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‘Ndrangheta, l’accusa chiede 58 anni di carcere per gli imputati del processo Geenna

La pena più alta sollecitata per il ristoratore Antonio Raso: 16 anni di reclusione. 12 anni chiesti per Nicola Prettico e 10 per Alessandro Giachino. Per Marco Sorbara e Monica Carcea, i pm della Dda di Torino hanno invocato 10 anni ognuno.
Cronaca

16 anni di carcere per il ristoratore Antonio Raso, 12 per il consigliere comunale aostano sospeso Nicola Prettico, 10 per il dipendente del Casinò Alessandro Giachino, accusati tutti di associazione a delinquere di stampo mafioso e, nel caso del titolare de “La Rotonda”, anche di scambio elettorale politico-mafioso (in un episodio tentato, in altri due consumato). Dieci anni di reclusione per il consigliere regionale sospeso Marco Sorbara ed altrettanti per l’ex assessore alle finanze di Saint-Pierre Monica Carcea, per i quali l’imputazione è di concorso esterno nel sodalizio criminale.

Sono le richieste di pena avanzate al collegio giudicante del processo “Geenna” sull’esistenza di una “locale” di ‘ndrangheta ad Aosta, dal procuratore capo di Torino Anna Maria Loreto, al termine della requisitoria dei suoi due sostituti, Stefano Castellani e Valerio Longi, iniziata nella mattinata di oggi, mercoledì 9 settembre, e durata circa sette ore, finendo attorno alle 17.30. Gli imputati, ha affermato la rappresentante dell’accusa poco prima di declinare le invocazioni di colpevolezza, “hanno intaccato il funzionamento della pubblica amministrazione”, hanno “intaccato l’immagine di questo territorio, sia all’interno, sia all’esterno”.

“Nessuna presa di distanza dal contesto criminale”

Inoltre, la loro condotta processuale “non ci permette di ravvisare alcuna presa di distanza dal contesto criminale”. Assieme a sollecitare – ai colleghi a latere Marco Tornatore ed Eugenio Gramola – la colpevolezza delle cinque persone a giudizio, Loreto ha chiesto la trasmissione degli atti in Procura, nei confronti di un testimone, per valutare la falsa testimonianza resa, per l’accusa, durante l’inchiesta in cui ha deposto. L’udienza è quindi proseguita con la discussione delle parti civili, iniziata con l’avvocato dirigente della Regione, Riccardo Jans, che ha quantificato il danno richiesto agli imputati, per la lesione dell’immagine dell’ente, in misura complessiva non inferiore a 600mila euro.

Le altre parti civili

Il legale Gianni Maria Saracco, che rappresenta il comune di Aosta, nel ricordare come l’accesso antimafia non si sia concluso, per il capoluogo regionale, con lo scioglimento, ma presentando comunque un impatto sull’ente ha avanzato una richiesta risarcitoria di un milione di euro. Giulio Calosso, l’avvocato dell’amministrazione comunale di Saint-Pierre, commissariata a seguito dell’ispezione attuata nel periodo delle indagini, ha definito “attrice consumata” Monica Carcea, trovando “fallimentare” la sua linea difensiva “negazionista”. A livello economico, ha richiesto ai giudici un risarcimento complessivo di 350mila euro.

Citando il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nella frase in cui qualificò come “perdere il proprio tempo” il limitarsi a combattere le mafie a Palermo, senza farlo “nel resto d’Italia”, l’avvocato Valentina Sandroni, che assiste la parte civile “Libera Valle d’Aosta”, ha evidenziato una pretesa risarcitoria di 300mila euro. “La Valle d’Aosta è un territorio che per troppi anni si è cullato nella presunzione di essere un’isola felice. – ha commentato – E’ un territorio dove il fenomeno mafioso è stato sottovalutato e trattato quasi come un tema esotico”.

L’attività “elettorale” della “locale”

Se, nella parte mattutina dell’udienza, il pm Castellani si era soffermato sugli elementi che, per la Dda di Torino, alla luce delle investigazioni svolte dai Carabinieri del Reparto Operativo, concretizzano gli elementi “strutturali e indiziari” del “metodo intimidatorio” di cui gli imputati si sono avvalsi nel conclamare il reato associativo ipotizzato, il sostituto procuratore Longi è passato all’esame dell’attività “elettorale” (definita “non la sola”, ma “assolutamente centrale”) della “locale” di Aosta.

Il condizionamento del voto vede – è stato il ragionamento del pm – un “interesse convergente, sia del ‘locale’, sia dell’eletto”. Il primo, “attraverso la prestazione di funzioni di vario genere (l’aggiudicazione di un appalto, di alloggi erp…) accresce il proprio prestigio”, mentre il politico, “oltre a incassare un sostegno elettorale, può ottenere ulteriore consenso”. Peraltro, “il fatto che” il condizionamento non avvenga con forme di intimidazione esplicite, non va preso come un segno di debolezza del ‘locale’, anzi come uno di forza”.

