Riflessioni in tempo di Coronavirus

Riceviamo e pubblichiamo un contributo sul periodo di restrizioni che stiamo vivendo sviluppato - a titolo individuale, di cittadini - da nove magistrati in servizio tra la Valle d'Aosta e il Piemonte.
I lettori di AostaSera
I lettori di Aostasera

Partendo dalla conoscenza della legge, materia prima del loro lavoro quotidiano, nove magistrati in servizio tra Valle d’Aosta e Piemonte hanno approfondito alcuni interrogativi sull’aspetto normativo del periodo restrittivo che stiamo vivendo e – a titolo individuale, di cittadini – li hanno condivisi con Aostasera.it, che volentieri le pubblica.


Nel difficile periodo che stiamo tutti vivendo già da oltre un mese e che è destinato a protrarsi, magari con cauti e progressivi ampliamenti del regime restrittivo in vigore, non pare inopportuno sviluppare qualche riflessione e porsi doverosi interrogativi.

Si tratta di riflessioni critiche ed interrogativi materialmente espressi dai firmatari del presente scritto quali cittadini, diffusamente condivisi da molti, posti all’attenzione di chi può e vuole soffermarsi un attimo sul significato di una Carta costituzionale anche in momenti drammatici come quelli che stiamo vivendo.

La normativa emergenziale che è stata emanata dal Governo e dalle Autorità regionali con l’adozione di provvedimenti fortemente limitativi di diritti e libertà costituzionalmente garantiti ad ogni cittadino, trova fondamento e legittimazione nell’urgente necessità di apprestare primaria tutela ad altri interessi pure costituzionalmente garantiti – la salute e l’incolumità pubblica – esposti a grave rischio a fronte della diffusione pandemica di coronavirus. Tale normativa si giustifica, tuttavia, solo ed unicamente a fronte di comportamenti, pure per sé leciti, che, risultando effettivamente ed in concreto idonei a costituire veicolo di diffusione dell’epidemia in atto, espongano perciò a rischio la salute degli altri cittadini o quella stessa di chi li pone in atto.

Preoccupa nondimeno assistere in questi giorni ad interventi repressivi di condotte che solo in parte possono ritenersi conformi a quelle vietate con la normativa restrittiva adottata dal Governo e dalle Autorità regionali e che, talora, paiono in effetti prive di qualsiasi pericolosità per i beni della salute e dell’incolumità pubblica.

Si pensi, ad esempio, alla norma introdotta con ordinanza del Ministero della Salute 20.03.2020, all’art. 1, lett. b), secondo cui “non è consentito svolgere attività ludica o ricreativa all’aperto; resta consentito svolgere individualmente attività motoria in prossimità della propria abitazione, purché comunque nel rispetto della distanza di almeno un metro da ogni altra persona”. Detta norma, tuttora in vigore per effetti di provvedimenti successivi di proroga della sua durata, risulta in specie derogata in senso ulteriormente restrittivo nell’ambito del territorio regionale della Valle d’Aosta per effetto di Ordinanza del Presidente della Regione V.dA. in data 19.03.2020 tuttora in vigore, che prevede in specie che “l’attività motoria per ragioni di salute o l’uscita con l’animale da compagnia per le sue esigenze fisiologiche sono ammessi solo in prossimità della propria abitazione”.

Quante persone sono state multate per essersi allontanate “troppo” dalla propria abitazione con l’animale di compagnia o per attività motoria? E, si badi, le ragioni di salute che giustificano il bisogno di attività motoria sono molteplici, dal momento che larga parte della popolazione, almeno in età media, ha necessità di fare movimento per fronteggiare i rischi di carattere cardiocircolatorio cui è esposta.

Ma dove è scritto che la “prossimità” all’abitazione si esaurisca in cento, duecento, trecento metri da casa? Laddove la norma tace sulla distanza consentita, ogni lettura volta a quantificare nettamente ove finisca la “prossimità” diviene arbitrio; ed infatti sono state adottate in merito le soluzioni più diverse da un luogo all’altro.

Ma quale attività motoria si può fare in trecento metri? Forse solo quella che si può fare in casa…

Ma, più ragionevolmente, si potrebbe anche ritenere che il luogo che si raggiunge a piedi dalla propria abitazione debba perciò solo intendersi “prossimo” ad essa, ove sia rispettata la regola fondamentale – questa sì – del distanziamento sociale.

E, del resto, la stessa Circolare del Ministero dell’Interno 31.03.2020 ricorda, nelle sue premesse che “la finalità dei divieti e delle limitazioni imposti dalle disposizioni adottate risiede nell’esigenza di prevenire e ridurre la propagazione del contagio. In tale ottica, si inseriscono il divieto di ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico, le restrizioni agli spostamenti sia intercomunali che infracomunali, nonché le prescrizioni che vanno dal rispetto della distanza interpersonale di un metro fino alle limitazioni riguardanti l’attività motoria. Al riguardo, appare peraltro evidente come il perseguimento della predetta esigenza implichi valutazioni ponderate rispetto alla specificità delle situazioni concrete”.

