“Testimoni residui di un progetto superato”. I quarant’anni, o poco più, dei grattacieli di Aosta

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Oggi che il grattacielo “basso” di Aosta non c’è più e che quello “alto” è il prossimo bersaglio dell’opera di demolizione, fa strano. Fa strano dopo gli anni, le proteste, le polemiche, ripercorrere la storia di un intervento nato con tanti presupposti e finito in un cumulo di macerie. Anzi, un cumulo di macerie che supera i 5 milioni di euro.

Fa strano anche perché alle spalle dei “grattacieli” di via Capitano Chamonin c’è il comparto delle novecentesche caseStura”. La cui qualità architettonica, a maggior ragione dopo i lavori alle facciate compresi nel Programma qualità dell’abitare, rendono impietoso il paragone con due edifici di quasi ottant’anni più giovani.

E pensare che il piano originale era proprio quello di abbattere le “Stura” per proseguire, lungo via Giorgio Elter, in “sintonia” con le forme dei grattacieli. E per ben nove “torri”. Del resto, erano gli anni ’80, baby. Anche se le cose non erano partite benissimo:

Titolo de La Stampa dei martedì 4 novembre 1980 - Grattacieli
Titolo de La Stampa di martedì 4 novembre 1980

Il sogno infranto di un “recupero urbanistico”

Un po’ di storia – non è facile trovare fonti, va detto subito – si recupera in un documento dell’Arer che, per la verità, parte da parecchio lontano. Ovvero, dalla fondazione di Augusta Prætoria. Ma si arriva abbastanza rapidamente al punto che ci interessa.

Si legge: “Nel 1980 viene discusso in Consiglio comunale un progetto di ristrutturazione radicale del quartiere che prevede, in accordo con la proprietà, la demolizione della parte considerata più degradata e l’edificazione di 9 edifici di 14 piani per un insediamento di 5.000 abitanti, contro i 2.000 allora presenti. Fortunatamente il progetto non fu mai approvato, anche a seguito delle aspre critiche degli stessi abitanti del quartiere, e diede luogo a un acceso dibattito fra cosiddetti ‘innovatori’ e ‘conservatori’”.

Ciò che segue lo conosciamo: “Nelle pieghe di tale dibattito il Consiglio comunale individua, comunque, una prima area di intervento di nuova costruzione, nell’angolo nord est del quartiere, dove, tra il 1982 e il 1984, viene realizzato l’edificio in seguito denominato ‘grattacielo’ (non tanto per la reale altezza, circa 35 metri, quanto per l’evidente mancanza di proporzione con gli edifici del contesto), cui si aggiungerà, in seguito, un secondo edificio di tipologia similare, costruito dallo Iacp (ovvero l’Istituto autonomo case popolari, ovvero l’ex Arer, ndr.). Entrambi quasi a contatto degli edifici di cui era prevista la demolizione”.

Progetto inziale che, come detto, cambia: non più una serie di palazzi architettonicamente simili al grattacieli, ma unradicale cambiamento di indirizzo” che vede l’amministrazione incaricare “l’Oikos di Bologna di redigere un nuovo progetto di recupero e integrazione urbanistica del quartiere”.

Dopo un altro, lungo, dibattito “sul mantenimento o meno della struttura storica dell’originario insediamento operaio, che coinvolge gli abitanti”, si recepiranno leindicazioni del Piano Oikos”, ovvero: “conservazione per la maggior parte degli edifici a seguito di interventi di riqualificazione, sopraelevazione di un piano degli edifici in linea a due piani, inserimento di alcuni nuovi edifici di media altezza e abbattimento dei soli edifici a sud all’erigendo grattacielo”.

Nello stesso documento, Arer si “sbilancia”. E lo fa con decisione, dopo aver spiegato l’obiettivo del cosiddetto “Contratto di quartiere” che porterà prima allo sgombero dei “grattacieli”, poi al trasloco degli abitanti nei nuovi edifici di via Giorgio Elter e – praticamente oggi – alla demolizione dei due “vecchi” palazzi.

Lo fa spiegando che l’idea di abbattere le storiche case del quartiere non fosse poi questa grande pensata. E lo dice senza perifrasi: “La proposta della loro demolizione (dei grattacieli, ndr.) ha ulteriormente rafforzato la tendenza all’inversione del processo che avrebbe portato a compimento il deprecabile piano di completa cancellazione dello storico quartiere operaio”.

