Anche per la quarta sezione della Corte d’Appello di Torino, non ci fu turbata libertà del procedimento di scelta del contraente relativamente alla nomina del vertice di Finaosta, nel 2015. I giudici del secondo grado hanno confermato oggi, lunedì 26 aprile, la sentenza del Tribunale di Aosta con cui, il 13 maggio 2019, i tre imputati erano stati assolti “perché il fatto non sussiste”. A giudizio erano l’ex presidente della Regione Augusto Rollandin, il già assessore alle finanze Ego Perron e l’economista Massimo Lévêque. Il procedimento d’appello si era aperto lo scorso 3 febbraio.
Il pg Giancarlo Avenati Bassi aveva chiesto, al termine della sua requisitoria, un anno di carcere e 500 euro di multa per ognuno degli imputati. Si erano quindi susseguite, nelle udienze fino all’11 marzo scorso, le arringhe dei difensori, gli avvocati Giorgio Piazzese (per Rollandin), Maria Rita Bagalà (per Lévêque) e Corinne Margueret (per Perron). Tutti e tre avevano sollecitato la conferma del verdetto assolutorio per i loro assistiti.
La Procura di Aosta, a seguito delle indagini chiuse nel maggio 2018, aveva contestato il turbamento della designazione, sostenendo che i due politici (in forza delle cariche rivestite allora) avessero rivelato in anticipo al manager poi nominato i contenuti del bando per la selezione del Presidente del Consiglio di amministrazione della società finanziaria. Per la Procura, gli amministratori regionali avevano pure rassicurato il professionista (la cui nomina alla presidenza era avvenuta formalmente il 7 agosto 2015) sia sul fatto che avrebbe ottenuto la carica, sia sugli emolumenti a lui destinati.
Tale aspetto non era ritenuto secondario dagli inquirenti, perché dai loro accertamenti Lévêque avrebbe richiesto la nomina per un importo non inferiore ad 80mila euro, venendo “confortato” da Rollandin e Perron che i 31.500 euro previsti dal bando sarebbero “lievitati” sino a 100mila. Nel processo svoltosi al Tribunale di Aosta, con rito abbreviato, l’accusa aveva chiesto due anni di reclusione e 600 euro di multa per ogni imputato, ma la tesi inquirente era stata confutata coralmente dai difensori.
Nelle loro arringhe avevano sottolineato che quello pubblicato dalla Regione non fosse un bando, né un atto equivalente, ma semplicemente “un avviso che ha funzione di pubblicità-notizia”, che “serve a rendere pubblico il fatto che ci sono delle nomine in scadenza”. Pertanto, la rivelazione anticipata dei suoi contenuti non poteva costituire, per la legge, un reato. I legali avevano quindi richiamato come la nomina rientrasse “nella scelta totalmente discrezionale e fiduciaria della Giunta” e bollato come “pura fantasia” le presunte “rassicurazioni” dei politici all’economista.
Nelle motivazioni delle assoluzioni in primo grado, il Gup Luca Fadda aveva ritenuto che “non sembra revocabile in dubbio che” la designazione alla base dell’inchiesta si ponga “assolutamente al di fuori della nozione di ‘gara’ delineata dalla Suprema Corte nel proprio indirizzo giurisprudenziale consolidato”. Per questo motivo, il reato contestato, per il giudice, non poteva essere integrato dalle circostanze.
Alla soddisfazione degli imputati per il verdetto che li scagionava aveva fatto seguito nel giugno 2019 il ricorso della Procura, convinta per parte sua che l’incarico in seno alla finanziaria regionale fosse “ontologicamente e normativamente incompatibile con il ricorso a criteri fiduciari”. Nemmeno la Corte d’Appello, tuttavia, appare aver condiviso questo argomento, chiudendo la fase dell’esame di merito dei fatti (l’eventuale ricorso in Cassazione può essere proposto solo per motivi di legittimità).