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#Siamoaterra, i pubblici esercizi scendono in piazza: “Non siamo gli untori”

Prima “Il silenzio”, suonato con la tromba in piazza Chanoux, poi quello degli esercenti, seduti nel “salotto buono” di Aosta per la manifestazione organizzata da Confcommercio. Le chiusure alle 18, imposte dal Governo, fanno paura: "Ci sentiamo usati ancora una volta come capro espiatorio".
Società

Prima “Il silenzio”, suonato con la tromba in piazza Chanoux, poi quello degli esercenti, seduti per terra nel “salotto buono” di Aosta.

La piazza è gremita, nel rispetto delle distanze e l’utilizzo delle mascherine, i vestiti neri – listati a lutto – ed una preoccupazione: la chiusura imposta dall’ultimo Dpcm varato dal Governo Conte che chiude bar e ristoranti alle 18 rischia di diventare, per molti di loro, un punto di non ritorno.

Tra le mani i cartelli: “gelatai”, “facchini”, “pasticceri”, “maître”, “ristoranti”, sommelier”, “imprenditori”, “camerieri”. Ma anche “responsabilità”, “passione”, “tradizione”, ed il nome stesso della manifestazione organizzata da Fipe – Confcommercio in 24 piazze italiane: #Siamoaterra.

Tra i due gruppi di persone, tovaglie, posate, piatti e bicchieri stesi al suolo. Simbolo forte, metafora che non richiede spiegazioni. Poi i rintocchi di mezzogiorno, l’alzarsi in piedi sulle note dell’Inno di Mameli.

Al microfono il Presidente di Confcommercio Valle d’Aosta Graziano Dominidiato spiega: “Oggi siamo qui, siamo a terra, siamo qui come in altre 23 altre piazze italiane. Numerosi, coraggiosi, pacifici si, ma determinati, noi siamo quelli che ogni giorno si rimboccano le maniche. Ma di fronte a questa tragedia, purtroppo, non basta. ‘Siamo a terra economicamente. Il settore dei pubblici esercizi perderà quest’anno almeno 27 miliardi di euro su 96 di fatturato complessivo. 300mila posti di lavoro nel nostro settore rischiano di scomparire definitivamente. L’ulteriore imposizione della chiusura alle 18 ci costerà da sola 2,1 miliardi di euro, impedendo a 600mila persone di lavorare. Tutto questo oggi costa caro a noi, ma il conto lo pagherà tutto il Paese”.

Un conto salato che serpeggia tra chi si è presentato in piazza: “È un male comune che coinvolge tutti – spiega un esercente della ristorazione –, siamo dipinti comeuntori’ ma siamo la categoria che ha rispettato alla lettera i Dpcm, ci sentiamo presi in giro. Vediamo i mezzi pubblici affollati, ma poi noi siamo il problema”.

“Hanno lasciato tutto alle chiacchiere – spiega un’altra manifestante, ristoratrice anch’ella –, non hanno fatto nulla. Hanno riaperto le scuole senza aumentare i mezzi di trasporto, ora crescono i contagi e veniamo additati noi”. Non solo: “Sono stati promessi rimborsi per gli investimenti fatti, sono stati rimborsati solo i PVC ed i plexiglass”.

Intanto, le prime scosse ci sono: “Abbiamo dovuto lasciare a casa dei dipendenti – spiegano ancora –, metterli in Cassa integrazione, ma le cifre sono ridicole. Abbiamo rispettato le direttive, abbiamo investito, sanificato, controllato le distanze. La soluzione ora è ‘chiudiamo tutto’, ma noi non siamo la colpa.

 Questione che fa il paio con quanto dice Dominidiato al microfono: “Dopo tutto questo, a quasi otto mesi dal primo lockdown, non veniamo considerati alleati dell’ordine pubblico e non vediamo riconosciuto il nostro valore sociale, ma ci sentiamo usati ancora una volta come capro espiatorio per controlli che mancano e misure di organizzazione che fanno difetto. Ci sfibra l’incertezza e ci demotiva l’instabilità, in un’insensata gara all’untore, e allora lo vogliamo dire con forza: non siamo noi i responsabili della curva dei contagi. Noi non siamo il problema. Possiamo e vogliamo essere parte della soluzione. ‘Siamo a terra’, ma non ci arrendiamo ne abbiamo intenzione di farlo”.

Poi i “ristori” promessi dal Governo, che per il Presidente Confcommercio devono arrivare “non presto, ma subito”: “Gli indennizzi al settore sono un atto dovuto, non una misura compensativa. Nulla può compensare la negazione del diritto al lavoro. Queste misure sono necessarie per rimetterci in piedi. Chiediamo con forza che si renda giustizia ad un settore che oggi è sì a terra, ma che vuole tornare a correre sulle sue gambe. Lo chiediamo per la storia delle nostre imprese, per il presente delle nostre famiglie, ma soprattutto per il futuro dei nostri figli, delle nostre città e del nostro Paese”.

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