Primi anni, primi problemi

Il grattacielo “Alto” di Aosta

Precisamente, era il 1984. L’anno dopo, i “grattacieli” sono stati terminati e consegnati. Il 5 febbraio 1987 l’edizione regionale de La Stampa pubblica un pezzo intitolato: “Un grattacielo di polemiche”. Al suo interno, si legge che “la pioggia entra in casa dai balconi, le cantine si allagano, mancano le rifiniture” di un edificio “abitato da meno di due anni”.

Nello stesso articolo, l’allora assessore ai Lavori pubblici Fedele Borre, diceva: “L’edificio ha ottenuto l’abitabilità nell’agosto 1985, ma si è trattato di un’autorizzazione provvisoria, perché l’Usl aveva riscontrato alcuni elementi non conformi alle disposizioni di legge ai quali è già stato posto rimedio. Inoltre, è stato eseguito il collaudo statico e questo ci consente di ritenere che non sussiste pericolo per gli abitanti del grattacielo”.

Poco più di un mese dopo, il 13 marzo 1987, il quotidiano scriveva che “il grattacielo del quartiere Cogne terminato nel 1985 sarà sottoposto ad una perizia dall’ingegner Mario Maione. Lo ha deciso il Consiglio comunale di Aosta poiché sono stati rilevati inconvenienti nelle strutture edilizie”.

Una decisione presa “dopo le polemiche dei mesi scorsi conseguenti a una petizione firmata dagli inquilini dello stabile”. In seguito, “l’impresa costruttrice aveva accettato di rifare alcuni interventi (asfaltatura della rampa che porta ai garage e ristrutturazione di alcuni pianerottoli), ma al Comune non è bastato”.

Nel frattempo, scatta la perizia sullo stabile. In attesa degli esiti, il quotidiano torinese scriveva ancora che “una prima valutazione indica in 150-200 milioni (di lire, ndr.) la cifra in preventivo”.

Ma tra le pagine regionali del giornale si legge che “i primi inconvenienti nel ‘grattacielo’ si manifestarono l’autunno scorso: acqua nei garages e negli scantinati, crepe negli intonaci e caduta di piccole quantità di calcinacci dai balconi. Gli inquilini hanno prima protestato singolarmente, poi hanno preparato una petizione con le firme. In dicembre, Nuova Sinistra aveva presentato una mozione, approvata da tutti, nella quale il Comune si impegnava a risolvere la questione”.

“Crepe e allagamenti”, una storia lunga trent’anni

Saltando al 1995, siamo il 3 giugno, sempre un articolo de La Stampa parla “crepe e allagamenti”. O meglio: “Costruito soltanto dieci anni fa, il ‘grattacielo’ di via Capitano Chamonin, nel quartiere Cogne, una casa dell’edilizia residenziale pubblica, presenta già ‘gravi lesioni strutturali’. Crepe sui muri interni ed esterni, frequenti allagamenti dei garage e una situazione generale definita dagli stessi inquilini ‘pessima’”.

Con un dato inquietante: “Dei 70 alloggi sistemati sui 12 piani del palazzone – alcuni di proprietà del Comune, altri dello Iacp (oggi Arer, ndr.) –, se nesalvanouna decina. Per i rimanenti, ad eccezione del perfetto funzionamento dell’impianto di riscaldamento, sono urgenti interventi di ripristino”.

Non andava meglio nel “grattacielo basso”, con – spiega sempre Stampa – “crepe sui muri anche per l’edificio di otto piani, poco distante, lungo la stessa via. Soprattutto al secondo piano, le spaccature in alcune stanze si allargano sempre di più”.

Due anni dopo, nell’agosto 1997, l’associazione “Casa per tutti” si rivolge direttamente alla Procura della Repubblica, segnalando “un nuovo grave episodio”. Ovvero: “Il 20 agosto, in un alloggio del quinto piano si è verificato il distacco di una porzione considerevole dell’intonaco in una parete. Nonostante incidenti simili siano stati più volte segnalati al Comune, l’ente si è sempre limitato ad interventi sommari di ripristino, senza mai ricercare le cause”.

