Aosta: l’ultimo “walzer” di Centoz Sindaco, senza (troppi) sassolini nelle scarpe

Con le Comunali all'orizzonte, il Primo cittadino uscente del Capoluogo traccia un bilancio dei suoi 5 anni. Con un rammarico: "In cinque non è pensabile fare ciò che si ha in mente per una città".
Fulvio Centoz
Politica

Cinque anni fa – abbondanti, visto lo slittamento delle Elezioni amministrative causa emergenza Covid –, il Comune di Aosta si preparava a cambiare. E proprio sull’altare del “cambiamento” il Primo cittadino di allora Bruno Giordano venne escluso dalla corsa per un secondo mandato alla guida del Capoluogo.

Al suo posto, la coalizione – nella quale entrò il Pd sostituendo il fu Pdl – scelse Fulvio Centoz. Oggi, il “cambiamento” chiede invece un nuovo tributo e a pagarne lo scotto è lo stesso Centoz. Non solo lui, però, dal momento che ad essere smantellata, e non ricandidata quasi in blocco, è l’intera sua Giunta, fatta eccezione per l’Assessore alle Politiche sociali Luca Girasole.

Dalla competizione verso piazza Chanoux escono infatti anche la Vicesindaca Antonella Marcoz, l’Assessore all’Ambiente – e “veterano” del Consiglio – Delio Donzel (entrambi UV) e quella all’Istruzione Jeannette Migliorin (Stella Alpina), già da tempo intenzionata a non ricandidarsi.

Sempre dalla Giunta, invece, tenteranno la strada verso piazza Deffeyes l’Assessora alle Finanze Cristina Galassi (in lista con “Pour l’Autonomie” e non con l’Union) e Antonino Malacrinò, Assessore ai Lavori pubblici in quota Partito Democratico.

Quale che sia la “geografia” che uscirà dalle urne, la certezza è una: le cose saranno radicalmente diverse dall’oggi. Ne parliamo proprio con il Primo cittadino aostano, all’ultimo giro con la fusciacca indosso.

Sindaco Centoz, a dicembre Lei ha aperto la campagna elettorale ricandidandosi. Operazione allora non apprezzata da alcuni alleati, Union su tutti. Cos’è cambiato nel frattempo?

Nel frattempo c’è stata la pandemia. Rimango convinto che quell’operazione fosse necessaria e che per preparare una campagna elettorale non ci si possa improvvisare all’ultimo ma ci si debba prendere per tempo, e che l’amministrazione uscente non andava liquidata come è stato fatto. Bisognava, compito della politica, coinvolgere chi ha tenuto in piedi questa consiliatura per cinque anni e chi dall’opposizione ci ha pungolati ma con obiettivi abbastanza simili, prendendo parte dell’amministrazione uscente e metterle con persone nuove che volessero dare un impulso più concreto ad una visione, secondo me, comune. La sinistra però, penso io, ha un problema di rapporti con la ‘leadership’, e non solo qui ma in generale. Siamo maestri nell’identificarla come una pseudo-dittatura e siamo molto più bravi ad immaginare ‘assemblearismi vita natural durante’ che in questa politica non vanno più bene. E per crescere bisogna porsi questo problema”.

È stata una mossa velleitaria? In chiaro: con il senno di poi lo rifarebbe?

“Secondo me non è stato velleitario. All’epoca nessuno si stava occupando ufficialmente dei Comuni, ed era il giorno prima del ‘putiferio’ dell’inchiesta ‘Egomnia’. Ero convinto che quello fosse un passaggio corretto: ho parlato con il partito, si erano espressi i circoli del Pd di Aosta e mi ero occupato di ufficializzare l’intenzione di correre per un secondo mandato, senza giochini o trattative segrete. Ho cercato di mettere un punto fermo e di obbligare tutti ad uscire allo scoperto, cosa che in effetti è servita”.

A dicembre diceva che “Non è più tempo per le liturgie della politica”, elemento che forse l’emergenza Covid ha reso ancora più lampante. Nel Suo caso, invece, hanno vinto queste liturgie?

Non so cosa abbia vinto. Mi riconosco sempre meno in questo modo di fare politica, un po’ da ‘Prima Repubblica’, quando cioè partiti e movimenti facevano e disfacevano. Era però una società molto diversa. Oggi i partiti non esistono più, forse in Valle già da diversi anni ed ora ne prendiamo atto. Toccherebbe a loro tracciare i percorsi politici, ma sembra che non ci sia più un apparato in grado di mediare tra il potere e la popolazione. Per quello le regole elettorali oggi sono più importanti rispetto al passato, così come il tema della ‘leadership’ che non significa più ‘l’uomo solo al comando’, come dimostrano anche le difficoltà di oggi dell’Union Valdôtaine”.

