Processo Geenna, parla “Tonino” Raso: “La ‘ndrangheta è la cosa più schifosa”

L'udienza è ripresa oggi, giovedì 23 luglio, al Tribunale di Aosta, con l’esame dei cinque imputati. Per primo è stato sentito il titolare della pizzeria “La Rotonda”, accusato di aver fatto parte della “locale” di Aosta.
Antonio Raso durante l'esame in aula.
Cronaca

“Io non sono affiliato alla ‘ndrangheta, lo sono stato alla massoneria”. Il ristoratore Antonio Raso, a giudizio nel processo “Geenna” per associazione a delinquere di stampo mafioso, parla da più di un’ora quando il presidente Eugenio Gramola (prendendo al balzo uno spunto del pm Valerio Longi) gli pone la domanda centrale rispetto alla sua imputazione, quale presunto partecipe della “locale” ‘ndranghetista di Aosta. “Col senno di oggi e di quello che ho visto – ha aggiunto “Tonino” Raso – posso dire che è la cosa più schifosa, col senno di due anni fa non lo sapevo”. Dopo la sentenza del Gup di Torino della scorsa settimana, il procedimento è ripreso oggi, giovedì 23 luglio, nel capoluogo regionale, entrando nel vivo con l’esame in aula dei cinque imputati.

Politicamente “mi prestavo a tutti”

Raso è stato il primo e, nella sua lunga deposizione – in cui ha spaziato dai rapporti con gli altri supposti “boss” ad alcuni episodi chiave dell’inchiesta condotta da Carabinieri e Dda di Torino – è tornato sul fatto che molti politici frequentassero la pizzeria “La Rotonda”. “Da me a mangiare – sono state le sue parole – venivano tutti, tutti, tutti, dal M5S a Forza Italia, ringraziando Dio il lavoro c’era”. Alla richiesta del pm, ha precisato “qualcuno chiedeva una mano” e “io mi prestavo a tutti ma mi sono sempre prestato a tutti, anche perché io ho un ristorante”.

Raso ha sintetizzato la sua “filosofia” in fatto di politica in “loro promettono mari e monti, perché io non devo promettere?”. Oltre che per il consigliere regionale oggi sospeso Marco Sorbara (anch’egli a processo per concorso esterno nella “locale” aostana), “questo discorso” – ha continuato Raso – è stato fatto anche per “Zucchi, Ego Perron, l’avvocato Paolo Sammaritani”, ma “io non sono di alcun partito”. Quanto alla campagna elettorale di Sorbara, “io non facevo casa per casa”, ma “se qualcuno veniva da me…”.

“La Rotonda”, il centro del mondo

La pizzeria, in cui l’imputato ha iniziato a lavorare come cameriere nel 1987 appena arrivato in Valle, e di cui poi è diventato titolare all’inizio degli anni duemila, è stato il teatro di quasi tutta la narrazione di “Tonino”. Tra quei tavoli ha conosciuto Marco Fabrizio Di Donato (condannato a 9 anni di carcere a Torino), che “era un cliente” e “ha dato il bianco”, quando “è arrivata anche mia moglie e ci hanno dato la casa a Gressan”. L’imputato ha ammesso di aver saputo dell’arresto di Di Donato per droga, ma di non averne mai parlato con lui perché “non mi interessava”. A me – ha tagliato corto il ristoratore – “interessava che veniva a dare il bianco”.

Raso ha confermato di aver conosciuto anche il fratello Roberto Alex Di Donato, altro condannato (a 5 anni e 4 mesi) nel processo torinese come partecipe della “locale” cittadina, ma “con lui c’era un rapporto molto più blando”. Anche in questo caso, l’imputato ha riferito di aver saputo dei problemi con la giustizia cui l’uomo è andato incontro, legati al traffico di stupefacenti (l’operazione “Gerbera”, su un traffico internazionale dalla Colombia, alla metà degli anni duemila), ma nemmeno a lui ne “ho mai chiesto”, perché non interessato.

Un’affermazione che ha spinto il pm Longi a chiedere all’imputato non avesse mai temuto che frequentare una famiglia i cui componenti erano stati arrestati più volte per fatti gravi potesse intaccare anche la sua immagine. “Lei era un ristoratore di successo”, ha sottolineato il rappresentante dell’accusa, e la reazione è stata: “E spero di continuare ad esserlo”. Raso ha quindi ammesso la conoscenza con Bruno Nirta, cui è stata inflitta la condanna più pesante (12 anni e 8 mesi) nel filone processuale piemontese.