Il quotidiano sente allora Guido Grimod, ai tempi Assessore alle Opere pubbliche del Comune, che rispedisce al mittente le accuse di “disinteresse” dell’Ente e spiega: “Abbiamo fatto fare una perizia che ha escluso l’esistenza di problemi strutturali. Nel bilancio ’97 ci sono i fondi per finanziare l’incarico professionale per studiare gli interventi necessari. E nel bilancio triennale, per il 1998 sono stanziati 400 milioni per interventi radicali di consolidamento”.

Spunta la questione “abbattimento”

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L’anno dopo, però, cambia il vento. E per la prima volta comincia si comincia a parlare dell’abbattimento degli edifici. “Il grattacielo sarà abbattuto”, titolava La Stampa il 14 maggio 1998. Per farlo, il Comune avrebbe dovuto – come ha poi fatto – partecipare al bando ministeriale chiamato “Contratto di quartiere”.

Con ottimi intenti: “Riqualificare e migliorare la funzionalità del tessuto urbano e dei caratteri edilizi che lo compongono, attraverso, prioritariamente, una coraggiosa iniziativa che prevede la demolizione degli edificia grattacielo’ costruiti negli anni ’80 sulla base di un più vasto progetto, mai realizzato, di sistematica sostituzione di tutto l’originario quartiere con nuovi corpi ‘a grattacielo’ – si legge sul sito della Regione, nella fu rivista Environment –. Tali fabbricati, oltre all’impatto negativo sul paesaggio urbano ed agli alti costi gestionali e manutentivi, non hanno indubbiamente favorito l’integrazione sociale dei nuovi abitanti, inseriti in edifici poco funzionali e del tutto avulsi dal contesto”.

Due settimane dopo, il 28 maggio 1998, Stampa scriveva che la richiesta del Comune al bando ministeriale era di 20 miliardi di lire, “su un totale di 75 miliardi necessari per l’intervento di riordino dell’area compresa fra i grattacieli di via Capitano Chamonin e la zona di via Vuillerminaz”. Con un punto di partenza: l’abbattimento dei grattacieli.

Il giorno dopo, il 29 maggio 1998, arriva il “via libera” in Consiglio comunale al “Contratto di quartiere”. In aula, l’assessore Guido Grimod spiegava che – riporta sempre Stampa – “sin dalla sua costruzione l’edificio ha avuto problemi di assestamento che provocano continue crepe. Il grattacielo per il Comune è quindi una continua spesa di manutenzione”.

Di lì a poco – l’articolo de La Stampa è del 1° ottobre 1998 – il Consiglio comunale approva all’unanimità una mozione di Forza Italia su un “percorso operativo per l’eventuale abbattimento del ‘grattacielo’”.

La “guerra” dei grattacieli

Il grattacielo alto del quartiere Cogne
Il grattacielo alto del quartiere Cogne

Il titolo del quotidiano torinese è esplicito: “La guerra dei grattacieli”. Siamo il 7 novembre 1998, quando arriva uno stop inatteso al piano da 20 miliardi. Mentre “la pratica per il progetto di abbattimento dei ‘grattacieli’ del quartiere Cogne è già sul tavolo del Ministero dei Lavori Pubblici”, su quello dell’assessore Piovano “c’è ilnodel servizio tecnico dello Iacp e quello di Forza Italia che, in un primo tempo, quando il progetto era soltanto un’idea, aveva detto ‘sì’”, scrive Stampa.

Da quanto riportato dal giornale, spunta fuori una “lunga relazione dell’architetto Maurizio Mari, responsabile del servizio tecnico dello Iacp (l’Istituto è proprietario del ‘grattacielo’ più piccolo, con 24 alloggi)” nella quale si legge che “non sussistono motivate ragioni di ordine tecnico o di sicurezza in genere che possano far propendere all’abbattimento”.

A stretto giro, l’8 novembre 1998, il quotidiano riporta la preoccupazione degli inquilini degli edifici per questo impasse. Con una petizione, firmata dalla “quasi totalità” di chi vive i grattacieli, favorevole alla demolizione. In attesa del finanziamento statale da 20 miliardi, il Comune è pronto a spendere 400 milioni di lire per la manutenzione del grattacielo “alto”.

