L’edilizia si interroga sul futuro cercando di scongiurare l’effetto domino

Il settore edile si muove su un equilibrio delicato. Dalle grandi imprese ai piccoli artigiani, il rischio è che il sistema non regga se non sostenuto con accortezza.
Immagine di archivio.
Economia

Lo stop definitivo ai cantieri edili è arrivato con un’ordinanza del Presidente della Regione del 19 marzo, e da allora, se non già da qualche giorno prima, tutto il settore edilizio si è fermato e si interroga sul futuro. Il periodo è quello che, tradizionalmente, segna la riapertura dei lavori dopo l’arresto forzato invernale a causa del meteo, e questo può portare a dei rallentamenti e ritardi che possono avere ripercussioni a più livelli. Il timore, come spiega Roberto Sapia, è quello di un “effetto domino” che metta a repentaglio l’intero sistema, per gli impresari come per i piccoli artigiani.

Il punto di vista sulle grandi imprese con gli occhi della Sapia Costruzioni

Roberto Sapia, oltre ad essere il titolare della Benedetto Sapia Costruzioni insieme al fratello Sandro, riveste anche il ruolo di vicepresidente sia di Valfidi che di Camera di Commercio e CNA. Il suo punto di vista va quindi oltre la propria ditta, ma sa fornire uno sguardo allargato sulla realtà valdostana. “Negli ultimi due anni la nostra impresa ha dato buoni segni di ripresa e ci ha dato delle soddisfazioni, perché abbiamo notato che la clientela ha iniziato a prestare sempre più attenzione alla qualità ed alla sostenibilità, elementi su cui noi puntiamo molto”, spiega. “L’aspetto più dolente arriva dal settore pubblico, dove i ritardi negli appalti dovuti alle diverse pratiche burocratiche spesso e volentieri rischiano di allungare troppo i tempi dei lavori. Questo momento storico potrebbe essere sfruttato per dare impulso e far partire i bandi per i progetti in cassetto, visto che c’è più tempo per tutti. Abbiamo provato a parlarne in II° commissione, ma per ora non abbiamo avuto grandi risposte”.

Roberto Sapia
Roberto Sapia

Sapia spiega di aver chiuso la propria azienda prima ancora dell’ordinanza, perché il personale non si sentiva sicuro nonostante fossero state prese tutte le misure del caso. “La decisione di fermare i cantieri è stata giusta, anche se non condivisa da tutti. Ora bisogna pensare al futuro, credo che la data più probabile per ripartire sia nella terza settimana di aprile o a inizio maggio. Intanto ci stiamo organizzando dal punto di vista burocratico, finanziario e della progettazione. Quando si riaprirà dovrà essere graduale, ed inevitabilmente i costi aumenteranno perché bisognerà garantire ancora, tra le altre cose, la distanza sociale: non posso mandare cinque persone su un furgone, non posso permettermi che qualcuno si ammali o devo mettere tutti in quarantena. Ora alcuni miei dipendenti sono in cassintegrazione, altri in disoccupazione. Spero di poter reintegrare tutti e che si possa tornare alla normalità. Attualmente continuo a sostenere dei costi fissi come tributi, assicurazioni, bolli, che non sono stati sospesi”.

Quello che preoccupa Roberto Sapia ed in generale il suo settore è l’uso ed il ricorso delle cosiddette “misure tampone”. “Nel bilancio previsionale della Regione erano previsti degli investimenti sulle infrastrutture”, spiega, “ma ora non vorrei che parte di quegli investimenti vengano destinati alle misure tampone. Ben vengano quando danno liquidità alle imprese per consentire loro di ripartire, ma non devono essere dispensate a pioggia per spot elettorale. Le imprese strutturate non dovrebbero avere grande bisogno di liquidità se si fermano per un mese, questa crisi non dev’essere una scusa per sanare delle situazioni pregresse”.

La paura è che le aziende, non lavorando, non paghino fornitori e creditori: “Si creerebbe un effetto domino gravissimo che metterebbe a repentaglio le fondamenta del sistema. Se si interrompe la catena dei pagamenti non ci si risolleva più”.

La paura delle piccole imprese: “Molti saranno costretti a chiudere”, dice Roberto Cordì

Da una grande impresa edile con 15 dipendenti ad una più piccola, le preoccupazioni e le difficoltà non cambiano di molto. Roberto Cordì ha una ditta di intonaci e cappotti, ed anche lui è fermo proprio nel momento in cui si sarebbe dovuti ripartire. La sua situazione riflette quella di molti altri, perché ha assunto alcuni dipendenti in quella no man’s land tra il 23 febbraio ed i decreti: “Una beffa nella beffa, perché non posso metterli in cassintegrazione e devo continuare a pagarli pur non lavorando”, si rammarica. “Le spese sono sempre uguali ma gli incassi non ci sono. La questione del bonus dei 600 euro è una presa in giro: continuo a pagare migliaia di euro di tasse, con quei soldi non ci faccio niente”.

Ha tre dipendenti, “resteranno con me perché siamo una squadra e senza di loro non vado da nessuna parte. Andavamo benissimo, avevo programmato tutto. Ora alcuni lavori credo che salteranno perché non ci stiamo coi tempi”.

Anche lui vede maggio come il momento della ripartenza, al quale dice di poter arrivare “ma con qualche difficoltà. Faccio questo lavoro da trent’anni, quindi ho un po’ di ossigeno, ma credo che molti saranno costretti a chiudere se non sostenuti adeguatamente. Per chi aspetta dei pagamenti è difficile. Un’altra cosa che mi chiedo è se chi ha commissionato i lavori avrà poi i soldi per pagarli. Per ora preferisco non pensarci”.

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