“’Peppe’ Nirta voleva vendermi dell’olio”

Il legame era però nato prima con il fratello Giuseppe Nirta, ucciso in Spagna nel giugno 2017, in un omicidio ad oggi irrisolto. Nirta, ha ricostruito Raso in aula, voleva vendere dell’olio all’imprenditore Gerardo Cuomo, titolare del “Caseificio Valostano”, e“veniva spesso a mangiare al ristorante”. Un giorno “mi disse che voleva vendermi dell’olio”, ma Raso replicò che non gli interessava, sentendosi rispondere “tu conosci Cuomo, lui può averne bisogno”.

Il ristoratore contatta quindi l’imprenditore alimentare e “si sono incontrati da me”. Cuomo è stato condannato nel 2019 a 3 anni e 8 mesi di reclusione nel processo “Corruzione VdA”, che coinvolgeva anche l’ex presidente Augusto Rollandin e il manager Gabriele Accornero, oltre ad essere stato assolto, in primo grado, a Milano, nel processo per induzione indebita a dare o promettere utilità, in cui era imputato con l’ex pm di Aosta Pasquale Longarini.

Un “bigliettino” da consegnare

Raso ha quindi evocato un altro episodio legato a Nirta. “Una sera era venuto da me – ha raccontato – dicendo di dare un bigliettino a un uomo in un bar” nella zona della chiesa di Saint-Martin, ma “per tre volte non l’ho trovato e, alla fine, l’ho lasciato alla sorella”. Il contenuto? “Non l’ho aperto, – ha ammesso l’imputato – perché magari era una cosa che non dovevo vedere”. Probabilmente, è il parere fornito da “Tonino” in aula, conteneva semplicemente un numero di telefono, perché “era troppo piccolo”.

Con Prettico “non siamo più amici”

Quanto a Nicola Prettico, imputato ad Aosta per la partecipazione alla “locale”, il giudizio del ristoratore è stato: “eravamo amici, adesso non più”. “L’ho conosciuto – ha spiegato Raso – perché lui, facendo parte della massoneria, poteva presentarmi a qualcuno e farmi entrare”. A presentarli fu Marco Fabrizio Di Donato, a conoscenza del fatto che l’amico fosse massone. La società segreta “mi affascinava”, ma poi “ho capito che era una cazzata”. L’esperienza non decollò perché “mi aspettavo gente brava, sana”, invece “spillavano soldi, magari 3-400 euro per l’adesione” e, inoltre, per andare a Mentone, sede della loggia, “di sabato ho dovuto chiudere e fu una mazzata”.

La tentata estorsione e il poker

Nell’esame, conclusosi attorno alle 14.30, Raso ha anche ripercorso le difficoltà incontrate nell’iniziativa imprenditoriale con Prettico ed altri, cui ha riferito di aver aderito “occultamente”, di gestione di una discoteca a Quart, nonché nel tentativo di estorsione per cui nel processo torinese è stato condannato Salvatore Filice (2 anni e 4 mesi), che aveva chiesto ai familiari di un nipote del ristoratore 10mila euro per i danni che sosteneva essere stati riportati dal figlio in una “scazzottata” con il ragazzo.

Il diverbio, nella versione fornita in aula dal ristoratore, si sarebbe composto, dopo vari incontri “chiarificatori” nei quali però Filice non aveva mai desistito dall’avanzare richieste economiche, con la promessa di Marco Fabrizio Di Donato di “organizzargli un torneo di poker”. La controparte è stata però arrestata per un’altra vicenda, nel 2017, e “non c’è stato il tempo tecnico per organizzarlo”. Della vicenda si era parlato in varie udienze, ma senza mai giungere ad una possibile conclusione (vari testimoni

“Io non voto le quote rosa”

Infine, rispondendo ad una domanda dell’avvocato Ascanio Donadio (che lo difende con il collega Pasquale Siciliano), il ristoratore ha ripreso una “pagina” della campagna elettorale per le comunali del 2015. Il 19 aprile, l’allora candidato sindaco di Aosta Fulvio Centoz, accompagnato da Salvatore Addario, presidente di Cna Valle d’Aosta (e cugino di Raso), era stato a “La Rotonda” per incontrare l’oggi imputato e “chiedergli di votare tre persone”.

Tra i nomi indicati, ha dichiarato il ristoratore, c’era Antonella Barillà e “io risposi che non voto le quote rosa”. Un episodio collocato dall’imputato successivamente alla promessa di voti in cambio di posti di lavoro, che la Dda di Torino lo accusa di aver avanzato all’allora candidato sindaco nel periodo tra gennaio e febbraio 2015. Secondo gli inquirenti, Centoz “non accoglieva” quella “proposta”, salvo – secondo l’imputato – essere tornato da lui qualche mese dopo per indicare candidati della lista del Pd da sostenere. L’udienza prosegue ora con l’esame di Monica Carcea, ex assessore a Saint-Pierre, accusata di concorso esterno nella “locale”.

Il pm Valerio Longi
Il pm Valerio Longi.

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