crimine ambientale? “Si muove come un tarlo nel sistema”

Il tema delle ecomafie in evidenza ieri, a Palazzo regionale, per l’ultimo seminario promosso da Presidenza della Regione, Consiglio Valle e Avviso pubblico sulla prevenzione delle infiltrazioni mafiose.
L'incontro sulle ecomafie a Palazzo regionale
Cronaca

Il crimine ambientale si muove nelle falle dei modelli di regolazione”. Ha ruotato, per buona parte, attorno a questo concetto il seminario che ieri, venerdì 19 novembre, ha chiuso gli appuntamenti promossi da Presidenza della Regione, Consiglio Valle e associazione “Avviso Pubblico” per sensibilizzare sui rischi di infiltrazioni mafiose. Il dato è stato sottolineato, con nitidezza, da entrambi i relatori dell’incontro, centrato sulle Ecomafie e sui reati contro l’ambiente.

Non solo mafie

L’analista ambientale e giornalista Antonio Pergolizzi è andato oltre nell’identikit del problema. “Parliamo – ha detto – di un crimine essenzialmente d’impresa”, rappresentato dalla “accumulazione di capitale attraverso il sovrasfruttamento delle risorse ambientali”. E non bisogna pensare che le mafie siano il solo attore, perché il “sistema” illecito coinvolge anche professionisti e funzionari pubblici. Sono comunque stati censiti 371 clan coinvolti nei diversi settori ambientali.

Il vuoto ha giovato al malaffare

Se il problema “riguarda tutti”, perché “il crimine ambientale ha aiutato la rimozione dei danni all’ecosistema” (tanto che oggi i narcos “hanno iniziato a smerciare gas refrigeranti anziché droga”), il pianeta più interessato è quello dei rifiuti, che se per il 15-20% sono urbani, per l’80% hanno classificazione speciale e “non hanno obbligo di territorialità”. Il settore – ha aggiunto Pergolizzi – “è stato lasciato per troppo tempo all’improvvisazione e alla scelta di minimizzare i costi”. La prima normativa risale al 1997 e così, “il malaffare si è mosso nel vuoto politico, industriale che si è creato”.

Antonio Pergolizzi
Antonio Pergolizzi

I trafficanti? Dei mediatori

I trafficanti illeciti di rifiuti, in quest’ottica, agiscono quali “mediatori tra domanda e offerta nell’ambito dei mercati di riferimento”. “Non sono sprovveduti. – ha sottolineato Pergolizzi, che collabora con Legambiente per la realizzazione del rapporto annuale sulle Ecomafie – Hanno autorizzazioni e spesso gestiscono impianti. Si muovono sul mercato legale e illegale”. C’è un dato, secondo il giornalista, che chiarisce in particolare il concetto.

Ogni anno, si stima che 2,1 tonnellate di rifiuti circolino nel paese in cerca di allocazione appropriata (a causa anche dell’inadeguatezza dell’impianto per trattarli). Ebbene, tra il gennaio 2020 e il settembre 2021, le forze dell’ordine hanno sequestrato proprio 2,1 tonnellate di rifiuti in operazioni contro i crimini ambientali. “E’ incredibile la corrispondenza” ha sottolineato l’analista e occorre pensare che lo “smaltimento è solo l’ultimo e residuale atto criminale”.

Urge un sistema di tracciamento

Il traffico illecito di rifiuti, in cui “è stata la camorra casertana a fare il salto di qualità, attraverso reti di professionisti”, serve “per il riciclaggio, per l’evasione fiscale e, nelle fasi intermedie, anche per creare consenso sociale”. Il vero problema? “Non esiste un sistema di tracciabilità dei rifiuti” e “la dotazione impiantistica è il cuore del problema”, perché “molto spesso l’importanza di chiudere i cicli in una prospettiva industriale è il miglior antidoto”.

Vigilare su risorse del PNRR

Sul fatto che “la carenza di impianti è uno degli elementi che fa sì che il nostro Paese non riesca ad uscire dal problema atavico del traffico illecito di rifiuti e dal business che c’è dietro” si è detto d’accordo anche l’altro relatore, Alessandro Bratti, direttore generale dell’Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale. Il problema, tuttavia, ha carattere di estrema attualità, se non di urgenza, perché dal PNRR arriveranno 191 miliardi di euro, di cui il 44% destinato a interventi con finalità ambientali.

Alessandro Bratti
Alessandro Bratti

Ripercorrendo alcuni casi “celebri” di interferenze criminali (quella attuata dalla ‘ndrangheta in Lombardia, quella per cui “in Campania ci sono state addirittura infiltrazioni nel commissariamento”, quelle che in Veneto e in Sicilia hanno visto “dirigenti corrotti, con protezioni dalla politica”), Bratti ha quindi ricordato alcune attività dell’Ispra, che investono anche entità come le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente. Tra queste, la formazione rivolta alle forze dell’ordine, i sopralluoghi con droni e la collaborazione con nuclei sub contro le archeomafie.

Impianti? Serve una visione…

“Stimolato” dai rappresentanti di alcune associazioni ambientaliste attive in Valle (in particolar modo contro le discariche di Aymavilles ed Issogne), il direttore di Ispra non ha poi nascosto che “non sono un amante del ‘sì’ o ‘no’ ad un singolo impianto. Serve una visione, poi ci metto dentro gli impianti che mi servono. Non si può pensare, comunque che non ci siano gli impianti di smaltimento. Non recuperiamo ancora il 100%”. E non possedere siti del genere è pericoloso: “Roma non ha lo smaltimento. Ha fatto un accordo, i rifiuti vanno in Puglia per il trattamento”. Così, però, “si aumenta il rischio di infiltrazione”.

Bertin: è stato piantato un seme

Essendo l’ultimo incontro della serie, in apertura il presidente del Consiglio Alberto Bertin ha “tirato le somme” sull’iniziativa, che ha toccato anche i temi delle mafie al nord e del riciclaggio e usura.”Un percorso informativo che non ha richiamato grandi folle e che forse non ha suscitato l’interesse che dovrebbe, ma io ritengo che sia solo l’inizio:- ha affermato – aver parlato di questi temi in una cornice istituzionale è come aver piantato un seme dal quale non potrà che germogliare e crescere un grande albero”.

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