“Perché, se è destinato a essere abbattuto?”, si chiede il giornalista. Che, anzi, lo chiede al vicesindaco Guido Piovano, che spiega: “Ci sono interventi urgenti da fare, crepe da chiudere, ad esempio. In attesa, poi, che il progetto di abbattimento venga approvato e finanziato dal ministero, la gente che ci abita deve poter star meglio”. Altra domanda: “C’è un rischio di crollo?”. Replica secca di Piovano: “No, i guai strutturali non sono così gravi, ma occorre intervenire”.

L’Unione inquilini – Casa per tutti, in un articolo del 19 novembre, spiega: “Il grattacielo (la più grande fra le due costruzioni, ndr) ha dato dei problemi sino dalla fase di costruzione nel 1984. Il costo già astronomico della realizzazione è lievitato enormemente in questi anni a causa di problemi strutturali che hanno imposto continui interventi di manutenzione”.

E ogni anno, dice ancora l’Unione, “la manutenzione del grattacielo costa alla comunità circa 400 milioni, insufficienti comunque a garantirne la stabilità”. Ergo: “Abbiamo sempre ritenuto più proficuo procedere all’abbattimento che continuare a sborsare all’infinito cifre ragguardevoli”.

Il 16 novembre 1999, un po’ di psicosi si sparge per il crollo – avvenuto cinque giorni prima – di uno stabile a Foggia, in viale Giotto, che farà segnare 67 vittime. Per molti degli inquilini del grattacielo aostano, si legge nel pezzo de La Stampa, l’edificio è diventato “troppo pericoloso”. E per questo chiedono “un maggior interessamento dell’Arer e verifiche più approfondite alla struttura”.

Lato Arer, l’allora presidente Francesco Salzone cercava di rasserenare gli animi illustrando la “serie di opere di consolidamento eseguite nel palazzo” e spiegando: “I controlli sono continui e gli interventi vengono programmati in base alle segnalazioni dei residenti”.

Contratto di quartiere: si parte

Intanto, il 16 dicembre 1999, Stampa titola: “Via al ‘Contratto di quartiere’”. Il Consiglio comunale di Aosta dà l’ok al progetto per il rinnovo dell’area tra via Capitano Chamonin, via Giorgio Elter e via Cesare Battisti. Il piano prevede l’abbattimento dei due grattacieli e, allo stesso tempo, l’acquisizione dell’area dove nascerà il complesso residenziale da cento alloggi che dovrà ospitare gli inquilini dei due edifici da demolire. Succederà, ma vent’anni dopo, nel 2019.

La Stampa – in un pezzo del 24 febbraio 2000 – spiega che “iI condominio denominato ‘grattacielo’ nel quartiere Cogne sarà abbattuto nell’ambito dei lavori di sistemazione dell’area decisi dal Comune e finanziati dallo Stato con un intervento di 20 miliardi. Il cantiere aprirà il prossimo anno”. Ma così non sarà.

Un anno dopo, il 14 dicembre 2001, l’architetta dell’Assessorato comunale all’Urbanistica Elisabetta Comin viene intervistata dal quotidiano torinese. E dice: “Il piano di riqualificazione riguarda un’area di 7mila metri quadrati e prevede la demolizione dei due grattacieli […] . In un secondo momento si procederà con l’intervento che consiste nella costruzione di un nuovo complesso di edilizia residenziale pubblica”.

“Testimoni residui di un progetto superato”

Il documento Arer citato all’inizio di questo articolo riporta, in sintesi il fine del “Contratto di quartiere”: “Il programma è apparso subito come l’occasione per migliorare il processo di recupero urbanistico del quartiere, partendo dalla demolizione di quegli edifici oramai considerati anomali, noti come ‘grattacieli’, testimoni residui di un progetto superato. Tali fabbricati, oltre all’impatto negativo esercitato sul paesaggio urbano e agli alti costi di gestione e di manutenzione, hanno presentato nei due decenni di vita notevoli inconvenienti di abitabilità e, soprattutto, hanno contribuito ad accentuare il problema dell’integrazione sociale dei nuovi arrivati, inseriti in un contenitore inadeguato e del tutto avulso dal contesto”.