Intercettazioni di “significato straordinario”

Oltretutto, quel che emerge dalle indagini è che “il rapporto che si sviluppa alle elezioni, si cristallizza anche per tutta la fase successiva”. Al riguardo, parlando dell’imputazione di Monica Carcea, il pm Longi ritiene dotata di “significato straordinario” l’intercettazione in cui l’ex assessore sostiene di aver “avuto una settimana di m… in Comune”, tanto che “ho dovuto chiamare Tonino (Raso, ndr.)… Sono andata da lui, perché non volevo disturbare Marco (Di Donato, ndr.)”. Parole che, per Longi, restituiscono non solo la consapevolezza dell’imputata rispetto al contesto in cui si muoveva, ma tracciano anche “una sorta di gerarchia delle fonti”.

Analogamente – è andato oltre il pubblico ministero – per quanto Sorbara percepisca il suo ruolo come “stare vicino alla gente”, ci sono tre conversazioni, viste come un vero e proprio “manifesto” dall’accusa, in cui lui stesso si attribuisce “la qualifica di referente”. E poi c’è il ritrovamento, nelle perquisizioni operate al momento del suo arresto, dei curricula fornitigli da persone che aspiravano a posti di lavoro, “ragazze tutte di provenienza calabrese”. Su quelle pagine “c’erano delle annotazioni a penna”, che l’imputato “non ha disconosciuto”.

I cv come “contabilità delle utilità”

Contenevano il riferimento della persona “presso la cooperativa ‘Leone Rosso’ a cui Sorbara li inviava”. E poi “ce n’erano alcuni con indicazioni come ‘UV 2018’”, identificate dagli operanti come “il fatto che la persona avrebbe sostenuto l’Union Valdôtaine alle regionali 2018”. L’imputato – ha proseguito il pm della Dea di Torino – dice di “averlo fatto per tenerlo a mente”, ma il dato “è straordinario”, perché “testimonia un rendiconto delle utilità erogate”. Se l’allora assessore comunale avesse operato “in maniera disinteressata, al solo scopo di avviare al lavoro persone disagiate, che significato aveva la conservazione di quei curricula?”.

La strategia “multicandidato”

Dicendo dell’inchiesta “Egomnia”, Longi ha delineato la strategia della “locale” alle ultime regionali, leggendola attraverso le intercettazioni e dai servizi di osservazione e pedinamento svolti dal febbraio 2018 in poi e definendola “multicandidato e multimovimento”, per cui la cellula di ‘ndrangheta “distribuisce il sostegno”. E’ un investimento nella prospettiva di accrescere la possibilità di contare su futuri detentori di incarichi di governo, tali da consentire “al ‘locale’ di attingere in altra maniera alle possibilità da trarre da queste persone”.

In particolare, ha riepilogato l’accusa, la scommessa è su vari “cavalli”: tre dell’Union Valdôtaine (Sorbara, l’ex assessore Luca Bianchi e l’attuale capo dell’esecutivo Renzo Teestolin), uno dell’Union Valdôtaine Progressiste (Laurent Viérin, all’epoca presidente della Regione) e uno della Stella Alpina (il già assessore Stefano Borrello), oltre all’ex senatore Antonio Fosson. E “la miglior dimostrazione che questi signori (i presunti componenti della ‘locale’, ndr.) sanno il fatto loro, è che fanno previsioni assolutamente attendibili”.

Le previsioni “millimetriche”

Intercettati la mattina del 21 maggio di due anni fa, quindi a spoglio iniziato, ma a risultati non ancora noti, Giachino e Marco Fabrizio Di Donato (condannato nel ramo processuale torinese) vengono sentiti, in auto, mentre uno dice all’altro: “mal che vada, 4-5 parti”, venendo corretto “no, mal che vada 5 parti”. “Effettivamente, – conclude Longi – ne vengono eletti cinque. Riescono tutti a superare l’ostacolo elettorale”. In un’altra registrazione, Raso dice di Sorbara: “…se alle prossime elezioni vogliono che si prenda quei 1048 voti… mille, milleduecento”. “Ne prende – conclude il pm – 1.071…”.

Tesi che da domani, giovedì 10 settembre, gli avvocati di accusa confuteranno nelle loro arringhe. Saranno una decina, lasciando intravedere una giornata ben più piena di quella di oggi, che già non ha vissuto a bassa intensità per i cronisti nella saletta a pian terreno del Palazzo di giustizia. Quindi, repliche e contro-repliche, poi il sipario sul primo grado scenderà con la sentenza, attesa per il 17 settembre. L’inizio è previsto alle 9.30.

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