Processo sulla centralina di Oyace, due patteggiamenti e tre assoluzioni

Dopo la modifica dell'accusa, passata a corruzione impropria, all'ex sindaco Domaine e al già assessore a Bionaz Petitjacques il Gup Paladino ha applicato la pena concordata di un anno e sei mesi. Proscioglimento, invece, per gli imputati di falso.
Oyace
Cronaca

Due patteggiamenti e tre proscioglimenti hanno chiuso ieri, mercoledì 14 aprile, il processo di primo grado nato dalle indagini sulla realizzazione, dal 2016, di una centralina idroelettrica in località Gallians di Oyace. A giudizio dinanzi al Gup Davide Paladino erano in quattro: i due ex sindaci del paese Remo Domaine (52 anni) e Sandro Favre (52, vicesindaco all’epoca dei fatti), l’impiegato della “ServiziVdA” e già assessore al comune di Bionaz Flavio Petitjacques (45) e il segretario comunale al tempo Roberto Trova (65). A scrivere l’epilogo del procedimento hanno contribuito le indagini difensive condotte dagli avvocati che assistevano gli imputati.

L’accusa originariamente mossa a Domaine e Petitjacques (rappresentati, rispettivamente, dai legali Corrado Bellora di Aosta e Saverio Rodi di Torino) era di concorso in corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio. Per gli inquirenti, l’allora Sindaco aveva “spinto” la realizzazione della centralina a favore del secondo, con “pervertimento e sviamento delle prerogative e della funzione pubblica”. Attraverso la raccolta di numerose deposizioni e la produzione di documentazione, i legali miravano a dimostrare che, seppur non seguendo una modalità corretta per la realizzazione, la centralina rispondesse, comunque, ad un interesse pubblico, facendo quindi venire meno il presupposto del reato configurato.

Tesi riconosciuta dall’accusa, con il pm Luca Ceccanti a modificare il capo d’imputazione, contestando la corruzione impropria, vale a dire motivata da un atto conforme ai doveri d’ufficio. A fronte della variazione, Domaine e Petitjacques hanno patteggiato un anno e 6 mesi di reclusione (pena sospesa). Dalle investigazioni della Sezione di Polizia giudiziaria presso la Procura (svolte anche con un corposo ricorso alle intercettazioni telefoniche) era emerso che l’ex assessore a Bionaz, titolare della concessione amministrativa per gestire l’opera (poi sospesa dalla Regione), si sarebbe “sdebitato per l’aiuto” cedendo al già sindaco il 50% della “Varere srls”, società costituita assieme alla figlia di Domaine per gestire la produzione di energia.

Restava sul tappeto l’accusa di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, che originava dalla seduta del Consiglio comunale di Oyace del 6 giugno 2016, in cui venne discussa l’opera, decidendone la dichiarazione di pubblica utilità. Era avanzata nei confronti di Domaine, che non poteva essere presente per incompatibilità (quale proprietario di terreni su cui la struttura doveva sorgere), ma secondo la Procura “intervenne continuamente” ed esercitò richieste ed esortazioni sui consiglieri”, nonché di Favre e Trova (difesi dai legali Federico Fornoni e Ascanio Donadio), che avevano sottoscritto il verbale della riunione in cui risultava – falsamente, agli occhi degli inquirenti – che il Sindaco si era assentato.

Per tale imputazione,  è stato tuttavia lo stesso pubblico ministero a chiedere il loro proscioglimento, non ritenendo la sussistenza penale di quell’ipotesi (tra le persone sentite nelle indagini difensive figuravano, tra l’altro, membri dell’opposizione di quella consiliatura). Il Gup Paladino ha quindi, dopo una breve camera di consiglio, pronunciato sentenza di non luogo a procedere nei confronti di tutti perché “il fatto non costituisce reato”.

Il “caso Oyace” era scoppiato l’8 giugno 2020, quando Domaine e Petitjacques erano stati arrestati. Il primo, pochi giorni dopo, aveva rassegnato le dimissioni dalla carica (era, intanto, scattata la sospensione ai sensi della “legge Severino”), con la fusciacca passata a Favre (che non si era poi ricandidato nella tornata elettorale di settembre dello stesso anno). Interrogati in Procura, durante le indagini, avevano entrambi ottenuto dal Gip la revoca dei domiciliari, sostituiti dall’obbligo di firma. Alla chiusura dell’inchiesta, nell’agosto dell’anno scorso, si erano poi aggiunte le contestazioni per gli altri due indagati, quindi la richiesta di rinvio a giudizio, che ha condotto all’udienza di ieri.

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