Anni difficili

Protesta Inquilini Grattacielo

Nel 2015, intanto, arriva dal Ministero delle Infrastrutture il “via libera” all’abbattimento, ma solo di uno dei due grattacieli. Si tratta di quello più basso, di proprietà dell’Arer. Anche se per vedere le pinze in azione serviranno ancora dieci anni.

Il completamento dei grossi condomini gialli tra via Elter e via Battisti – anche se scoppia il “caso” della ditta collaudatrice che ha preso a non rispondere al Comunenon fa che aumentare il malumore tra gli abitanti dei grattacieli. Le case nuove sono lì, a poche centinaia di metri, mentre la vita nei due vecchi palazzi si fa sempre più dura e le strutture sono sempre più fatiscenti.

Nel luglio del 2018 i nervi sono sempre più tesi. La prima Assemblea degli inquilini dei grattacieli con il Comune di Aosta ed i vertici Arer a Palazzo Cogne – che l’anno dopo sarà a sua volta chiuso e sgomberato, con tanto di querelle giuridica tra Regione e Ccsnon va benissimo. Anzi, gli abitanti puntano il dito contro l’Amministrazione: “Ci avete abbandonati”.

La prima Assemblea degli inquilini dei Grattacieli di Aosta

Il 14 agosto 2018 la “temperatura sale” ancora. Il crollo del viadotto Polcevera – il cosiddetto “Ponte Morandi” di Genova – alza la soglia dell’attenzione, ma soprattutto alimenta la paura in tutto il Paese, costellato com’è di edifici vetusti, abbandonati e in stato di degrado.

Descrizione che calza anche per i grattacieli di Aosta. E gli abitanti, ormai esasperati, lo dicono: “Non vogliamo essere la prossima Genova”. Nel novembre 2018, gli inquilini del grattacielo protestano in piazza Chanoux, di fronte al Municipio, con cartelli e slogan. Lo scontro si fa anche politico, e, tra la contestazione, il sindaco Centoz ed il consigliere comunale leghista Manfrin si affrontano vis à vis.

Un trasloco agognato

Dopo il passaggio ad Arer dei nuovi appartamenti, il 20 marzo 2019 comincia il trasloco degli inquilini del grattacielo alto agli alloggi del “Contratto di quartiere I” e durerà circa un mese. Un trasloco atteso da quasi due anni. A novembre del 2019 vengono affidati definitivamente 30 alloggi di Edilizia residenziale pubblica.

Chiuso lo spostamento degli abitanti manca solo la cerimonia ufficiale. L’11 ottobre 2021 – nel frattempo è stato eletto sindaco di Aosta Gianni Nuti vengono ufficialmente inaugurati i nuovi appartamenti del quartiere Cogne. Si tratta di 82 alloggi e 87 autorimesse in un complesso, tra le vie Elter e Battisti –, la cui realizzazione è cominciata nove anni prima, nel 2012.

L’inaugurazione del complesso “Contratto di Quartiere I”

La lunga partita della demolizione

Il mezzo "Zeus" che demolirà i grattacieli del quartiere Cogne

Chiusa una partita annosa, se ne apre un’altra. Sgomberati i due grattacieli resta in ballo la loro demolizione. Non proprio una “questioncina”.

Nel marzo del 2021 la progettazione definitiva per demolire gli edifici è quasi ultimata. Così come le somme previste dall’Amministrazione comunale. Ma c’è un imprevisto. L’idea inziale di procedere con una “demolizione controllata” – l’abbattimento tramite esplosivi, per poi “intombare” le macerie nei garage sotterranei – sfuma. Il motivo lo spiega l’assessore ai Lavori pubblici Corrado Cometto: i rilievi tecnici ed i carotaggi registrano la presenza di amianto negli inerti. E, specificamente, nel calcestruzzo.

Questo non solo cambierà il metodo scelto per la demolizione – optando per la tecnica top down a moduli –, ma contribuirà a far lievitare i costi, dato che le macerie non potranno essere “intombate” ma dovranno essere portate fuori Valle per essere smaltite. Il sindaco Nuti spera di chiudere la pratica nel 2023, ma i tempi sono un’incognita. Non lo è il prezzo, invece, che comincia a definirsi : 4,7 milioni di euro.

