Per Maria Rita Bagalà, l’avvocata 52enne residente ad Aosta, arrestata lo scorso 3 maggio nell’ambito dell’operazione antindrangheta “Alibante”, è scattata la custodia preventiva in carcere. La Corte di Cassazione ha infatti respinto negli scorsi giorni il ricorso depositato dalla difesa della professionista, rendendo efficace il verdetto con cui, a fine novembre 2021, il Tribunale del Riesame di Catanzaro aveva accolto l’istanza della Dda di Catanzaro di un aggravamento della misura cautelare cui è sottoposta la donna.
La Procura antimafia diretta da Nicola Gratteri aveva impugnato la decisione del Gip Matteo Ferrante che, al momento di emettere l’ordinanza scatenante del “blitz” di maggio, aveva disposto per l’avvocata stabilitasi in Valle i domiciliari, anziché accordare la carcerazione preventiva chiesta dagli inquirenti, sulla base delle risultanze investigative. Stabilendo le misure cautelari, il magistrato aveva anche riqualificato l’accusa nei confronti della professionista, da associazione di tipo mafioso a concorso esterno in associazione mafiosa.
I giudici del Riesame, tre mesi fa, avevano invece accolto la tesi della Dda, per cui l’intraneità dell’indagata alla “Cosca Bagalà” sarebbe dimostrata dal fatto che la stessa “compaia in prima persona – e non come mera delegata del padre Carmelo (finito in manette nello stesso blitz, quale presunto boss della cellula di ‘ndrangheta stabilita sul litorale di Lamezia Terme, ndr.) – in tutti i settori chiave del programma criminale della cosca”.
Per la Procura, “è lei che, forte delle sue competenze professionali in ambito economico e giuridico, fissa gli stessi obiettivi dell’organizzazione e pianifica le modalità di realizzazione degli stessi, figurando quale vera e propria mente operativa del sodalizio”. La decisione del Riesame era stata impugnata in Cassazione dal difensore dell’avvocata, il legale Mauro Murone. L’ordinanza che stabiliva l’aggravamento della misura cautelare era stata quindi sospesa, ma il recente pronunciamento della Cassazione la ha resa efficace e la donna è stata pertanto tradotta dai Carabinieri nella sezione femminile di un carcere piemontese.
L’ordinanza di custodia cautelare prevedeva misure a carico di 18 persone. Ad indagare (l’inchiesta non è ancora chiusa) sono i militari del Nucleo investigativo del Gruppo di Lamezia Terme e del Comando provinciale di Catanzaro. Le indagini erano partite da alcuni esposti, presentati da imprenditori lametini, relativi ad estorsioni ricondotte ad appartenenti alla cosca.
Secondo l’avvocato Murone, il provvedimento offriva “tanti motivi di riflessione” rispetto alla reale necessità della misura cautelare disposta. I giudici di Riesame e Cassazione, però, oltre a negare la revoca dei “domiciliari” (nelle udienze di fine settembre e ottobre scorsi), hanno ritenuto motivato l’aggravamento del regime di limitazione della libertà dell’avvocata.