Ugo, il volontario che sta tornando con 43 profughi ucraini

Ugo Venturella è partito da Aosta domenica scorsa, portando aiuti e cibo in Moldavia, al confine con l'Ucraina, e sta tornando in Valle. I profughi verranno accolti per qualche giorno a Fénis, dove è stata allestita la palestra, in attesa di avere un alloggio assegnato.
Palanca la frontiera tra Moldavia e Ucraina
Società

È partito da Aosta domenica, intorno a mezzogiorno e mezzo. Con lui, due autisti e un pullman che nel rimorchio portava cibo e aiuti ai rifugiati ucraini. La destinazione era la capitale della Moldavia, Chișinău, dove lasciare gli aiuti per ripartire con il mezzo carico di persone, 43 in tutto, le cui vite sono state stravolte un mese fa, dopo l’invasione russa della loro terra.

2200 chilometri non semplici, ora da ripercorrere a ritroso, per portare i profughi a Fénis, dove resteranno quattro/cinque giorni nella palestra allestita per accoglierli – colorata e decorata da disegni di bambini e messaggi di benvenuto – prima di essere spostati negli appartamenti che verranno loro affidati. L’arrivo è previsto per oggi, attorno alla mezzanotte.

Lui, partito da Aosta, è Ugo Venturella. Insegnante in pensione, già consigliere regionale. Volontario dell’Associazione nazionale alpini del gruppo di Saint-Martin-de-Corléans.

Sfibrato, racconta ciò che ha vissuto a pochi chilometri dal conflitto: “È un’esperienza molto coinvolgente – dice -. E fatta con fatica, perché la Moldavia è un paese poverissimo ma che  accoglie gli ucraini in maniera dignitosa. Siamo venuti a contatto con quattro sindaci, il prefetto della capitale e due Centri di accoglienza. Abbiamo portato sette tonnellate di aiuti distribuiti a Ciorescu, un comune alla periferia della capitale. Tre tonnellate circa le abbiamo lasciate lì, dove c’è un importante Centro di accoglienza, le altre quattro le abbiamo consegnate ad un hub al Centro di accoglienza municipale di Chișinău”.

Ma allontanarsi troppo dalla propria terra, nonostante la sicurezza che l’Italia – e la Valle d’Aosta – può offrire alla popolazione ucraina non è semplice: “Un conto è dare una conferma ai sindaci per l’accoglienza, un conto è ragionare e allontanarsi ancora di più dal confine, e per 2200 chilometri – spiega Venturella -. In loro resta fortissima la speranza di rientrare a casa, sono vicini alla frontiera. Qui è tutto blindato”.

Però la guerra segna: “Con noi viaggiano anche due anziani – aggiunge Venturella -. Non so trovare le parole. Sono completamente spaesati. Soprattutto la signora, di 75 anni, ha ancora delle contusioni da esplosione e sembra svuotata completamente. Però queste persone hanno tutte una dignità incredibile”.

Un gruppo molto variegato: “I bimbi sono 19, e sono bellissimi – spiega ancora -. Vanno dai due fino a 18 anni, con una distribuzione di frequenza assolutamente gaussiana. Ci sono ragazze di 22/20 anni, una famiglia di tre persone, due da quattro e una da cinque. Ci sono anche nove nuclei familiari da due persone. Quasi tutte sono mamme con i figli”.

Anche perché, in Ucraina, il Presidente assediato, Volodymyr Zelens’kyj, ha ordinato agli uomini dai 18 ai 60 anni di restare in patria. A difenderla, a combattere. “Abbiamo con noi, però, due signori di 41 e di 54 anni, erano andati via dal paese prima che venisse decisa la proscrizione obbligatoria”.

Non è la prima volta di Venturella in una situazione drammatica. È stato in Abruzzo e in Emilia-Romagna durante i terremoti del 2009 e di dieci anni fa. È stato nella Protezione civile, ad aiutare durante alluvioni e disastri naturali. Ma questa è una guerra. Il disastro dell’uomo.

“Devo riflettere e ragionarci, anche perché non dormo da due giorni – racconta -. La tensione si sentiva, è fortissima. In ogni istante può capitare, com’è capitato, un poliziotto corrotto, e allora sei finito. Qualche 50 euro abbiamo dovuto sganciarlo, una vera e propria tangente”.

Poi c’è la rete. Il sistema di aiuti e solidarietà che si è creato attorno al conflitto: “Ancora a caldo, posso dire che il mio viaggio è stato possibile solo perché alle mie spalle ho una famiglia. Le mie figlie sono state in Afghanistan e in Siria, hanno esperienza di emergenze sul campo. E mia moglie è incredibilmente paziente e amorevole. C’è tutto l’impegno della parrocchia di Saint-Martin, gli alpini, cittadini comuni e non organizzati che alla nostra chiamata dalla parrocchia si presentavano. Un gioco di squadra incredibile. Io sono solo un granellino nell’immensità della rete di soccorso”.

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