Ma allora, in un territorio qual è quello valdostano – ma anche altrove, in zone di campagna o collinari su tutto il territorio italiano – ove molti comuni hanno una densità di popolazione assai limitata a fronte di un territorio in gran parte esteso in zona rurale, che pericolosità rivestono le condotte di chi, per sopravvivere alla situazione pesante in cui tutti viviamo, avendo la fortuna di abitare in comune montano – o comunque in zone isolate – (con gli inconvenienti ben noti in condizioni normali, soprattutto in stagione invernale, per spostamenti anche ordinari) faccia una passeggiata nei boschi “osando” allontanarsi anche per qualche chilometro dalla propria abitazione, laddove superate le “quattro case” del paese – proprio nel raggio delle poche centinaia di metri di spostamento consentito od almeno tollerato – si spinga fino alle zone solitarie di montagna dove – se ha fortuna – potrà incontrare forse qualche marmotta, o capriolo o volpe, transitando al più in prossimità di qualche alpeggio, al momento anche chiuso.

Eppure, con estremo sconforto – soprattutto morale – abbiamo assistito – ed ancora assistiamo – ad ampi dispiegamenti di mezzi per perseguire illeciti che non esistono, poiché è manifestamente insussistente qualsiasi offesa all’interesse giuridico (e sociale) protetto.

Certamente si è consapevoli della necessità di usare sempre la massima prudenza non fosse altro che per evitare che l’esercizio di attività motorie sia causa di incidenti, e quindi di sovraccarico delle strutture ospedaliere, peraltro verosimilmente più a rischio, in questo senso, per i più probabili incidenti domestici cagionati da chi si improvvisa nelle pulizie e nel bricolage o nella coltivazione di orti e giardini, che per lo svolgimento di modeste attività sportive.

Fermo restando che è compito delle Forze di Polizia, e prima ancora dell’autorità politica che ne dirige l’operare, decidere come e dove concentrare i controlli sull’osservanza delle disposizioni emanate dal Governo, è difficile non chiedersi se davvero non si sappia immaginare un modo più utile per spendere il danaro pubblico, in settori ove ce n’è ben più bisogno per le tante necessità urgenti delle strutture sanitarie o per più seri interventi di prevenzione e protezione degli anziani in strutture di accoglienza.

Tutto ciò avviene con sacrificio estremo, manifestamente non necessario, di diritti fondamentali di libertà personale e di circolazione dei cittadini di cui alla parte I della Costituzione, che meriterebbe rinnovata lettura ed attenta meditazione.

Non dimentichiamo che le norme che vengano ad incidere e sacrificare diritti costituzionalmente garantiti, anche a tutela di altri diritti di pari rango che vengano a confliggervi, sono comunque sempre soggette a stretta interpretazione e perdono ogni legittimazione laddove le condotte sanzionate siano prive di lesività per il bene preminente salvaguardato.

Un’ultima riflessione sia consentita, sia pur di mero buon senso ed ordinaria ragionevolezza.

Non sarebbe forse “strategicamente” più utile limitare l’applicazione dei provvedimenti in vigore nell’ambito effettivamente necessario per il perseguimento dei fini loro propri di contenimento dei rischi reali – e non immaginari – di diffusione dell’epidemia in atto, salvaguardando il più possibile le libertà fondamentali dei cittadini? Ciò perché i cittadini stessi, ben consapevoli e largamente convinti della necessità di un regime comunque restrittivo, poiché coscienti – per la maggior parte almeno – dei rischi conseguenti al mancato contenimento della diffusione epidemiologica in atto, sarebbero così assai più motivati e spontaneamente disposti al pieno rispetto della normativa vigente, ragionevole ed equilibrata, e non si sentirebbero invece costretti a cercare i più umilianti sotterfugi per sottrarsi a solerti controlli che finiscono per essere percepiti come gratuite persecuzioni di nessuna utilità per l’effettiva tutela del bene della salute pubblica.

Ed infine, se superassimo il pericolo da coronavirus lasciando sul tappeto libertà fondamentali e diritti primari di libertà che oggi vengono seriamente posti a rischio da condotte repressive non adeguate rispetto ai fini perseguiti, che risultato avremmo conseguito?

 

Anna Bonfilio, Luca Ceccanti, Stefania Cugge, Maurizio D’Abrusco, Luca Fadda, Eugenio Gramola, Eugenia Menichetti, Davide Paladino, Marco Tornatore

0 risposte

  1. Questo è buonsenso allo stato puro ma quando tutto questo finira’ allora sara’
    il momento di aggiustare i conti : pacificamente e democraticamente dovremo
    cacciare tutti questi boriosi incapaci a iniziare dall’avvocato del popolo che
    potra’ tornare a taroccare i suoi curriculum

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