Punta all’oro Vivien Bovard, il metallo più prezioso al mondo. Il primo libro dello studente allo IULM di Milano in Arti, Spettacoli ed eventi culturali, è un volume auto pubblicato, si chiama infatti Aurum ed è una raccolta di poesie che nasce per necessità.
L’auto pubblicazione è sicuramente un sintomo del bisogno che il giovane studente universitario di Morgex sente nei confronti della scrittura: “Ci sarebbero infinite motivazioni per cui ho chiamato la mia raccolta di poesie in questo modo, in primis perché è un elemento che ritorna spesso all’interno dei miei componimenti; in seguito perché riporta la mente dall’alchimia al Kintsugi, fino al fatto che sia un epiteto di Afrodite, una dea a cui posso votarmi senza difficoltà, ma forse sono secondarie questi motivi”.
Non il virtuosismo di uno scrittore e nemmeno un’opera fine a se stessa: nonostante Vivien sia un esteta in tutto e per tutto, il volume sembra prendere la forma di un grido sincero nell’individuare per ogni immagine e fotografia prodotta dall’immaginazione una didascalia di vita, un testo che dia pace ai tormenti di ricerca della bellezza. Aurum parla principalmente
di futuro, “sono poesie dedicate al futuro e all’amore” e il suo creatore gli ha dato vinta sempre spinto dalla sensazione di “tradurre immagini e sogni in parole”.
Scrivere può diventare un’esigenza primordiale e assoluta, anche senza definirsi uno scrittore. Vivien lo sa bene e, nonostante cerchi didascalie per i sogni, ci tiene a spiegare la sua posizione artistica e umana: “Non sono uno scrittore, per me scrivere è un atto poetico, nel vero senso della parola, cioè un atto di creazione, che rende l’invisibile, qualcosa di reale. Non m’illudo di essere uno scrittore, affatto. Sono principalmente un sognatore, che fonda la sua vita sulle proprie immagini interiori”.
Il bisogno di trovare parole che descrivano e creino sollievo nell’eterna ricerca arriva dall’adolescenza: “Da quando ho 14anni scrivo poesie e da quando ne ho 16 lo faccio quotidianamente. È diventata una modalità d’espressione che le mie giornate conoscono molto bene, è il mio castello d’avorio in cui possono entrare tutti e voglio che ci entrino. Voglio offrire loro la festa che mi abita”. Una festa che però non è in cerca di un editore, né pensa che questa sia la sua strada, bizzarra voglia di essere libero per non dover etichettare le proprie creazioni e la voglia di condividerle: “Vorrei sviluppare le mie capacità, se si possono chiamare così, sotto un altro punto di vista. Non sono un appassionato amante della lamentosa letteratura, quella letteratura che Montale chiamava perché secondo lui chiusa in una teca di vetro, ma amo tutto ciò che ci sta dietro e la crea. Amo le parole perché, come diceva Freud, inizialmente erano formule magiche. Credo che si portino dietro ancora un po’ di questa funzione; per questo vorrei rendere le mie parole qualcosa di vivo e vero, un mezzo terapeutico e di rivalutazione della realtà. Quindi niente contatti con case editrici, punto a dare vita a qualcosa di meno istituzionale”.
La festa che abita Vivien Bovard è solo all’inizio, ma, nonostante si tratti di sogni che cercano parole adatte a renderli condivisibili, sono più reali che mai in versione Kindle e da oggi anche cartacea.