Dopo la condanna per tentato omicidio, due anni per stalking a 43enne

Stefano Corgnier è stato riconosciuto oggi, mercoledì 20 marzo, colpevole di atti persecutori nei confronti della giovane a cui si era avvicinato. Per il pm non riusciva ad “accettare il ‘no’” della ragazza. Per la difesa, le condotte non erano stalking.
Tribunale di Aosta
Cronaca

Altra condanna in primo grado per Stefano Corgnier, il 43enne già riconosciuto colpevole in primo grado per l’accoltellamento di un conoscente all’interno del bar di cui era titolare ad Aosta. Il giudice monocratico Marco Tornatore gli ha inflitto oggi, mercoledì 20 marzo, due anni di reclusione per l’accusa di stalking. La contestazione era relativa a condotte nei confronti di una giovane cui si era avvicinato alla fine del 2021 e, successivamente, aveva poi scoperto intrattenere una relazione con l’uomo che, secondo l’accusa, aveva quindi provato ad uccidere.

Il pm: non accettava il ‘no’

L’accusa aveva invocato una pena di 4 anni di carcere. Terminata “quasi subitaneamente, in maniera anche corretta” la relazione tra l’imputato e la persona offesa, nella ricostruzione del pubblico ministero durante la requisitoria “a partire da fine gennaio 2022 iniziano una serie di messaggini che sono il preludio di ciò che sta per succedere”. La giovane “cerca di far capire il proprio allontanamento” ed è qui che “scatta quello che sarà il reato, il carattere garbato scema”.

Oltre ai messaggi, per il pm “abbiamo almeno tre episodi abbastanza sgradevoli in cui l’imputato va ad introdursi in una serie di contesti vitali, come le uscite serali, della persona offesa”, che arriva nell’estate 2022, a bloccare “gli account di comunicazione da parte dell’imputato”. Nell’ambito del processo per tentato omicidio, si innestano poi, per l’accusa, una serie di condotte “di Corgnier, in un mal riposto diritto di difesa, che va a cercare parenti” della ragazza “affinché ripensi a una serie di deposizioni testimoniali rese”. Da questo “si vede la difficoltà dell’imputato a non accettare il ‘no’” della ragazza.

La parte civile: famiglia terrorizzata

Stando all’inchiesta, “ci sono momenti di sospensione delle condotte, da parte dell’imputato”, ma “lasciano il tempo che trovano”, anche perché “legate al processo principale”. Per cui, “seppur su un periodo temporale ampio non sono condotte frammentarie”. Aspetti su cui ha insistito anche il legale di parte civile, l’avvocato Corrado Bellora, sottolineando l’esistenza, a dimostrazione del reato, di “prove documentali, prove testimoniali e prove logiche”.

Ai messaggi dell’imputato, lei “scrive di essere gentilmente lasciata in pace”, ma lui “continua finché la signora lo blocca”. E quando accade, Corgnier, aggiunge l’avvocato, “continua per e-mail, poi cambia social” e “basterebbe questo per gli atti persecutori”. Il fatto grave, però, agli occhi del legale della ragazza, è che lui “considera sua” la giovane e “chiunque si frapponga” viene preso di mira. “Non è lo schema dello stalker. – tuona l’avvocato Bellora – E’ lo schema del femminicida: tu devi fare quello che dico io” e qui siamo di fronte a “una famiglia che è terrorizzata da una persona”.

La difesa: assenza di prove

La difesa dell’imputato ha puntato sul non negare lo stato di apprensione e timore della giovane, riconducendolo però ai fatti del tentato omicidio (rispetto al quale pende impugnazione della sentenza in appello) e non alle condotte di presunto stalking contestate in questo giudizio. L’avvocato Matteo Iotti sottolinea, tra gli elementi su cui riflettere riguardo all’assenza di prove, che non è stato “posto sotto sequestro il telefono” dell’imputato. “In un reato commesso con l’uso del telefono, non vengono sequestrati i dispositivi atti a comunicare con gli altri”, dice.

A sollecitare una lettura dei fatti attenendosi al capo d’imputazione, e non ai fatti del precedente processo, è stato l’altro difensore di Corgnier, l’avvocata Valentina Zancan. Per lei, gli episodi contestati sono “dal punto di vista numerico pochi, di fronte a un arco temporale di 18 mesi”. Inoltre, “la parte offesa è stata molto tempo lontana da Aosta”, mentre l’imputato “ha avuto restrizioni negli spostamenti e ha svolto un’attività lavorativa che lo ha visto impegnato”. Circostanze soggettive che “hanno reso difficili i contatti” e a ciò si affiancano altri elementi come “la lettera anonima o i profili fake, che non possono essere ricondotti all’imputato”.

Per l’avvocata Zancan, “infine non c’è riscontro o evidenza di comportamenti attivi, classici di questi procedimenti, come pedinamenti, o minacce esplicite”. Chiedendo l’assoluzione dell’imputato, il difensore ha individuato il tema centrale “nel collegamento tra lo stato d’ansia (che c’era) e queste condotte: che solo nella parte finale generano reazione, ma prima no. A meno che lo stato d’ansia derivasse dal fatto di tentato omicidio”.

Il risarcimento dei danni

Nel sentenziare, il giudice ha anche condannato l’imputato a risarcire la persona offesa con 14mila euro. Corgnier (ancor oggi sottoposto agli arresti domiciliari fuori Valle) dovrà anche sostenere il compenso dell’avvocato della giovane costituitasi nel processo (oltre 3.500 euro) e pagare le spese processuali. Le motivazioni della sentenza sono attese in 60 giorni. I legali dell’imputato, all’uscita da palazzo di giustizia, hanno annunciato sin d’ora il ricorso in appello.

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