A fine luglio 2023 il progetto definitivo per la demolizione dei grattacieli è pronto. Il quadro economico si alza a 5,1 milioni di euro. Notizie certe sulle spese di costruzione, quarant’anni fa, non si trovano. Ma è l’assessore Cometto a dire che “probabilmente costa di più abbatterli”.

Nel luglio 2024, viene aggiudicata definitivamente la gara per l’abbattimento. Se ne occuperà la ditta Armofer Luigi Cinerari di Siziano, Pavia. Per farlo, porteranno ad Aosta lo Zeus Liebherr R980, macchina da 220 tonnellate e otto carichi eccezionali arrivata in città il 1° giugno 2025 e assemblata in loco il 3, che monta un braccio estendibile fino a 61 metri di altezza. Sarà lui a “mordere” un po’ alla volta i grattacieli con la sua pinza.

Il primo morso e la fine del grattacielo basso

Il primo “morso” – il 7 agosto 2025 – arriva però dal “fratello minore” di Zeus, il nuovo Liebherr 950 Demolition portato in via Capitano Chamonin per “attaccare” la porzione sud del grattacielo basso ed il corpo architettonico che unisce i due palazzi.

Bisogna aspettare l’11 agosto 2025 per vedere la prima, vera e ufficiale “pinzata” al grattacielo basso. Edificio che, il 28 agosto non già vedremo più. Ora il solo superstite è il suo “gemello” più alto. Un racconto completo, quest’ultimo, che abbiamo raccolto in un pezzo a diario con tutta l’evoluzione della demolizione.

In attesa di aggiornarlo, perché dopo aver “tritato” le macerie residue toccherà al grattacielo alto, per un cantiere previsto fino alla primavera/estate del 2026. E, morso dopo morso, sparirà anche lui. Al suo posto un’area verde, un parco. Dei grattacieli resterà solamente un ricordo. Un ricordo durato poco più di quarant’anni.

9 risposte

  1. Complimenti per il puntuale e più che scorrevole racconto, ma quale prolisso! Per chi, come me, ricorda e ha partecipato ai fatti, si tratta di una storia veritiera e di autentiche emozioni. Grazie.

  2. Ma “fa strano” non si può sentire!!! In italiano corretto si dice” pare strano” o “sembra strano”, o ancora ” è strano”… Una bella risciaquata dei panni in Arno ( o nella Dora, veda lei) sarebbe opportuna ed auspicabile l,visto il lavoro che fa

  3. Bell’articolo, ma visto l’autore non si poteva dubitare dell’esito positivissimo. L’ho letto con piacere.
    A sostegno, aggiungo che nell’80 quando il sottoscritto, che ancora abitava nel Quartiere Cogne, intervenne ad un assemblea pubblica dicendo che mancava una progettazione urbanistica e che distruggere un quartiere e la sua storia era un’esperienzapoco meno che mussoliniana, oltre al fatto che un ammassamento di quel tipo di casi sociali e di personaggi equivoci avrebbe creato al quartiere una fama negativa e una vivibilità bassissima fui aggredito da sindaco e assessore che mi diedero dell’incosciente disfattista e fomentatore della rabbia popolare.
    Purtroppo, per carattere, non riesco a fomentare abbastanza…
    Grazie per questo articolo

  4. Molto interessante l’articolo, complimenti. Vorrei aggiungere che appena prima del momento da cui lei è partito era stato preparato e proposto un altro progetto a firma di alcuni noti architetti di Aosta, un progetto che prevedeva l’azzeramento totale del quartiere esistente e l’edificazione di tre alti edifici piramidali con pianta a Y che sarebbero stati immersi in un enorme sito verde e collegati tra loro con passerelle coperte (praticamente delle gallerie) in quota. I geometri miei coetanei ed io conosciamo bene quel progetto perché uno dei progettisti era il nostro insegnante di Tecnologia delle costruzioni e lo abbiamo potuto vedere e analizzare in anteprima. A mio parere la paura della novità ha fatto perdere alla nostra città un treno importante, quel progetto, se realizzato, avrebbe dato lustro ad Aosta e sarebbe stato un grande esempio di buona architettura, purtroppo la maggioranza non era pronta.

    1. Tipo le vele di Scampia?
      O le “lavatrici” a Genova?
      Alla larga dai progetti che ammassano la gente in enormi casermoni, soprattutto se si tratta di edilizia popolare.

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