Considera la richiesta di “discontinuità” come una bocciatura del Suo operato e di quello della Sua Giunta?

“Sì, nel senso che una richiesta di discontinuità rappresenta una presa di distanza di ciò che, nel bene e nel male, è stato fatto in questi cinque anni. Resto però convinto che le bocciature debbano arrivare dai cittadini e non da partiti che non sanno più gestire queste dinamiche. Chiedere la discontinuità delle figure di vertice del Comune significa considerare questi cinque anni una parentesi in qualche modo da mettere da parte”.

Le sono state fornite spiegazioni?

“No, ma neanche mi interessa averne. Secondo me queste decisioni, che sono sotto gli occhi di tutti, dovranno essere sottoposte poi al vaglio degli elettori e saranno loro a premiarle o meno. Se la coalizione vincerà, la scelta sarà stata compresa e necessaria. Se invece non succederà evidentemente non sarà stata così giusta”.

Insomma, lo considera un “cambiare per cambiare” o si è dato qualche altra spiegazione?

Credo che ci sia stata una necessità da parte dei movimenti di prendere le distanze da questi cinque anni, e in particolare gli ultimi due con l’avvento dell’inchiesta ‘Geenna’ e del processo, per poter dire: ‘chiudiamo con questa esperienza e apriamo un capitolo nuovo’. Ripeto, per me è un errore, perché così sono stati messi tutti sullo stesso piano senza tenere conto di anni oggettivamente difficoltosi. Credo sia oggettivo che questi cinque anni lo siano stati, e molto, tra il calo delle risorse, l’instabilità politica, i processi e infine la pandemia. Bisognava maggiormente enfatizzare ciò che di buono è stato fatto, innestando correttamente nuove energie e costruendo una compagine più compatta e orientata verso quegli obiettivi che non siamo riusciti a portare in fondo. Per questo avevo proposto le ‘Primarie’, che servono per creare una sintesi e costruire una coalizione di programmi e di idee su temi diversi, idea che non è stata accolta. Così, la vittoria di un candidato o di un altro sarebbe servita anche a dare una connotazione migliore su un percorso comune che avrebbe incluso e non, invece, escluso”.

Nell’ultimo Consiglio comunale ricordo una Sua risposta piccata: “La discontinuità e la continuità non stanno solo nelle persone ma anche nei movimenti”. Si sente “sacrificato” in nome degli equilibri tra partiti, travolto dai veti incrociati?

No, questo fa parte della politica. Credo che si debba recuperare la dimensione per cui la politica prende le decisioni. Ciò che manca in questo momento sono i ‘contenitori’ nei quali immaginare questi percorsi. Torno a dire: o ci sono i partiti che sanno gestire i contraccolpi o si devono creare dei percorsi. Come successe cinque anni fa: Giordano subì allora ciò che ho subito io oggi, ma i partiti fecero un percorso funzionale al fatto che l’Union e la Stella Alpina cercassero un appoggio con il Pd in Regione. Tutto è partito dall’instabilità in piazza Deffeyes, e si è costruito un ‘piccolo laboratorio’ per Aosta e per una maggioranza che inizialmente comprendeva anche l’Uvp che si sfilò però all’ultimo. Tutto ciò fu prodromico all’allargamento dei maggioranza in Regione, per sistemare quegli equilibri. Oggi si è invece sganciati dagli equilibri a Palazzo regionale, quindi è più difficile spiegarlo. Sono stati fatti dei passaggi e la politica si è assunta la responsabilità delle scelte, e non mi interessa la polemica. Prendo atto, dopo dieci da Sindaco prima a Rhêmes-Notre-Dame e poi ad Aosta, e sono contento della mia esperienza”.

Il richiamo alla “discontinuità” fa pensare ad una cosa: Aosta, e non solo, difficilmente avrà ancora un Sindaco per due mandati consecutivi. Quanto è importante poter pensare sul decennio per chi amministra una città?

