Tentato omicidio del macellaio Ferré: Lale Demoz condannato a 8 anni

Accolta la richiesta di pena avanzata dal pm Menichetti. L'impresario dovrà anche risarcire le parti civili (mogli e figli del commerciante) e pagare una provvisionale di 100mila euro a favore di ciascun danneggiato.
Tribunale - Uscita Camillo Lale Demoz
Cronaca

L’impresario 75enne Camillo Lale Demoz è stato condannato ad 8 anni di reclusione per il tentato omicidio del macellaio di Charvensod Olindo Ferré. Nonostante l’emergenza Coronavirus, alcune udienze non sono state fermate dal decreto Bonafede sull’attività giudiziaria. Così, dinanzi al Gup Davide Paladino del Tribunale di Aosta si è chiusa l’udienza sull’aggressione del 1° ottobre 2018, al termine della quale il commerciante era stato trovato in condizioni disperate nel capannone, in località Séran a Quart, di proprietà dell’imputato.

Il pm Eugenia Menichetti, che ha coordinato le indagini della Squadra Mobile della Questura, aveva chiesto al giudice una condanna ad 8 anni, pena poi accolta nel sentenziare. Lale Demoz dovrà anche risarcire le parti civili (moglie e figli, assistiti dall’avvocato Maria Rita Bagalà) e pagare una provvisionale di 100mila euro a favore di ciascun danneggiato. L’impresario era stato arrestato l’11 gennaio 2019 ed era ai “domiciliari” da allora. Le motivazioni della sentenza sono attese entro 90 giorni. Il processo si è svolto con rito abbreviato, condizionato ad alcune perizie tecniche delle parti.

Il confronto tra accusa e difesa si è infatti focalizzato sull’esame delle tracce, di sangue e di altre materie, ritrovate sul manico di una zappa sequestrata nel capannone e su alcuni indumenti dell’imputato. Per la Procura, l’attrezzo era stato usato per colpire il macellaio al culmine di una lite dalle cause ignote, ma “verosimilmente riconducibili allo stato di ebbrezza”. Il perito del pubblico ministero, il biologo Paolo Garofano, aveva corroborato tale visione, riferendo nella sua audizione di tracce da colluttazione.

Il genetista torinese Marzio Capra, incaricato dagli avvocati Viviane Bellot e Antonio Rossomando, difensori di Lale Demoz, aveva invece ricondotto al contatto, e non alla proiezione durante l’aggressione, le macchie di sangue, sostenendo cioé che l’imputato fosse “arrivato lì quando” la pozza di sangue vicino alla vittima “si era già formata”, cioè “dopo l’aggressione”. In sostanza, per la difesa dell’imputato era che il “DNA colloca sulla scena del crimine un terzo contributore, mai individuato”.

Olindo Ferré, rimasto ricoverato a lungo dopo i fatti in varie strutture sanitarie, quel giorno era andato a Quart per trattare l’acquisto di bestiame con degli allevatori. Il gruppo era stato raggiunto da Lale Demoz, quindi l’impresario e il macellaio si erano spostati nel capannone. Poi, il “buio” nella giornata, fino all’intervento del 118 per soccorrere Ferré gravemente ferito e l’arrivo della Polizia, con la partenza delle indagini. Da ora quei fatti hanno un colpevole, ma la vittima non ha mai ripreso un’esistenza normale.

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