È fondamentale. Fuori dalla Valle mi sono spesso confrontato con altri amministratori e tutti partono dal presupposto che per dare un segno positivo, una svolta, una risposta tangibile all’impostazione di un’amministrazione servano due mandati. In cinque non è pensabile fare ciò che si ha in mente, i tempi burocratici influenzano enormemente e quando si entra in una ‘macchina nuova’ servono almeno un paio d’anni solo per capirne le dinamiche. In nessuna amministrazione si mette in discussione un Sindaco uscente, pensiamo al MoVimento 5 Stelle che sta riproponendo Raggi a Roma. O, come per Pisapia a Milano, decidi di toglierti da solo dalla corsa, oppure è naturale che un Sindaco uscente si prepari per altri cinque anni, per dare una connotazione alla sua idea di città. Che poi è il motivo per cui nei comuni sopra i 15mila abitanti c’è il limite dei due mandati, perché accentri una somma di potere notevole ed è corretto tu non stia lì trent’anni. Cinque anni però sono troppo pochi, e questo è uno dei motivi per i quali mi ero ripresentato pubblicamente. Detto questo, sia chiaro, io tengo che alle prossime comunali vinca la mia parte politica”.

Domanda scontata, ma è doveroso chiederLe un bilancio dei Suoi cinque anni.

“Ne traccio comunque un bilancio positivo. In cinque anni, se si vuole guardare in maniera oggettiva, siamo riusciti a ripianare un buco di bilancio che, nel 2015, quando siamo entrati, era di circa 3 milioni di euro. È inutile parlare oggi di un consuntivo precedente con un largo avanzo, visto che l’abbiamo dovuto usare per ‘tappare’ quel buco. All’epoca c’era il Patto di Stabilità e usando l’avanzo l’abbiamo sforato di nuovo. Siamo partiti con una situazione economica disastrosa, e nel frattempo è arrivato il nuovo ‘bilancio armonizzato’ che cha cambiato non poco le carte in tavola. Siamo però riusciti a dimezzare il debito pro capite che prima era di mille euro a testa ed ora è di 500 euro. Lasciamo in eredità un sistema finanziario dell’Ente positivo. Certo, c’è un problema sulla parte corrente, sui soldi a disposizione del Comune che non servono solo per pagare i dipendenti ma anche per i Servizi sociali, il verde, lo sgombero neve e molto altro. Oggi, per un Comune come Aosta, si è oggettivamente al limite. Qui però si apre il capitolo dei trasferimenti agli enti locali che la prossima amministrazione regionale dovrà giocoforza affrontare”.

E, anche qui abbastanza “classico”, c’è qualcosa che non rifarebbe?

“Ma no, credo che rifarei esattamente tutto, perché mi ha insegnato molto. Anche la scelta del Segretario comunale tentata ad inizio mandato. Magari non con la stessa persona, ma rimango convinto che Aosta abbia bisogno di un soggetto esterno che coordini la macchina amministrativa”.

Doppia domanda secca: tre cose concrete per la città di Aosta che la sua giunta ha fatto e che vorrebbe fossero ricordate, e qualcosa di non portato a termine per cui si sente rammaricato.

“Sono molto orgoglioso della chiusura dei cantieri di Edilizia residenziale pubblica e del VI lotto, con il tanto agognato trasferimento degli abitanti del ‘Grattacielo’ nell’edifico del Contratto di quartiere I, risistemando nel frattempo una trentina di alloggi. Sono molto contento di aver liberato le piazze cittadine dalle auto, che sembra una banalità ma che rendono piazza Roncas e piazza Giovanni XXIII, anche se i lavori sono ancora da terminare, più belle di prima. Poi sono molto contento che con meno risorse abbiamo tenuto in piedi i Servizi sociali del Comune di Aosta, da sempre un punto di riferimento anche a livello regionale. Ancora oggi abbiamo il Centro diurno e i servizi per anziani autosufficienti che altri comuni non hanno. E li abbiamo garantiti nonostante un grande taglio di risorse, quasi 7 milioni di spesa corrente in cinque anni. Lo considero un risultato molto importante”.

“Dall’altro lato, invece, mi sarebbe piaciuto terminare la pedonalizzazione completa dell’Arco di Augusto, ma rivendico il fatto che siamo stati la prima amministrazione a buttarcisi con impegno, non solo con dei progetti ma con opere fisiche che hanno avuto un impatto sulla società, positivo o negativo che sia, questo non sta a me dirlo. La pandemia ci ha bloccato la sperimentazione delle due rotonde su via Monte Émilius, ma ho la sensazione che purtroppo la pedonalizzazione resterà una parentesi, anche perché con la costruzione della nuova scuola prefabbricata in viale Federico Chabod il carico di traffico sarà tale che la pressione porterà probabilmente a riaprire l’Arco. Sono quasi convinto che alla fine diventerà la ‘pazzia di Centoz’ e che non sarà purtroppo realizzabile. È un peccato, per questo dico che ci vorrebbe un po’ di coraggio”.

Che cosa, a Suo avviso, ha trasformato in cinque anni la Sua candidatura da “collante” tra forze diverse a “divisiva”?

“Credo sia semplicemente perché in cinque anni non ho risparmiato critiche ai consiglieri regionali e perché ho voluto mettere davanti a tutto la stabilità politica e la tenuta della maggioranza per cercare di portare a termine impegni gli impegni con i cittadini presi nel 2015. Quando dalla Regione si voleva cacciare Marzi dalla Giunta perché ritenuto responsabile del ‘Ribaltone’ del 2017 che portò alla Presidenza Marquis, è stato invece evidente che qui ci fu una presa di posizione diversa e chiara, anche da parte della stessa Uv. Questa autonomia di pensiero ovviamente la paghi, e lo fai soprattutto quando le scelte sono demandate alla politica”.

Immagino invece che non dirà una parola sui candidati vari, otto in tutto, a guidare la città dopo di Lei.

No. Ho deciso che sulle Comunali, fino alla fine delle Elezioni, non dirò assolutamente nulla. Credo che sia giusto e corretto. Visto che io non lo sono, chi è in campagna elettorale può dire ciò che deve e vuole. La cosa peggiore è avere un Sindaco uscente che parli di cose di questo genere. Ho ampiamente metabolizzato il mio cambio di prospettive, sento il carico di responsabilità che pian piano mi abbandona e sono sereno, immaginando la mia vita dopo ottobre, visto che c’è l’ipotesi che si vada al ballottaggio. Mi immagino fuori dalle Istituzioni, ma non per questo meno attivo politicamente, perché la politica si può e si deve fare anche fuori dalle Istituzioni. Diciamo che non mi sento ancora un ‘usato sicuro’, ma credo che in dieci anni da Sindaco ho maturato un minimo di esperienza amministrativa che posso trasferire a qualche giovane amministratore, e aiutare chi si avvicina alla politica, restandone però al di fuori”.

Ha deciso, quindi, di spendersi per qualche candidato o candidata in questa campagna elettorale?

Non per le Amministrative, ma per le Regionali sì. Nel mio piccolo darò una mano a Matteo Pellicciotta. È uno di quei giovani che si è avvicinato alla politica ma che nel frattempo sta ancora studiando. Una persona molto intelligente, capace e politicamente già in gamba. Credo che lui possa essere una risorsa e ha già maturato diverse esperienze fuori regione con i Giovani democratici. Insomma, penso possa essere uno di quei giovani su cui la Valle d’Aosta possa puntare”.

Che lettura dà ad un certo “affanno” nel chiudere le liste da parte di alcuni, in realtà parecchi, movimenti?

“Il clima che si respira in Valle dopo gli ultimi due/tre anni non porta certo la gente ad uno slancio verso la candidatura. Alla fine, pur essendo una scelta obbligata, quella dell’‘Election Day’, con il voto in 66 comuni e in Regione e 1200 candidati totali su 130mila abitanti, rende anche impossibile trovare molte persone diverse. Diversi comuni, non a caso, sono andati verso una lista unica. Non vedo neanche lo ‘scandalo’ di alcune candidature doppie. Secondo me, il classico consigliere comunale che si candida per il suo paese e anche in Regione non è una ‘tragedia esistenziale’”.

Fino ad ora ha scelto il silenzio, spiegando di aver preso atto della scelta d’altri. Neanche un sassolino nella scarpa da togliere?

“Nessuno. La politica non si fa con i veti personali o le ripicche. Chiaramente sono amareggiato da molte cose, ma la politica non si fa per simpatia, non funziona così. Questa è la politica ‘provinciale’ che spesso si è vista in Valle. Siamo umani e pieni di debolezze, e a volte uno ‘sgambetto’ viene vissuto come un attacco personale, ma lo dico con convinzione: faccio politica perché mi piace e mi appassiona. Quello che ho imparato in dieci anni da Sindaco è che il risentimento personale non porta da nessuna parte. Parto dal presupposto che gli amici, tranne rare eccezioni, non sono in politica, e non vado certo a cercarmeli lì. È un mestiere ed un servizio, e se lo vuoi fare bene devi lavorare e studiare”.

0 risposte

  1. Matteo Pellicciotta!! Sono stata una sua alunna, è un insegnante fazioso e di parte, se devo basarmi sulle sue colaratteristiche professionali mi passa qualsiasi fantasia di votarlo per una carica politica…

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